Nella notte tra lunedì 19 e martedì 20 maggio 2014 due molotov sono state lanciate in un accampamento rom di Trento, probabilmente da un’auto in corsa sulla vicina tangenziale. Le due bottiglie incendiarie sono finite, per fortuna senza grosse conseguenze, sotto una delle venti a roulotte presenti.
Su rom e abitazioni si era espresso pochi giorni prima Daniele Ozzimo, assessore alle Politiche abitative del Comune di Roma, dichiarando di voler disapplicare la circolare della precedente giunta Alemanno che impediva l’accesso ai cittadini rom alle case popolari della Capitale. Una decisione a lungo richiesta da Amnesty International, anche con una lettera indirizzata al sindaco Ignazio Marino. Eppure, storicamente, come mi aveva spiegato con molta sicurezza un 50enne romano in metro, “gli zingari non la vogliono una casa, stanno fuori e rubano. Anzi, se gli dai una casa è più facile che le guardie li trovano, per questo si spostano.” Il fine ragionamento storico portava a una conclusione: gli zingari stanno nei campi, però dai campi se ne devono andare.
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Quello dei rom è in Italia uno di quei temi su cui chiunque si sente in dovere di dire la propria. Tutti hanno visto uno zingaro rubare qualcosa, molestare qualcuno, introdursi in una casa. La maggior parte della gente ha anche una cugina che ha un amico che ha visto una zingara nascondere sotto la gonna un bambino sottratto alla madre al supermercato.
Risale a ottobre 2013, per esempio, la storia di Maria, la bambina di 4 anni dagli occhi e capelli chiari, sottratta dalla Polizia a due rom greci durante un’operazione nel campo di Fasala, ad Atene, perché “l’aspetto non combaciava” con quello dei presunti genitori. La coppia era stata arrestata poco dopo per rapimento di minore e in Europa si era scatenata un’isteria collettiva sul traffico di bambini da parte degli “zingari”, con ottimi riscontri in Italia. Salvo poi, qualche giorno dopo, scoprire che i veri genitori, due rom bulgari, l’avevano lasciata di proposito alla coppia greca perché incapaci di mantenere la bambina.
La vicenda ha reso evidente quanto in Italia la psicosi del rom cattivo abbia raggiunto livelli preoccupanti.
In questi anni, l’intolleranza diffusa nei confronti dei rom è stata spesso cavalcata dai partiti politici, che hanno usato i rom come merce di scambio per vincere le elezioni. La maggior parte delle volte è stata “l’emergenza sicurezza” a essere tirata in ballo, talvolta per giustificare sgomberi da parte delle amministrazioni, di frequente sull’onda di fatti cronaca. Altre volte, invece, ad aver fortuna è stato il sempreverde “prima gli italiani poveri” (o comunque “prima gli italiani” e basta). L’assioma seguito è rubano-vivono nel degrado-non vanno tutelati. Su questa scia si è arrivati a sostenere, addirittura, che il fatto di essere una minoranza etnica garantirebbe ai rom “numerosi privilegi” a scapito degli italiani.
L’isteria zingari si è trasformata spesso in episodi di violenza inaudita. A ottobre del 2013 a Napoli, una bambino rom di due anni è stato colpito da una pioggia d’acido proveniente da un balcone mentre camminava per strada con la madre. Qualche mese dopo, sempre a Napoli, il campo di Poggioreale è stato dato alle fiamme durante la notte. La sera del 25 aprile 2014, invece, a Latina, quattro minorenni rom sono stati presi a schiaffi e calci da una ronda di 15 persone composta da cittadini e forze dell’ordine.
L’intolleranza, oltre a essere sbandierata e ubriacata durante cortei cittadini—con slogan come “ripuliamo le nostre città”—trova sfogo anche in gruppi su web e social network, dove si ritrovano soggetti con la capacità di credere alla notizia che dal primo aprile i rom avrebbero potuto viaggiare gratis sui mezzi pubblici. L’articolo, pubblicato dal sito Notiziepericolose (poi rimosso), è stato ripreso da tanti pseudo siti d’informazione e condiviso da migliaia di indignati profili facebook. E non è l’unica bufala virale nei confronti della popolazione rom. C’è stata la sollevazione per i presunti trentamila euro a famiglia regalati da Pisapia mentre “le famiglie italiane dormono in macchina”, o l’indignazione verso questo popolo che butta il cibo gentilmente donato dal governo.
Non è stata accettata di buon grado neanche la notizia che a Torino il sindaco Fassino avrebbe concesso ai rom “case di lusso, mentre i cittadini sono in fila a pagare la mini-imu.” Infine, il grande classico della foto su Facebook di una donna rom con in braccio un bambino con i capelli biondi. Richiesta massima condivisione: “vi prego di far girare questo foto (scattata il 21/12/2013) Roma stazione Tiburtina, questo bambino adesso in braccio ad una zingara piangeva tanto. Avrà un anno e mezzo, massimo 2. Biondo riccio, gli occhi sembrano chiari, non sembrava figlio suo. CONDIVIDETE MAGARI QUALCUNO LO CONOSCE!!!”. La psicosi collettiva non si è fermata neanche davanti a cose come la depenalizzazione dei furti dei rom sotto i 200 euro per rispetto alla loro cultura (di ladri). Anche qui il sito originario (Giornaledelcorriere) ha rimosso la notizia. Non prima però di averla resa virale, arrivando fino ai forum del blog di Beppe Grillo. Un barlume di lucidità si è palesato solo davanti all’annuncio per cui da settembre 2014 i rom potranno volare, anche se uno dei commenti alla notizia più diffusi è stato “Anche se è una bufala loro hanno più diritti di noi!!!”.
Questa storia che i rom sarebbero ‘agevolati’ rispetto ai poveri italiani è parecchio diffusa tra i nostri professionisti dell’indignazione. In realtà, come mi spiega Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, “queste persone sulla carta hanno i diritti che hanno tutti i cittadini. Tra l’altro, ‘rom’ non è uno status giuridico. Secondo una stima, in Italia circa la metà dei rom sono italiani. La loro è un’identità culturale.” Identità che non comprende affatto rubare (o non più di quanto fanno gli italiani), tanto meno sottrarre i bambini.
La leggenda sul “furto di minori”, tra l’altro, è stata completamente smentita da una ricerca dell’università di Verona del 2008 che ha accertato che dal 1985 al 2007 in Italia non esiste nessun caso di condanna per sequestro o sottrazione di persona per presunto rapimento di bambini da parte di rom. “Il problema,” dice Stasolla, “è che queste persone, sin dal loro arrivo in Italia nel 1400, hanno assunto il ruolo di capri espiatori. La funzione sociale dei rom è la stessa di un cestino della spazzatura in una casa: raccogliere il marcio. E oramai anche per amministratori e media è più comodo che sia così.”
Così come, probabilmente, è comodo far girare l’idea che “gli zingari non vogliono una casa”, verità tutta italiana e ben radicata ma completamente falsa. “Ci sono 800 mila rom in Spagna e due milioni in Romania che vivono in una casa, forse bisognerebbe chiedere a loro se preferiscono stare in una baracca. I rom vogliono una casa, come tutti i cittadini. In Italia, poi, su 180 mila rom presenti sul territorio, solo 40 mila vivono nei campi,” mi spiega Stasolla, che è convinto che l’unico modo per sfatare questi falsi miti che alimentano l’intolleranza e abbattere il pregiudizio sia la conoscenza. “La ragione di tutto sta nell’ignoranza. Pur vivendo da noi da centinaia di anni, ancora non conosciamo queste persone”.
Il problema, però, è anche politico. John Dalhuisen, direttore del Programma Europa e Asia Centrale di Amnesty International, sostiene che “troppo spesso i leader europei si mostrano compiacenti verso i pregiudizi che alimentano la violenza contro i rom. Se da un lato, in generale, condannano i più gravi episodi di violenza, dall’altro le autorità sono riluttanti a riconoscerne l’effettiva dimensione e sono lenti a contrastarla.”
Secondo il Rapporto dell’Associazione 21 luglio, il problema del nostro Paese è che “non ha adottato una legge a livello nazionale che mettesse in opera una strategia sulla cosiddetta ‘questione rom’, preferendo piuttosto limitarsi a gestire volta per volta le sole questioni di ordine pubblico.” In realtà, una sorta di indicazione nazionale c’è stata ed è la cosiddetta ’emergenza nomadi’, proclamata nel 2008 dal governo Berlusconi per affrontare “una situazione di grave allarme sociale con possibili ripercussioni in termini di ordine pubblico e di sicurezza per la popolazione locale.” Il decreto è stato dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato nel 2011, non prima di aver consentito agli amministratori locali numerose deroghe ai diritti umani: campi-ghetto e una pioggia di sgomberi forzati. Così è successo con i ‘piani nomadi‘ di Roma e Milano, delle giunte Alemanno e Moratti, e nelle altre regioni interessate dall’emergenza (Campania, Piemonte e Veneto). Nel resto d’Italia si è fronteggiato di volta in volta la situazione, ma il comune denominatore delle politiche è sempre stato uno: dover gestire una minaccia per la pubblica sicurezza.
“Quello dei rom è l’unico caso in Italia in cui un’intera comunità è costretta a prendere la responsabilità di singole persone,” mi dice Riccardo Noury, portavoce per l’Italia di Amnesty International. “Il problema, poi, è che non si riesce a uscire dalla mentalità dei campi, una logica che dice di seguire le presunte esigenze di ‘nomadismo’ e invece ghettizza lontano dai centri. Se guardi la mappa dei campi di una città sembra l’oblò di una lavatrice.”
Noury mi spiega che questa storia dei rom relegati nelle baracche ai margini è una prerogativa del nostro Paese. “L’Italia in Europa da questo punto di vista è il ‘paese dei campi’. Questo perché da noi, salvo rare eccezioni, non esiste un’alternativa. Nell’Europa orientale non è difficile trovare rom che stanno in delle case. Magari in quartieri monoetnici e poveri, ma non in delle baracche. C’è però da dire che lo stigma verso il popolo rom è comune in tutta Europa.”
Non solo, però, siamo il ‘paese dei campi’, ma anche quello degli sgomberi, fatti per lo più ‘per la sicurezza comune’. Un paradigma largamente utilizzato in Italia sia a destra che a sinistra. “Questo perché la politica ha ufficializzato questo luogo comune: meno rom, più sicurezza”, mi spiega Noury. “Ed è un pensiero radicato da entrambe le parti […] E questa trasversalità politica dell’intolleranza trova riscontri in altri paesi europei: in Francia c’è stato un ministro dell’Interno socialista che sull’espulsione dei rom ha basato tutta la campagna elettorale. Sto parlando di Valls, che oggi è primo ministro.”
Il luogo comune ‘meno rom, più sicurezza’ di cui parla Noury è stato negli anni il paravento per consentire innumerevoli sgomberi che Amnesty ha classificato come illegali: nessuna notifica preventiva, nessuna consultazione con la popolazione che vive nel campo, nessuna possibilità di fare ricorso e nessuna previsione di un alloggio alternativo. “Ecco, uno dei diritti umani che un rom vede violato più spesso è il diritto a un alloggio adeguato. Senza contare che uno sgombero porta con sé conseguenze devastanti sulle persone per quanto riguarda la salute, l’igiene, il diritto all’istruzione,” dice Noury. Diritti rivendicati ogni giorno nei confronti di tutte le categorie sociali. Dove va a finire l’indignazione appena si entra in argomento rom? Si scontra con l’unica forma di apartheid socialmente accettata in Italia. E c’è un atteggiamento che riguarda tutti, dalla politica ai media, dai giovani agli anziani, alle persone istruite o meno. E se ve lo stavate chiedendo, sì, siamo davvero così ignoranti.
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