Il mondo dei videogiochi è da sempre caratterizzato da un rapporto problematico con le donne. Tra stereotipi e insulti sessisti, questo settore culturale fatica a distaccarsi da un’idea del femminile che non sia meramente decorativa, e ad abbandonare l’idea che i videogiochi siano, per diritto, retaggio esclusivo del genere maschile. Un episodio che si è verificato di recente e che riguarda la pubblicazione di video dai contenuti controversi da parte di alcune testate di settore italiane è l’ultimo esempio del perché sia necessario—ora più che mai—parlare di sessismo e videogiochi.
I video
Videos by VICE
Cominciamo dai fatti recenti: due video girati all’ultima edizione dell’E3—la conferenza di videogiochi più grande al mondo che si tiene ogni primavera a Los Angeles—, prodotti e pubblicati da due testate italiane del settore videoludico, hanno sollevato un discreto polverone tra il pubblico e gli addetti ai lavori.
Entrambi i video rientrano in un “format” fino a pochi anni fa decisamente in voga tra le testate di settore di tutto il mondo—Nell’ultimo periodo, però, questo tipo di contenuti è stato progressivamente abbandonato. Si tratta di filmati girati con l’intento di mostrare “le bellezze femminili” delle grandi kermesse a tema videogiochi: uno dei due lo fa di nascosto, mentre nell’altro vediamo l’inviato intervistare diverse ragazze e interagire con loro attraverso allusioni che lasciano poco all’immaginazione.
Motherboard ha contattato l’ufficio stampa della Entertainment Software Association, la società dietro a E3, quello di Gamescom—la conferenza di gaming più importante in Europa—e quello di AESVI—l’Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani—, per chiedere loro un commento alla vicenda. Le prime due hanno preferito non rilasciare dichiarazioni ufficiali, mentre AESVI per il momento non ha risposto alle email. Allo stesso modo, abbiamo richiesto un commento a Spaziogames.it e Multiplayer.it; un portavoce di quest’ultimo si è reso disponibile al confronto e ha risposto alle nostre domande, mentre siamo ancora in attesa di una replica di Spaziogames.it.
Donne e videogiochi
I motivi per cui contenuti come quelli presentati nei due video non possono essere ignorati o essere considerati un’innocente bravata da buontemponi, né una tradizione da “portare avanti con coraggio”—come recita l’introduzione di uno dei due video—sono molteplici, e c’è qualcosa di paradossale nel trovarsi a spiegarli ancora oggi, a due anni dagli eventi del GamerGate, che hanno reso chiaro a tutti quanto sia problematico il sessismo nel settore dei videogiochi.
Il punto fondamentale che ci tengo a chiarire subito è che qui non stiamo parlando di videogiochi tout court. Stiamo parlando delle persone reali che fanno parte dell’ecosistema culturale fermentato intorno al gaming e di giornalisti che, nel migliore dei casi, sembrano non avere la minima idea del dibattito relativo al sessismo in corso da anni, e, nel peggiore, sembrano ignorarlo deliberatamente, presumibilmente nel desiderio di fornire ai propri lettori ciò che vogliono.
Il sessismo—in caso servisse metterlo in chiaro—non ha niente a che vedere con la celebrazione del sesso o la trasgressione dal bigottismo: il sessismo—per definizione—è una forma di discriminazione basata sul genere sessuale. In altre parole, significa trattare una persona in sola funzione del suo genere, limitando il suo valore all’essere oggetto di desiderio sessuale. Non c’è niente di celebrativo in un video che segue per i corridoi di un evento il fondoschiena di una giornalista inconsapevole, né nel chiedere a un ragazzo di “giocare in multiplayer” con la sua ragazza in cambio di un coin, come si vede nei video.
<
Negli ultimi anni ha preso piede l’idea che un contenuto sessista accompagnato da un atteggiamento ironico non sia effettivamente sessista. Questo assunto rafforza l’idea che il sessismo sia qualcosa su cui è legittimo scherzare, perché “nessuno la pensa più così”. In contesti pubblici—dove non si può dare per scontato un significato assoluto e unanime di ironia—, ciò che resta del sessismo “ironico” è fondamentalmente una reiterazione degli stereotipi che si illude siano ormai superati.
“Il taglio del video è chiaramente ironico, come lo è sempre stato in decine di video similari che abbiamo fatto negli anni passati e nessuno si è mai sentito offeso,” ha spiegato via email a Motherboard Pierpaolo Greco, portavoce di Multiplayer.it. “Mi preme inoltre farle presente che la fiera appartiene ai cosiddetti ‘safe spaces,’” ha proseguito, “dove chi entra sottoscrive implicitamente il suo consenso a essere ripreso, intervistato e a finire in un video. Detto questo noi ci siamo anche preoccupati di tagliare tutte quelle persone che ci hanno chiesto di non apparire in video o non sembravano convinte del nostro operato.”
Per chiarezza, l’intervista con Pierpaolo Greco presente in questo articolo è stata editata per motivi di spazio. A questo link è leggibile lo scambio completo.
Come ha spiegato per telefono a Motherboard Alessandra Contin, giornalista di settore per LaStampa.it e PlayStation Official Magazine Italia, il problema con chi realizza questi video è che “non capiscono che quelle ragazze non sono lì per compiacere, ma per lavorare.” Mettere una persona in una condizione di disagio e di pressione, continua Contin, significa privarla della libertà di scelta. “Una ragazza immagine non può mandare al diavolo una persona, perché essere gentile è il suo lavoro. Deve continuare a farlo anche se chi ha davanti si comporta come un idiota. Non capirlo è grave.”
Mascherare con uno strato di falsa ironia una richiesta sessuale a un perfetto sconosciuto in un ambiente che non dà ragioni per credere che sia lecito farlo, è problematico perché conferma l’idea fin troppo diffusa che sia un comportamento accettabile anche nella vita quotidiana. Troppo spesso determinati approcci non sollecitati vengono liquidati con la scusa della simpatia e—a prescindere dal fatto che il video possa essere orchestrato o meno—il messaggio che manda agli spettatori è inequivocabile: dall’essere uno strumento creativo estremamente potente, l’imbarazzo diventa un’imposizione, un limite.
Ciononostante, il problema non è tanto da cercarsi negli eventi che si consumano nei video, quanto più nel fatto che a un certo punto del processo di produzione editoriale una serie di addetti ai lavori inseriti nel settore e consci della problematica di sessismo che lo colpisce abbiano ritenuto legittimo dare l’ok alla pubblicazione di contenuti di questo tipo.
“Io rimango fortemente convinto,” ha spiegato Greco a Motherboard, “che per diffondere le pari opportunità e l’uguaglianza tra sessi, oltre che per dare spazio e visibilità ai differenti gusti sessuali del pubblico moderno, non bisogna smettere di parlare di qualcosa e non c’è necessità di abbandonarsi ad auto-censure in funzione di un moralismo che cambia di società in società e con il passaggio del tempo, ma è essenziale manifestare una vera eterogeneità dell’informazione: coprire il proprio settore di riferimento a 360° dando in pasto ai lettori tutto quello che vogliono e che ricercano online. Saranno loro a determinare cosa ha senso leggere e vedere e cosa deve invece essere ignorato.”
La presenza di un’offerta editoriale approfondita e variegata non giustifica il fatto di continuare a pubblicare contenuti che riguardano solo collateralmente i videogiochi e che limitano la “celebrazione” di donne reali al loro essere oggetto di fantasie sessuali. Secondo Alessandro Zampini, contributor di IGN Italia, si tratta di una scelta editoriale contraddittoria. “Non so se sia un problema endemico del settore o sia figlio del modo di pensare dei singoli redattori, che si riflette poi sulle loro produzioni,” ha scritto in una email Zampini a Motherboard, “ma non accorgersi che i video sulle ‘Ragazze dell’E3’, siano esse intervistate o goffamente stalkerate, sono contenuti che nemmeno si dovrebbero proporre al proprio editor (figurarsi poi pubblicarli) è la testimonianza del fatto che qualcosa non sta funzionando.” È questo tipo di volontaria (o involontaria) omertà da parte dei canali di informazione che permette a molti videogiocatori di continuare a perpetrare determinati commenti ormai fuori da ogni logica sociale e storica.
“La semplificazione donna/trofeo ha potuto piantare radici perché i videogiocatori sono rimasti chiusi in una bolla di auto-indulgenza per decenni.”
Anche Francesco Fossetti, editor in chief di Everyeye.it, ha fatto riferimento all’argomento, in uno scambio di messaggi con Motherboard. “Quello che mi lascia sempre interdetto è la metodicità con cui le voci di dissenso vengono ignorate,” ha scritto. “Dal momento che prodotti del genere non si avvicinano neppure lontanamente agli obiettivi che una testata dovrebbe avere (ovvero quello di fare critica, analisi e informazione), se una parte del pubblico li interpreta come problematici, grevi, offensivi, si dovrebbero eliminare senza rimpianti, invece di far leva sul ‘consenso popolare’ di chi non li giudica lesivi.”
Il problema è reale
L’idea che un contenuto che reitera l’oggettificazione del corpo della donna sia una parte fondamentale della copertura di un evento di videogiochi e che la mancanza di ragazze immagine sia dovuta alla paura di “destabilizzare gli animi dei più bigotti” anziché a una maturazione del settore è deviata e morbosa. Il mondo dei videogiochi è stato per qualche tempo una nicchia, un “boys club” relativamente ghettizzato da altri frangenti della società e nutrito da un’industria che ha saputo cogliere il potenziale economico di una generazione riluttante verso determinate responsabilità sociali e culturali.
La semplificazione donna/trofeo sessuale ha potuto piantare radici perché i videogiocatori sono rimasti chiusi in una bolla di auto-indulgenza per decenni, sorda alla necessità di intraprendere una critica degli stereotipi di genere. Da quando questa bolla è esplosa e i videogiochi hanno iniziato a trasformarsi in un prodotto culturale fruibile da uno spettro sociale molto più ampio, questa visione si è rivelata per quello che era, ovvero falsa e nociva. Il settore dei videogiochi si sta evolvendo per diventare più inclusivo e diversificato—ignorare deliberatamente il cambiamento in atto non è un gesto trasgressivo, ma reazionario.
La stessa E3 ha tutto l’interesse a circoscrivere casi di di questo tipo; dopo il GamerGate—di cui uno degli aspetti più gravi è stato il pessimo tempismo da parte dei media e dell’industria nel riconoscere dove stesse il torto reale—, un evento di portata mastodontica come una conferenza mondiale non può condonare un prodotto che basa il proprio valore di intrattenimento sulla discriminazione sessuale. È pessima, pessima pubblicità, che getta un’ombra sul tipo di ambiente che la conferenza stessa offre ai suoi partecipanti.
Le conseguenze del sessismo nel mondo dei videogiochi sono pratiche e tangibili: vanno dalle difficoltà che molte giocatrici riscontrano all’interno delle community, alle minacce fisiche ricevute da sviluppatrici e accademiche durante e dopo lo scoppio del GamerGate, al risveglio di fantasmi terroristici come nel caso della conferenza di Anita Sarkeesian all’università dello Utah, annullata per una minaccia di strage.
Il discorso non è—ovviamente—limitato al mondo dei videogiochi: qualche anno fa, per fare un esempio, lo YouTuber Sam Pepper, dopo una serie di video in cui mette in atto scherzi a sfondo sessuale su sconosciute per strada, è stato al centro di una controversia che ha visto mobilitarsi molti nomi della community del sito; i video di Pepper sono presto diventati protagonisti di accuse molto più gravi.
C’è una difficoltà culturale a riconoscere che determinati atteggiamenti e gesti sono nocivi: la loro normalizzazione, il fatto che ci siano persone che li trovano divertenti è il danno più grave, come è stato scritto dai nostri colleghi su Noisey Italia a proposito di un’altra bolla di demenza culturale dai risvolti sessisti.
A permettere che un contenuto come quello dei video girati all’E3 possa ancora esistere sono anche le persone che ne condividono i toni e le testate che li promuovono, legittimando più o meno inconsapevolmente il pensiero contingente secondo cui le donne non sono benvenute nel mondo dei videogiochi, se non come oggetto di desiderio sessuale.
Il fatto che nell’industria e nell’editoria di settore si comincino a proporre contenuti progressisti—come videogiochi a tema LGBTQ—, mentre video come quelli in questione restano immutati,, non è esempio di par condicio editoriale, ma sintomo di una difficoltà di fondo nel riconoscere in questi contenuti gli stessi meccanismi che remano contro un vero progresso socio-culturale del settore. Il sessismo—velato o meno dall’ironia—non è un gusto o un’identità sessuale da rispettare parimenti alle altre. È un atteggiamento da sradicare.
Il regolamento stesso dell’E3 (nel caso ci fossero dubbi sulla legittimità di determinati comportamenti) recita chiaramente, “Le molestie non sono accettabili. I motivi determinanti l’espulsione includono, ma non si limitano a: molestia verbale; intimidazione o minaccia; violenza fisica; stalking; comportamenti sessualmente espliciti, sconvenienti o provocatori.” Il testo prosegue poi specificando che, “La E3 non tollera atteggiamenti discriminatori o di abuso in alcun caso, tra cui, ma non solo, quelli in relazione alla nazionalità d’origine, all’etnia, al genere o all’identità di genere, all’orientamento sessuale […]” Dettami piuttosto chiari, ma forse non per tutti.
Una delle introduzioni ai video discute la presenza esigua di booth babes alla E3 di quest’anno come un “passo indietro” dell’industria. Come si può definire progressista l’idea di sfruttare un corpo femminile per il merchandise di un prodotto? Di nuovo, non ha niente a che fare con una presunta liberazione sessuale; si legittima invece un’oggettificazione delle donne mascherandola da anti-moralismo, elevando una visione parziale (e strumentalizzata) della sessualità femminile a unica espressione possibile della stessa.
Un approccio sessuale privo del benché minimo senso del contesto da parte di un giornalista che dovrebbe parlare di videogiochi, non fa che reiterare il cliché del videogiocatore disagiato e pervertito. Non c’è niente di “innocente” nella “depravazione” di cui si vanta il video di Spaziogames.it: è invece emblematica di una mentalità da vecchia guardia recidiva, incapace di stare al passo con il resto del mondo e determinata a offrire giustificazione e conferma istituzionale a chi ancora crede che le donne siano solo una decorazione.
Anche su questo argomento, Greco si è espresso diversamente. “Sono convinto nell’intimo che il video [di Multiplayer.it] non faccia passare il videogiocatore come un disagiato ma anzi dimostri con forza quanto oggi è facile prendersi in giro sfruttando una serie di cliché e chiacchierando con le ragazze presenti in fiera,” ha scritto a Motherboard. “Sono molto tranquillo nel ritenere che un video dove un ragazzo italiano che parla perfettamente inglese e che si è fatto conoscere dai lettori per tutta una serie di indagini e interviste seriose sui prodotti mostrati e presentati durante la fiera di settore annuale, si lascia andare a una serie di scambi di battute a sfondo videoludico e tecnologico, sia in grado di strappare una risata in chi guarda. Una risata magari generata dall’imbarazzo o da una battuta infelice, ma di certo non una risata di disgusto o sdegno.”
“Sono convinto che video del genere rappresentino un problema non solo per la nostra categoria professionale, ma anche per l’immagine che danno dei videogiocatori,” ha scritto invece a questo proposito Fossetti a Motherboard. “Etichettare certe produzioni come goliardiche e leggere è sbagliato: si può essere leggeri senza essere triviali, si può fare ‘infotainment’ rispettando le persone e le professionalità che gravitano nel nostro ambiente.”
Ciò che questi video—e chi insiste nel pubblicarli—alimentano è un malsano menefreghismo delle responsabilità del settore in quanto settore culturale: veicolano un messaggio sessista, presentandolo al contempo per rivoluzionario e ingenuo. In un’inquadratura del video di Spaziogames.it si vede qualcuno che stende una riga di dolcificante con la tessera dell’IKEA, citando, come mi ha fatto notare Contin, il videogioco GTA. “Con una citazione alla mamma di tutti i mali—almeno per la stampa generalista—, ovvero GTA, si vuole proprio attirare l’attenzione.” ha detto Contin. “Ma questo è un modo talmente fanciullesco di farlo, che la provocazione diventa ridicola.”
“Facciamo parte di un sistema culturale, rendersi conto della nostra posizione e della nostra influenza in questo sistema è importante.” ha scritto Fossetti. “Chi è più in vista dovrebbe difendere e diffondere un certo tipo di valori, ma anche rivendicare (o perlomeno stimolare) la maturità del proprio pubblico.”
A prescindere dalle decisioni che potranno prendere gli organizzatori di E3 e altri eventi del genere come Gamescom, il fatto stesso che questo genere di prodotti cominci a diventare oggetto di attenzione sia da parte di chi allestisce gli eventi più importanti del settore che di chi ne scrive, è un segnale chiaro del fatto che nel mondo che circonda i videogiochi è in atto un cambiamento e una presa di coscienza, dove il sessismo—anche quello ironico—non resta più del tutto invisibile.
Questo articolo verrà aggiornato in caso di giunta risposta dalle parti interpellate.