Salute

Cosa succede se ti auto-medichi con Xanax e ne sei dipendente

dipendenza da xanax

Le benzodiazepine sono più un cerotto che una soluzione al problema, e dovrebbero essere impiegate solo sul breve periodo

Le benzodiazepine, che sul mercato si trovano come Minias, Lexotan, Xanax, En, sono sostanze usate per curare ansia, insonnia e depressione ansiosa.

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Dall’effetto immediato e facilmente accessibili, sono tra i farmaci più prescritti al mondo. Se consideriamo anche il numero di persone che le prendono fuori dal percorso terapeutico, il fenomeno assume dimensioni impressionanti: negli Stati Uniti sono la terza sostanza più abusata da giovani e adulti. In Italia, tra il 2014 e il 2019 il consumo è salito ogni anno in media di 2,5 punti percentuali, per poi balzare del 9,3 percento tra il 2019 e il 2020. Oggi, un adulto su dieci ne fa uso, e uno su quattro tra gli over65. 

Sgomberiamo subito il campo: in varie fasi della nostra vita, io e molte persone intorno a me abbiamo fatto uso di Xanax. A quei tempi non c’erano ancora stati una pandemia e un lockdown, si sentiva parlare molto meno di guerra nucleare e l’ecoansia non era ancora un sentire comune—dunque lungi da me giudicare.

Abbiamo messo insieme una piccola guida di cose da sapere se ti auto-medichi con le benzodiazepine, se ti è venuto in mente che potrebbe essere una soluzione a come ti senti, o qualcuno intorno a te ha un problema di abuso.

Per farlo abbiamo chiesto l’aiuto di Fabio Lugoboni, professore della Specialistica in Psichiatria e Medicina Interna dell’Università di Verona, responsabile scientifico della SITD (Società Italiana Tossicodipendenze) e del dipartimento di Medicina delle Dipendenze dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona

COSA FANNO LE BENZODIAZEPINE? 

“Le benzodiazepine sono farmaci preziosi, che ci sono però sfuggiti di mano,” spiega Lugoboni, che ho raggiunto al telefono. Questi farmaci agiscono mandando dei segnali chimici al nostro cervello e sedandone l’iperattività che si traduce nei sintomi d’ansia: sudorazione, irrequietezza, tachicardia, rigidità, sensazione di pericolo imminente. In un momento di stress arrivano davvero come una liberazione. 

“Ricordo che la prima mattina che ho preso lo Xanax per andare a scuola avevo paura che mi sarei sentito fuori dal mondo, ma dopo averlo preso l’ansia passò immediatamente,” racconta Paolo (nome di fantasia per proteggere la sua privacy), che ha preso benzodiazepine dai 18 ai 24 anni, inizialmente per affrontare un’ansia sociale che gli causava attacchi di panico così forti che non riusciva nemmeno a uscire di casa. “È come stare sott’acqua, però in senso positivo. Tutto è calmo e finalmente non sei terrorizzato.”

“Soffro di forti tachicardie collegate a momenti di ansia, spesso durante la notte, comincio ad avere difficoltà respiratorie e sudorazione profusa,” aggiunge Alessandra (anche questo nome di fantasia per proteggere la privacy dell’intervistata), che si auto-medica da anni con Xanax, Lexotan e Minias. “[La sostanza] rallenta la tachicardia, ma soprattutto mi permette di dormire.”

Ma le benzodiazepine sono più un cerotto che una soluzione al problema, e dovrebbero essere impiegate solo sul breve periodo.  “Sono farmaci per cui esiste un’indicazione precisa a non usarli in maniera continuativa per più di quattro settimane in caso di ansia grave e disabilitante, o per due settimane in caso di insonnia grave e disabilitante,” spiega Lugoboni. “Lo Xanax, che è indicato anche per gli attacchi di panico, può essere usato fino a tre mesi. Non esiste nessuna indicazione in medicina, nemmeno in psichiatria, che preveda l’uso di benzodiazepine oltre questi termini.” 

ESSERE DIPENDENTI DALLO XANAX

Quella da benzodiazepine è la più tipica forma di dipendenza originata da prescrizione medica

Questa indicazione terapeutica fa a pugni con la realtà dei fatti: stando a dati trasversali a tutti i paesi in cui sono state sviluppate ricerche epidemiologiche e validi anche per l’Italia, il 5 percento della popolazione generale usa le benzodiazepine su lungo periodo, fuori dalla prescrizione. Tra gli effetti collaterali ci sono amnesia, riduzione della capacità cognitiva e motoria (che porta a incidenti, anche in auto o domestici), irritabilità, aumento dell’impulsività, crisi di rabbia e irrequietezza.

In diversi casi—è stato il mio, e il caso di Paolo—si comincia con una prescrizione e poi si va avanti anche se non si potrebbe, mantenendo la cosiddetta “dose terapeutica” invariata. Ricorda Paolo: “A un certo punto mi prescrissero degli antidepressivi. Ma continuai anche con gli ansiolitici, soprattutto la sera ne prendevo per mantenermi ‘sedato’ il cervello.” 

Il problema del consumo prolungato è che può indurre tolleranza e assuefazione. È un fenomeno che secondo i dati a disposizione interessa lo 0,2 percento della popolazione italiana, più di 100mila persone, che sentono il bisogno di ricorrere a dosi sempre maggiori per calmare l’ansia e riuscire a dormire. In quest’ultimo caso si parla di dipendenza patologica da benzodiazepine ad alte dosi.

“Sul lungo periodo questi farmaci non sono raccomandabili perché non sappiamo prevedere quali pazienti svilupperanno dipendenza,” spiega Lugoboni. “C’è la persona che per sei mesi può prenderli al bisogno e poi sospendere, ma c’è anche la persona che dopo sei mesi invece che prenderne una dose ne prende cinque. Non sappiamo in anticipo chi sono le persone a rischio: probabilmente c’è una questione genetica, spesso c’è un papà o un nonno che avevano problemi di alcolismo (i recettori sono simili), ma è solo un’ipotesi.” 

SITUAZIONI A RISCHIO

La pervasività del fenomeno è legata alla normalizzazione del consumo di benzodiazepine, a partire dal loro ingresso sul mercato negli anni Settanta. 

“Quando cominciai a prenderlo,” ricorda Paolo, “scoprii che la mia matrigna lo prendeva per dormire, che un’amica di mia nonna lo prendeva per l’ansia, che i genitori dei miei amici lo prendevano.” 

Secondo i dati che Lugoboni e il suo team hanno raccolto in un giornale informativo distribuito con il quotidiano veronese L’Arena, quella da benzodiazepine è la più tipica forma di dipendenza originata da prescrizione medica. “I medici li danno facilmente perché sono farmaci completamente atossici: si rischia molto di più a prendere 50 bustine di Polase insieme, che non prendere 50 Tavor,” spiega Lugoboni. “Con le benzodiazepine, a meno di prenderle insieme a oppioidi o alcol, non muori.”

Il problema non è tanto nella prescrizione in sé, quanto nell’assenza di controllo su quello che succede dopo: le ricette sono facilmente ottenibili con una telefonata alla segreteria del medico, che col tempo magari dimentica anche che il paziente è in terapia. E l’esperienza di Alessandra sembra confermare. “[Lo Xanax] Mi è stato prescritto la prima volta dal mio mio medico di base dopo alcuni attacchi di ansia intorno ai 15 anni,” ricorda. “Continuo a usarlo, insieme a Minias e Lexotan, senza prescrizione.”

COME CHIEDERE E DARE AIUTO

Scenario: io o una persona a me vicina prendiamo benzodiazepine senza prescrizione. Come faccio a capire se c’è dipendenza? Lugoboni rimanda a tre domande alla fine di un video sul tema che aveva realizzato insieme a Le Iene:

  1. Ne prendi più della dose prescritta perché senti che non ti fa più effetto?
  2. Hai provato a smettere o ridurre la quantità senza riuscirci? 
  3. Non riesci più a dormire senza benzodiazepine, e/o non averne a disposizione ti causa ansia? 

Se la risposta è sì, anzitutto la dimensione del fenomeno ci fa capire che non è il caso di colpevolizzarci, non ci troviamo di fronte a una “debolezza” del singolo. Poi, è importante approfondire e rivolgersi a strutture adeguate: l’equipe della Medicina delle Dipendenze ha messo in campo un canale di informazione video online, nonché un servizio di consulenza e progressiva disintossicazione anche per le forme meno gravi di dipendenza, basato su programmi di “scalo” delle quantità affrontabili con relativa facilità anche da remoto. 

Nel frattempo, Lugoboni spinge per campagne di formazione dei medici, perché conoscano e comunichino il rischio ai pazienti: la convinzione è che se i pazienti conoscessero il rischio in partenza, le cose andrebbero molto meglio. Sulla base dell’esperienza americana con la lotta all’abuso di painkiller, propone due semplici passi: esplicitare che il farmaco può causare dipendenza, e fare solo ricette non ripetibili.

Ricordandoci anche che, se rispettiamo le indicazioni terapeutiche, questi farmaci potrebbero un giorno servirci davvero. Come ha detto Paolo, “Non nutro particolare amore per un estintore, ma sarei felicissimo di averne uno durante un incendio.”

Se tu o qualcuno a cui vuoi bene ha un problema con le benzodiazepine, puoi contattare anche solo per parlarne il dipartimento di Medicina delle Dipendenze dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona al 0458128291.