Di pari passo col movimento #FridaysForFuture, l’interesse per il tema della sostenibilità ambientale e i coming out sullo spreco di risorse sotto forma di forchette di plastica—parlo per esperienza personale—sono aumentati considerevolmente.
La presa di coscienza, avallata da studi sulla salute cagionevole del nostro pianeta, riguarda da tempo anche l’impegno delle Istituzioni—per esempio dei comuni che emettono ordinanze per vietare negli stabilimenti balneari i prodotti di plastica, o ancora dell’Unione Europea per bandirne altri entro il 2021. Non è certo sufficiente per arginare l’inquinamento, ma sono passi doverosi.
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A pensare che lo spreco di risorse sia un problema che va gestito tanto dalle Istituzioni quanto dai singoli sono gli zero waster: persone che hanno adottato uno stile di vita volto a ridurre drasticamente i rifiuti che producono. In Italia, nel novembre 2017, è nata la Rete Zero Waste il cui obiettivo, come mi dice la cofondatrice Marianna, “è quello di dare suggerimenti, consigli e risorse a chi si vuole approcciare a uno stile di vita zero waste.” Ecco, di seguito ne trovate un bel po’, scaturiti dalle conversazioni che ho avuto con lei e altre due zero waster con cui ho parlato.
Caterina
22 anni, Padova, proprietaria di un negozio zero waste
VICE: Come ti sei avvicinata allo zero waste?
Caterina: Quattro anni fa ho iniziato a informarmi sullo sfruttamento e i danni provocati dall’industria della moda, e a smettere di comprare vestiti dalle grandi catene. L’attenzione sugli aspetti etici, poi, si è spostata su qualunque mio acquisto, e da lì ho scoperto lo zero waste.
Ho iniziato a utilizzare lo shampoo solido, dischetti struccanti in stoffa lavabili, la coppetta mestruale al posto degli assorbenti monouso, cercando insomma di produrre meno rifiuti.
Quindi se volessi iniziare, potrei per esempio abolire l’acquisto di acqua in bottiglie di plastica.
Sì, ognuno deve partire da qualcosa. Poi, nelle fasi successive, ammetto che ci vuole impegno. A seconda di dove vivi, alcune alternative non sono reperibili. Purtroppo siamo in un’economia lineare, e ci sono rifiuti che sembra impossibile evitare.
Nelle prime fasi, per esempio, facevo degli ordini online. Ma siccome anche le spedizioni hanno un grande impatto sull’ambiente, soprattutto se vengono da lontano e con mille bolli, cercavo di farli molto grandi. Per questo, poi, ho aperto un negozio di prodotti zero waste. Anche qui nel caso in cui mi arrivino degli ordini online, ci vuole un sacco di impegno: tutte le scatole che utilizziamo le reperiamo in giro, gli imballi di carta interni li recuperiamo, usiamo uno scotch compostabile che compriamo senza packaging.
Hai un piccolo barattolo di vetro dove inserisci tutti i rifiuti non riciclabili, e per riempirlo ci metti dei mesi. Inoltre quando sei fuori usi un “classico kit zero waste”. In cosa consiste?
Il mio è un set con dentro le posate, una cannuccia riutilizzabile in acciaio, un tovagliolo di stoffa riutilizzabile, un fazzoletto lavabile, una tazza e una borraccia. E non è detto che sono oggetti che tu debba comprare, potresti già avere tutto in casa.
Inoltre, il discorso di rifiutare è fondamentale quando vado in giro. Se prendo un caffè d’asporto, chiedo di versarlo nella mia tazza. Alcuni bar apprezzano e ti fanno persino lo sconto. Se vado in un locale con posate di plastica, utilizzo le mie. Se vado a bere fuori, rifiuto la cannuccia.
Marianna
40 anni, Napoli, biologa marina e Project manager
VICE: Tu hai avuto l’”illuminazione zero waste” quando durante un trasloco ti sei resa conto della quantità di rifiuti che tu e tuo marito stavate producendo. Essendo dei biologi marini, eravate già piuttosto attenti: facevate la differenziata, di rado prendevate la macchina… come si inizia?
Marianna: Ognuno deve trovare la sua strada, tutti abbiamo un’area in cui possiamo ridurre tantissimo i rifiuti. Mio marito, per esempio, adora da sempre il suo shampoo liquido con un packaging in plastica. Adesso compra la confezione più grande sul mercato, e quindi riduce il numero di flaconi in un anno. Però, poi, usa un sapone da barba solido.
Ma è vero che le persone zero waste sono tendenzialmente vegetariane o vegane?
Sicuramente è un passo che chi si approccia a questo stile di vita prima o poi prende in considerazione.
E se volessi continuare a mangiare carne, frutta e verdura facendo caso alla provenienza ed evitando la plastica?
Per quanto riguarda la carne ci sono due approcci. Il primo consiste nel contattare un GAS, un gruppo di acquisto solidale, che ti mette in contatto con allevatori nella tua zona. Il secondo passo potrebbe essere quello di andare dal macellaio coi contenitori. Io acquistavo tranquillamente così, appunto, carne e formaggi per i miei familiari.
Per frutta e verdura noi andiamo al mercato, da piccoli fruttivendoli: frutta bio, locale e stagionale—non posso voler mangiare fragole a gennaio senza pensare che abbiano un impatto notevole.
Quali sono gli aspetti positivi di adottare questo stile di vita?
Ti aiuta a riflettere di più su tutto quello che ti circonda. Ti stimola alla ricerca. Risparmi molto. Ti fa sentire parte di una comunità. Parli molto di più con le persone. Ti fa scoprire cose nuove, anche per le alternative che devi trovare per ridurre i rifiuti.
Penso al recente linciaggio sotto la foto di Greta Thunberg che mangia in treno cibi confezionati, probabilmente perché chi non è informato crede che questo stile di vita debba essere estremo e privante.
Viviamo in un sistema che non è disegnato per essere zero waste. Non è che se io e mio figlio domani siamo in giro, non c’è nessun bar, non c’è nessuna fontanella [e solo un distributore automatico di bottigliette], lo lascio morire di sete. L’importante è tenere a mente che si può migliorare, o imparare dai propri errori.
Ma gli zero waster la usano la carta igienica?
In Italia siamo fortunati perché abbiamo il bidet, e quindi sprechiamo meno carta di quella che viene usata per esempio nei paesi nordici—dove le salviettine umidificate post-bisogni vanno per la maggiore.
In famiglia compriamo la carta igienica più ecosostenibile che troviamo. Però esistono anche zero waster che non utilizzano carta igienica, ma salviette di stoffa che poi vengono accumulate in un cesto e lavate. Ecco, questa è un’area in cui non credo farò dei cambiamenti.
Antonella
45 anni, Asti, Visual merchandiser
VICE: Come ti sei avvicinata allo zero waste?
Antonella: Ho cominciato quattro anni fa senza rendermene conto, poi ho scoperto che su Instagram c’era un mondo di persone che come me si erano rese conto che sì, sarà più facile comprare cose impacchettate al supermercato e non pensarci più, ma le conseguenze sono disastrose per il pianeta.
Prima facevo attenzione a parlare del nostro stile di vita—perché magari la gente la prendeva come una critica, sul personale. Negli ultimi mesi però la sensibilità sui temi ambientali è cambiata. I colleghi mi dicono che hanno comprato la borraccia, sono tornati al fazzoletto di stoffa o mi chiedono consigli. Anche mia figlia, che ha 15 anni, parla del nostro stile di vita coi suoi compagni.
Mi hai detto che per lavoro viaggi molto per l’Italia, che ti porti sempre il tuo kit e chiedi di evitare la plastica. Ci sono stati dei casi in cui le tue richieste non sono state accolte?
Ci sono reazioni di tutti i tipi, dal cameriere che quando chiedi di non darti plastica fa il tifo, a quello scocciato perché gli stai complicando la vita, fino a chi si rifiuta—come successomi di recente a Sanremo.
Per chi è interessato a iniziare un percorso zero waste—anche se come mi dicevi zero waste non esiste, perché la società non è fatta per permetterlo al 100 percento—è utile iscriversi a un gruppo Rete Zero Waste?
Oltre ad essere un supporto morale, è una fonte di informazioni importante, per esempio quando si ha un dubbio su dove buttare un certo prodotto o quali sono i canali dove cercare un oggetto di seconda mano. È lì che ho scoperto una cosa banale come “non si possono buttare le lenti a contatto nel water”, cosa su cui non avevo mai riflettuto.
Ma quindi, in definitiva, in famiglia quanta spazzatura producete in un mese?
In famiglia c’è un quarto componente, mio padre, che non segue un regime zero waste. Beve per esempio molto latte in confenzioni di plastica. È lui che si occupa di gettare l’immondizia e mi ha detto che produciamo un sacco della plastica ogni 8 settimane, un sacchetto dell’organico a settimana (siamo divoratori di verdura) e un sacchetto di non recuperabile ogni tre settimane.
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Le interviste sono state condensate e accorciate per ragioni di spazio e maggior chiarezza.
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