Quando è nato il governo giallo-verde—cioè sei mesi fa: non sembrano tipo 65 anni?—ci si chiedeva se Matteo Salvini avrebbe assunto un tono lievemente più istituzionale. Nel senso che: vanno pure bene le foto con i fiori, i “bacioni,” o il ragù Star; ma almeno sulle materie di competenza del ministero dell’Interno, un certo contegno sarebbe stato auspicabile.
La risposta, lo sappiamo, è un gigantesco no. E anzi: se possibile, il fervore propagandistico di Luca Morisi (il suo “social-megafono”) e relativo staff ha sfondato ogni argine.
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Ieri per esempio, appena svegliato, l’autonominato “papà” di tutti gli italiani ha voluto celebrare l’“enorme lavoro delle Forze dell’Ordine contro delinquenti e spacciatori di morte.” In particolare, il thread rendeva noto che “i carabinieri hanno smantellato la nuova ‘cupola’ di Cosa nostra, arrestando 49 mafiosi”; mentre a Torino, “altri 15 mafiosi nigeriani sono stati fermati dalla polizia.”
È proprio quest’ultimo tweet che ha fatto andare su tutte le furie il procuratore capo di Torino Armando Spataro. In un durissimo comunicato, il magistrato dice che la diffusione della notizia “è intervenuta mentre l’operazione era (ed è) ancora in corso con conseguenti rischi di danni al buon esito della stessa.”
Inoltre, continua la nota, quanto scritto da Salvini è sballato: la polizia “non ha fermato ’15 mafiosi nigeriani’, ma sta eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare” emessa dal gip; in più, il provvedimento “non prevede per tutti gli indagati la contestazione della violazione dell’art. 416 bis c.p.,” gli indagati non sono nemmeno 15 e “le ricerche di coloro che non sono stati arrestati è ancora in corso.”
La conclusione è altrettanto netta: “Ci si augura che, per il futuro, il Ministro dell’interno eviti comunicazione simili a quella sopra richiamata o voglia quanto meno informarsi sulla relativa tempistica al fine di evitare rischi di danni alle indagini in corso, così rispettando le prerogative dei titolari dell’azione penale in ordine alla diffusione delle relative notizie.”
Insomma: nella foga di evidenziare i “crimini degli immigrati”—uno dei capisaldi della comunicazione salviniana—il leader leghista ha fatto un errore. Ma invece di riconoscerlo, ha deciso di bullizzare Spataro dicendo che “se il procuratore capo a Torino è stanco, si ritiri dal lavoro: a Spataro auguro un futuro serenissimo da pensionato.”
Parole che non sono piaciute un granché ai consiglieri togati di Area al Consiglio superiore della magistratura . E che forse non sarebbero piaciute nemmeno al Matteo Salvini di tre anni fa; quello, per intenderci, che in un’intervista a Panorama diceva: “Pazzesco, un ministro dell’Interno che twitta su indagini in corso non merita neppure un commento. Il fatto in sé la dice tutta su quel personaggio lì [il riferimento era ad Angelino Alfano].”
Ma la polemica non è finita qui. Nel pomeriggio, Salvini ha annunciato una diretta su Facebook con questo status: “Sono stufo di offese, insulti, minacce e attacchi quotidiani. Faccio il Ministro dell’Interno da sei mesi e penso di farlo bene, guardando i risultati. Se a qualcuno non piace, che si candidi alle prossime elezioni, ma adesso lasciateci lavorare in pace.”
E la diretta Facebook ha proseguito sulla linea della lamentela: quelli che criticano il decreto sicurezza non l’hanno capito; Spataro non ha capito il suo tweet; Fabio Fazio (Fabio Fazio, sì) e Avvenire non capiscono quanto stia facendo il bene degli italiani; le trasmissioni televisive lo attaccano sempre (nonostante si tratti delle stesse trasmissioni che occupa militarmente dalla mattina alla sera, ormai senza più alcun contraddittorio).
Queste rimostranze, tanto per ricordarlo, vengono da un politico che negli ultimi anni ha: sventolato una bambola gonfiabile sul palco paragonandola a Laura Boldrini; rilanciato decine di bufale xenofobe; messo continuamente alla gogna gli oppositori; gettato in pasto ai suoi seguaci delle minorenni che hanno osato contestarlo; e ora, rischiato di bruciare un’operazione giudiziaria in corso.
Certo, il vittimismo (specie quello del potere) non è una novità: eppure, non è mai stato vincente come oggi. Come scrive Daniele Gilioli nel Critica della vittima, “chi sta con la vittima non sbaglia mai.” Perché “essere vittime dà prestigio, impone ascolto, promette e promuove riconoscimento, […] immunizza da ogni critica e garantisce innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio.”
La possibilità di dichiararsi vittima è dunque “una posizione strategia da occupare a tutti i costi”; anche se sei a capo di un partito di governo, e i sondaggi ti danno alti indici di gradimento. Del resto, sempre secondo Gilioli, “l’ideologia vittimaria è il primo travestimento dei forti.”