“È un modo di esplorare i territori intorno alle aziende vinicole, spostare l’attenzione su altri mondi, riscoprire frutti dimenticati”
Se dico “vini di frutta” è possibile che vi vengano in mente due cose ben distinte. Una è vostro nonno che giustificava il suo consumo mattutino di vino rosso dicendo che il vino, dopotutto, “è poi un succo d’uva, quindi di frutta, no?”. L’altra è lo spot di Moira Rose per Herb Ertlinger in Schitt’s Creek.
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Nel frattempo in Italia sta fermentando una nuova realtà che potrebbe dare al concetto di vini di frutta* un significato completamente diverso.
*Da ora in poi useremo questo termine, utilizzato anche dai ragazzi di A.Vingarde. In Italia non esiste (ancora) una denominazione riconosciuta per questa tipologia di vino, che può ricadere quindi nella tipologia dei vini aromatizzati.
Dietro al progetto A.Vingarde ci sono Laura Angelina, Alessio Ghiringhelli e Gian Maria Fano, che avevamo già avuto modo di conoscere a Bologna nel cocktail bar a spreco zero Scarto (adesso chiuso). L’idea è molto semplice: creare vini “ibridi” con la frutta. La prima tappa del progetto è stata sviluppata insieme a Federico Orsi di Orsi Vigneto San Vito sulle colline bolognese: “Con lui avevamo già fatto tentato qualche esperimento di vino illegale, facendo una prova con pere, mele e simili,” mi racconta Laura. “Poi abbiamo optato per il rusticano, un frutto pressoché dimenticato, i cui alberi crescevano nell’azienda di Federico e sulle colline intorno.”
“Il progetto è anche un po’ una presa in giro di quei vini volutamente funky per essere alla moda.”
Un frutto troppo asprigno e duro per venire mangiato, che di solito rimaneva sugli alberi per tutta la sua stagione a marcire, senza che nessuno si prendesse la briga di raccoglierlo. Pigiatura dei rusticani con i piedi, fermentazione in barrique insieme al pignoletto di Orsi per un paio di settimane, rifermentazione in bottiglia. Il nome? Rusticazzi.
“Il progetto è anche un po’ una presa in giro di quei vini volutamente funky per essere alla moda. Volevamo fare il verso ai vini che vogliono essere leggeri a tutti i costi: ‘Ah sì? Allora ci mettiamo la frutta davvero a questo punto!’. Un divertimento provocatorio,” racconta Federico. “È un modo di esplorare i territori intorno alle aziende vinicole, sposare l’attenzione su altri mondi fuori dalla cantina. Io da vignaiolo ci ho provato da anni, ad esempio producendo la mortadella con un macellaio della zona, dando i miei prodotti dell’orto a ristoranti… persone con cui condividiamo i valori.” Se pensate che il vino faccia l’effetto succo di frutta, beh, ricredetevi: il risultato finale è secco, deliziosamente asprigno, con un’acidità interessantissima (come sempre mi distinguo per l’ampiezza del mio vocabolario descrittivo sui vini).
Qui le protagoniste sono state le pesche che crescevano in mezzo alle vigne: “Se qualcosa cresce assieme può rimanere assieme”
La seconda tappa di A.Vingarde è stata da Cascina Tavijn di Nadia Verrua a Scurzolengo, provincia di Asti, un altro luogo pioneristico nel mondo del vino naturale. Qui le protagoniste sono state le pesche che crescevano in mezzo alle vigne: “Se qualcosa cresce assieme può rimanere assieme,” spiega Alessio. “Con Nadia siamo partiti dall’inizio. Al grignolino rosato abbiamo aggiunto le pesche, circa 200 litri di mosto dei frutti denocciolati, già durante la macerazione.” Da lì in bottiglia per un’altra settimana. La beva è pericolosamente semplice: la frutta è riconoscibile ma non stucchevole, il vino è fresco, minerale.
Ma A.Vingarde non è solo vini di frutta, anzi: “È prima di tutto un collettivo,” spiega Alessio. “La nostra idea era quella di un progetto itinerante: spostarci tra diversi vignaioli, scoprendo diversi frutti, ma anche tra diversi locali. Prima del lockdown avevamo in calendario un evento da Tipografia Alimentare e, quando passerà questo periodo, vorremmo ritentare il nostro ‘tour’.”
Della parte food si occupa Gian Maria: “Abbiamo deciso di utilizzare la stessa etica di Scarto: una visione prodotto-centrica, di riutilizzo, sostenibilità e spreco minimo. Capisco che da fuori non si veda, ma io penso che in quello che facciamo ci sia un certo tipo di classicità, classicità punk, ecco. Io sono super appassionato di nouvelle cuisine: per l’evento da Tipografia Alimentare avevo pensato un flatbread con pollo au vin jeaune. Alcuni aspetti di quel mondo lì, che l’evoluzione tecnologica ha reso obsoleti, per noi sono ancora attuali, e vorrei renderli accessibili a tutti, organizzando eventi con prezzi corretti.”
E adesso cosa succede con A.Vingarde? “Per ora la produzione è molto piccola, qualche centinaio di bottiglie che abbiamo distribuito soprattutto all’estero, al prezzo di 25 euro circa.” E là fuori c’è ancora un mondo di frutta inselvatichita da esplorare.
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