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L’esordio di Quentin40 è come dovrebbero essere gli esordi

Quentin40 Bovisa

Se alla musica si applicano tante etichette il risultato, di solito, non è entusiasmante. Basta pensare a quegli ambiti in cui si crea un numero eccessivo di sottogeneri: ci sono clubber partigiani che per 10 bpm in più o in meno ignorano interi cataloghi di musica non così dissimile da quella che ascoltano di solito. È un rischio dimostrato anche dalla deludente guerra tra vecchia e nuova scuola nel rap, ma se l’ascoltatore conservatore preferirebbe ascoltare un numero infinito di artisti riproporre la stessa musica dei propri predecessori piuttosto che una novità, in un certo senso anche la nuova scuola è caduta in questo tranello.

Nel voler imporre la propria idea di rap, la nuova scuola ha creato un’industria (e un pubblico) che non disdegna i cloni, dimenticandosi di chi cercava invece di osare un po’ di più. Per fortuna, come spesso accade in queste circostanze, il fenomeno è durato relativamente poco e sono usciti rapper a cui le etichette stanno strette. Penso a Madame, a Massimo Pericolo e sicuramente a Quentin40, che con il suo primo album 40 ha dimostrato di saper approfittare al meglio di questo scenario.

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Dopo l’enorme successo di “Thoiry Remix”, che pur avendo giovato a un emergente Quentin ha lasciato la fetta più grossa di gloria ad Achille Lauro, 40 doveva motivare a posteriori l’hype che si era creato intorno al rapper di Acilia trapiantato nella Bovisa milanese, e nel complesso si può affermare senza troppi dubbi che l’obiettivo è stato raggiunto. In poco più di mezz’ora di disco (tra inediti, best of degli esordi e versioni estese di precedenti singoli) emergono tutti i suoi punti di forza: un’idea stilistica chiara che si nutre dell’alternanza tra ritmi e toni molto diversi tra loro, una cattiveria agonistica a cui il rap italiano si era in parte disabituato e una particolarità di flow che lo rende subito riconoscibile (le sillabe tagliate, come spiegava in questa intervista, sono solo un preziosismo).

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La copertina di 40 di Quentin40, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify.

L’elemento più interessante di 40 è proprio la capacità del suo autore di creare un album coerente nonostante l’accostamento di tracce realizzate in periodi (e luoghi) diversi e piene di influenze varie: ci sono banger come “Luna Piè”, “666GAP” con Fabri Fibra (con tanto di sample del tema di Lavandonia dei Pokémon) e “Giovane1”; brani più introspettivi come “Giovan8”, “Le darò 1 passà”, “Mamma mia” e “Scusa ma”; il quasi-reggaeton di “Fahrenheit”, il cloud di “Piatto di pasta” e “40”. Il tutto anche grazie al lavoro di un ispiratissimo Dr. Cream.

I testi sono come una carrellata rapidissima nella vita di Quentin, dal passato laziale nei giardinetti al più roseo presente milanese (“Su di un box auto, dietro una serranda, tre mura di carta / scrivo a penna, ce l’ho fatta”), da una parte con qualche punchline ben assestata (“Vengo, vengo, vengo, tu sei vuoi mi aspetti / vengo dentro al tuo piatto e se vuoi te la scarpetti”) e dall’altra con delle dichiarazioni di intenti pacifiche e modeste (“Faccio musica del cazzo che mi pare e piace / mai snobbato nessuno, fammi fumare in pace”).

Molti evidenziano (anche correttamente) i parallelismi tra il rapper di Acilia e alcuni colleghi transalpini, ma ascoltandolo il primo riferimento estero che mi viene in mente è Vince Staples, uno che rifiutando le etichette è sempre rimasto in bilico tra underground e commerciale, con una propensione innata per la velocità e l’aggressività. Non a caso entrambi, dopo tanta gavetta, sono oggi tra i rapper più interessanti dei loro rispettivi paesi. 40, con la sua convivenza di voci contrastanti, conferma che Quentin40 è un elemento prezioso per la scena italiana; perché non segue una corrente, ma si è costruito una strada che solo lui e nessun altro potrebbe percorrere, un po’ come a suo tempo aveva fatto l’unico ospite di questo disco, Fibra.

Tommaso è su Instagram.

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