Cosa vuol dire volere? Va di moda, ultimamente, parlare di “desiderio” (particolarmente di “desiderio femminile“), ma il fascino della parola oscura l’essenza viscerale della sensazione, il modo in cui è al tempo stesso diretta e contraddittoria. Il desiderio crea un’atmosfera di suggestione, sensuale e vaga; Volere è una linea decisa. O almeno, lo sembra. Ma quella che può sembrare un’emozione che non lascia alcun dubbio—non c’è alcuna parola più diretta di voglio—spesso ha tortuose complicazioni. Soprattutto nel caso in cui tu voglia cose che non dovresti volere. Nel caso in cui tu voglia contemporaneamente due cose opposte. Quando capisci di volere cose che non ti fanno bene—quando puoi tracciare gli impulsi psicologici e sociologici che portano a desideri che non dovresti avere—ma continui a volerle.
The incest Diary, un diario anonimo edito da Farrar, Straus and Giroux e pubblicato questa settimana, pone queste domande e lo fa in modo brutale, chiaro e razionale, senza provare a fornire delle risposte. Con la sua copertina minimalista, il libro consiste in una nauseante serie di aneddoti su come il padre dell’autrice l’abbia violentata da quando aveva tre anni fino ai 21. I momenti più inquietanti non sono però le descrizioni più orrende e violente degli stupri. Piuttosto, sono le riflessioni dell’autrice, ripetute costantemente, in cui ammette molto chiaramente che in quel tormento psicologico e fisico che la affliggeva, lei “voleva” suo padre. Parlando delle “favolette sugli incesti tra padre e figlia” all’inizio del libro, illustra un problema su cui continuerà a tornare e che non risolverà mai. “Le figlie sono tutte come te le aspetti: inorridite di fronte alle avance sessuali dei padri. Fanno tutto ciò che è in loro potere per fuggirne. Ma io non l’ho fatto. Una bambina non può fuggirne. E poi, quando potevo farlo, era troppo tardi. Mio padre mi controllava la mente, il corpo, il desiderio. Lo volevo. Tornavo a casa. Tornavo di nuovo perché ne volevo ancora.”
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Da qua la narrazione va indietro e avanti nel tempo, ma l’autrice mantiene la stessa attenzione ai dettagli. Descrive “l’ultima volta che ho fatto sesso con mio padre,” nella casa di famiglia sul mare. “Le prime due notti non riuscivo a smettere di masturbarmi, pensando al fatto che mio padre era così vicino… era più forte di me. Volevo e non volevo che venisse a scoparmi. La terza notte, lo ha fatto.” Descrive le molte volte che il padre le ha fatto male, l’ha minacciata, stuprata, ma descrive anche le conseguenze psicologiche e fisiche di queste azioni. Descrive quando sua padre la lega a una sedia e la chiude in un armadio, e la sensazione di gratitudine che ha provato quando l’ha fatta uscire. Parla nel dettaglio di quando ha visto suo padre far sesso con sua madre, ed è stata invidiosa. Descrive i suoi disegni di bambine impalate. Di quando è stata portata di corsa in ospedale per un dolore addominale. Delle maestre che si preoccupavano per lei ma che poi di pratico non facevano nulla. Della madre, depressa e ossessionata dai cavalli, anche lei incapace di agire. Scrive del suo sentirsi sola tra i famigliari di un’amica d’infanzia, “un padre che era un padre e una figlia che era niente di più che una figlia.” Scrive di quando sua madre le ha detto che voleva non fosse mai nata. Racconta di una storia con un uomo molto più grande di lei nell’anno che ha passato in Cile, una situazione che vedeva di mezzo famiglia e segreti, che chiama “ritornare sulla scena del crimine.” Scrive della sua capacità di “abbandonare il suo corpo” quando è stata stuprata da un collega. Parla di come, nel corso di 12 anni di matrimonio, abbia provato a instaurare una “casa senza sesso”. Descrive, alla fine, una specie di redenzione, seppure ancora troppo collegata all’incesto, una cosa dalla quale non può scappare.
Più di una volta, l’autrice si apre a uno speranzoso momento di confessione—con un’amica di famiglia, con sua madre, con sua nonna—per ritrovarsi ignorata dalla persona alla quale si sta aprendo. Altre volte si apre, ma sorvola sui dettagli, facendo sembrare la situazione meno grave di quanto è nella realtà. All’inizio del libro decide di confrontarsi con suo padre. Lui si scusa ripetutamente e piange. Poi la chiama.
Il nonno dell’autrice prova a rinchiuderla in un centro per la salute mentale, il fratello ha un crollo di nervi per il quale lei si sente responsabile. Alla fine, si rimangia “le accuse”, dicendo che deve essere stato qualcun altro ad averla stuprata.
Il racconto che segue renderebbe questa dichiarazione comica, se non fosse così triste. In una nota all’inizio del libro, l’editor Lorin Stein parla della decisione della casa editrice di pubblicarlo: oltre a essere una possibile “fonte di speranza e forza per gli altri,” spiega, “la situazione che descrive è stata raramente raccontata in questo modo, dall’interno.” Di fatto, The Incest Diary presenta molte similitudini con altre narrazioni a tema di incesto—la segretezza, la vergogna, e le specificità delle sue ripercussioni psicologiche e sociali—ma il focus senza sosta dell’autrice sul tema rende il libro diverso dagli altri. L’incesto è spesso un tema, una motivazione o una spiegazione di sottofondo, ma raramente è protagonista.
Ovviamente ci sono delle ragioni se succede così. Il tabù dell’incesto è reale, e la scelta dell’autrice di rimanere anonima non dovrebbe destare sorpresa: in una nota di introduzione al libro, scrive, “ho cambiato molte mie caratteristiche per conservare l’anonimato. Ma non ho cambiato gli aspetti essenziali. Chiedo al lettore di rispettare il mio desiderio di rimanere anonima.”
Eppure, le prime reazioni al libro sono state di disapprovazione, di chi poneva l’accento sul potenziale scandalo e dolore che avrebbe potuto causare. Un titolo recita, “La casa editrice che ha pubblicato Harry Potter lancia il diario della relazione abusiva di una ragazza con il padre.” Facendo riferimento “all’inquietante” autobiografia di Margaux Fregoso, Tigre, tigre, un giornalista del Globe and Mail scrive, “La critica ha demolito quel libro paragonandolo a pedopornografia e chiedendosi giustamente chi lo avrebbe letto. È molto probabile che alcuni lettori avranno la stessa reazione viscerale con The Incest Diary: Il libro è altamente crudo, e questo è un fatto problematico.” Su Newsweek, Lisa Schwarzbaum lo ha chiamato “un’aggiunta al già lucrativo business delle autobiografie sulla redenzione, con in più la spinta pubblicitaria per cui può essere un libro che la gente acquista e mette nella libreria, per poi consigliarlo agli altri per lo shock e la forza dell’esperienza che racconta.”
Questi giudizi appaiono assurdi, se non offensivi (prima di tutto, la FSG sembra avere un piano marketing molto semplice, che non va oltre il lasciare che il libro parli da solo). Inoltre, tradiscono il tentativo dell’autrice di esaminare con onestà cosa le è successo—e cosa è successo a molte persone—in nome della decenza. Sono la dimostrazione del fatto che poche persone sanno come parlare di incesto—e il motivo per cui il libro è così necessario.
Questo articolo è tratto da Broadly