Questa mattina la mia bacheca di Facebook è stata invasa da video, foto e articoli di guerriglia urbana. Succede infatti che a Torino, nel quartiere Vanchiglia, quello che doveva essere un tranquillo martedì sera tra aperitivi e birre nei dehor si è trasformato in un confronto violento tra ‘la piazza’ e le forze di polizia.
Tutto è cominciato lo scorso 9 giugno, quando il sindaco del M5S Chiara Appendino ha emesso un’ordinanza che vieta la vendita e il consumo di alcool da asporto dalle 20 alle 6. Una misura che segue gli eventi del 3 giugno, quando in piazza San Carlo, durante la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid, un’ondata di panico collettivo è costata la vita a una persona e ha fatto registrare qualcosa come almeno 1500 feriti.
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Di questi, moltissimi “avevano riportato lesioni per colpa dei vetri e questo si sarebbe potuto evitare,” ha spiegato il giorno dopo l’assessore regionale alla Sanità, Antonio Saitta. E in effetti l’ordinanza comunale pensata in vista delle proiezioni in piazza della finale non faceva cenno al divieto di portare in piazza bottiglie di vetro—cosa che ha causato pesanti critiche all’amministrazione Appendino, che a sua volta ha sfruttato la situazione per dare un’accelerata alla sua personale “crociata anti-movida“.
L’ordinanza resterà valida fino al 30 settembre: tutti i bar, i locali, i negozi e i kebab, i minimarket e i supermercati aperti 24 ore su 24 dovranno sospendere la vendita di alcolici e superalcolici da asporto dalle 20 alle 6 del mattino. In caso di violazione si rischia la chiusura dell’attività commerciale da un minimo di sette a un massimo di 30 giorni. Per i bevitori, invece, sono previste multe.
Da quel giorno la tensione nel capoluogo piemontese è cresciuta di sera in sera. Il 14 giugno Repubblica raccontava di “centri sociali e avventori che allontanano la pattuglia della polizia” che stava controllando alcuni ragazzi, “ai quali sono state sequestrate tre bottiglie di birra dopo le 20.” Il 18 dello stesso mese, l’Ansa parlava di “carabinieri accerchiati da una cinquantina di giovani che cercavano di impedire i controlli a due venditori abusivi di bibite.” Quanto successo ieri sera, quindi, si inserisce in una spirale di tensione che ha origini ben più profonde.
Da quanto emerge dalle varie testimonianze di chi si trovava sul luogo, verso le otto di sera piazza Santa Giulia si sarebbe popolata di alcune camionette di polizia, da cui poi sarebbero scesi degli agenti in assetto anti-sommossa. L’obiettivo—anche a seguito delle tensioni nei scorsi giorni scorsi—era presidiare la zona e allo stesso tempo verificare il rispetto dell’ordinanza anti-alcol. Con uno schieramento di scudi e manganelli, all’ora di cena, mentre i dehor dei locali cominciavano a popolarsi di ragazzi e famiglie con bambini.
È per questo che il presidio è stato considerato come un atto eccessivo, se non come una provocazione, da parte dei presenti—tra cui i ragazzi del centro sociale Askatasuna, che hanno iniziato a urlare slogan goliardici contro le forze dell’ordine (“Celerino pagaci da bere”, tra gli altri).
Alle dieci circa, a parte qualche agente, le forze dell’ordine hanno lasciato la piazza. È a quel punto che le testimonianze cominciano a sommarsi: chi dice che gli agenti rimasti sono stati accerchiati e aggrediti, chi parla di un normale confronto sfociato in violenza con il ritorno in massa degli agenti anti-sommossa, fatto sta che i video raccontano di decine di persone in fuga, poliziotti con scudo e manganelli che entrano fin dentro i locali, mamme in lacrime che gridano alla polizia “basta, ci sono dei bambini,” dehor distrutti.
Il bilancio finale parla di due fermati e una decina di feriti. Intorno, una piazza Santa Giulia che sembrava letteralmente un campo di battaglia.
Oggi molti giornali puntano il dito verso “i centri sociali”, come se il problema riguardasse le poche decine di persone affiliate ai diversi collettivi, e che in realtà—per come la vedo—stanno fungendo da megafono con l’intenzione di denunciare un sintomo, il soffocamento urbano generale. Ovvero, lo scenario assurdo che si sta creando in una città che negli ultimi anni è stata capace di offrire alcuni dei migliori eventi culturali e musicali d’Italia, e che ora viene scaraventata in una paranoia proibizionista che sa molto di inizio Novecento.
È stata la stessa Repubblica a contraddirsi senza accorgersene, quando accusa “i ragazzi dei centri sociali”: “Dopo che l’altra sera in quell’area alcuni poliziotti erano stati circondati e minacciati da un gruppo di giovani mentre effettuavano controlli, la questura ha deciso di inviare un ‘pattuglione’ con tanto di scudi antisommossa per ripetere i controlli,” scrive oggi il quotidiano.
Ma qual è la vera notizia? Il fatto che un gruppo di giovani abbia fatto resistenza a dei controlli anti-alcol alle otto di sera in una delle principali città italiane, o il fatto che in una delle principali città italiane vengano adoperati squadroni di polizia con tanto di scudi e manganelli per impedire a dei ragazzi—a tutti i ragazzi, non solo a quell’immaginaria categoria sociale brevettata come “quelli dei centri sociali”—di potersi bere una birra in una piazza o in un parco d’estate?
Le immagini di ieri sono forti perché l’irruzione delle forze dell’ordine nei locali, la distruzione dei dehor, la dozzina di camionette di polizia a recintare l’area non sono frutto di macro-operazioni anti-terrorismo, né retate per disperdere una folla di riottosi che sta mettendo a ferro e fuoco la città.
L’oggetto della questione, qui, è il diritto di ogni giovane, o adulto, o anziano che sia, di godere della sua libertà d’aggregazione.
In poche parole, quanto sta succedendo a Torino è solo l’ultimo capitolo di quell’ossessione per il decoro che ormai caratterizza gran parte della realtà urbana italiana. L’anno scorso ero stato a Trento per raccontare il delirio anti-degrado in cui è finita la città: una meta universitaria dove venivano murati i locali, sgomberati i luoghi di ritrovo, organizzate ronde cittadine, con la stampa che parlava di un luogo non tanto diversa dalla Los Angeles post-Rodney King.
La crociata anti-movida di Torino, esplosa dopo gli eventi di piazza San Carlo, appartiene alla stessa isteria dell’ordine di Trento e delle altre città italiane. La retorica del degrado, della movida molesta e del decoro, è oggi diventata la miglior arma per nascondere i problemi di una città, o forse per crearne altri.
Perché accendere i riflettori sui giovani che bevono birra alle nove di sera in San Salvario è un ottimo modo per dare l’impressione che i problemi veri, quelli ben più gravi, non esistano o siano riducibili al primo. In fin dei conti da un paio di settimane la stampa si ritrova a parlare solo della movida di Torino, mentre il disastro del 3 giugno è stato risolto agilmente con un bel mantra.
“Basta birre, basta vetri, tutto a posto.”
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