“Le alghe assorbono molta CO2 e sono molto funzionali: contengono vitamine, potassio, magnesio, iodio e anche Omega 3, che in genere si trova nel pesce.”
Nel piatto ci sono piccoli rametti verde scuro, lucidi: una mano si avvicina e ne prende una manciata per portarli alla bocca. No, non sono patatine verdi, nemmeno strane o foglie qualunque. Sono alghe, nello specifico percebe e mi ricordano vagamente la salicornia. Hanno lo stesso nome dei crostacei più costosi, ma non lo sono affatto.
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Quella delle alghe in cucina è certamente una storia antica nei Paesi asiatici e poco documentata in Italia—con l’eccezione di alcune ricette locali per i paesi che affacciano sul mare.
Ma è pur vero che di alghe in cucina ne abbiamo sempre sentito parlare: o comunque suona bene. Sono però pochi i ristoranti che le usano e ancora meno le persone che le comprano per casa. Tranne l’eccezione dell’alga spirulina, ovviamente, che, da quando tutt* hanno scoperto avere virtù miracolose (o fantasiose) è in ogni cucina.
Quella descritta nel piatto, però, non è un’alga spirulina e nemmeno una microalga: è un’alga fresca come un’insalata di mare, raccolta direttamente nel suo ambiente.
A scommettere sulle alghe nei piatti e sulle tavole italiane, assicurando una fonte di approvvigionamento certa e con una storia interessante, è SuperNaturale, un’azienda di distribuzione che nasce dall’aggregazione di quattro soci, Andrea Romeo, Riccardo Zamurri, Pasquale Livieri e Anna Pasolini. L’obiettivo di SuperNaturale è quello di distribuire prodotti di qualità ed etici.
Come mi racconta Riccardo Zamurri, uno dei fondatori di SuperNarutale ed esperto di strategie di digital marketing, le alghe non sono state un punto di partenza, ma di approdo. Prima il focus si è concentrato sulla ricerca di prodotti ittici, di pesce in scatola nello specifico che avesse una realizzazione sostenibile, ma la proposta apriva più problematiche di quelle che risolveva.
“Non era il messaggio che volevamo promuovere,” dice Anna Pasolini che ha il ruolo di consulente ambientale. “Il pesce sostenibile è un argomento molto complesso e quasi mai è sostenibile o etico al 100 percento.” Da qui l’interesse per le alghe, una pianta—o, meglio, un organismo di struttura vegetale—che si può utilizzare anche per l’alimentazione umana e che risponde molto meglio alla chiamata della sostenibilità.
“Le alghe assorbono molta CO2,” mi spiega Anna Pasolini, “per questo ci hanno attratto. Poi abbiamo esplorato le loro qualità nutritive e gustative. Sono molto funzionali, perché ricche di vitamine, potassio, magnesio, iodio, e anche Omega 3, un acido grasso essenziale che in genere prendiamo da altre fonti, come il pesce ad esempio, in modo molto meno sostenibile per via ovviamente della pesca intensiva e di tutti i problemi legati al mercato ittico.”
Molte alghe, prosegue Pasolini, “puliscono le acque , sono estremamente economiche, possono essere coltivate senza particolari abilità, vengono lavorate pochissimo, si conservano bene. Potrebbero entrare tranquillamente nell’alimentazione mediterranea: ci sono pochi difetti, basta semplicemente conoscerle. In linea di massima quelle marine sono quesi tutte buone e quelle di acqua dolce quasi tutte tossiche.”
Il tema quindi non è tanto quello delle alghe in sé, ma di dove andarle a prendere. “Abbiamo fatto le nostre ricerche e, alla fine, abbiamo scelto di lavorare con La Patrona, un collettivo di sole donne a Cambados, in Spagna” spiega Riccardo Zamurri. “Guidate da Cristina García, un’ambientalista madrilena che sì è stabilita in Galizia e fa raccolta di alghe selvatiche a mano e con un’attenzione specifica alla rigenerazione delle piante. Noi le stiamo proponendo a ristoranti, cuochi e botteghe”.
Alcune realtà di Roma e di Milano hanno accettato di mettersi alla prova, proponendo piatti che coinvolgessero le alghe: per esempio Santo Palato, Faro, Enoteca Naturale e Bottega Liberati.
Ma come si usano le alghe in cucina? Quelle grosse, salmastre, quasi scivolose? “Per capirlo meglio ci siamo rivolti ai galiziani, perché nella dieta spagnola questi alimenti sono molto più introdotti che in Italia,” dice Zamurri.
In effetti, a parte le frittelle che si fanno in Campania e in Sicilia e qualche piatto di ristoranti fine-dining (come questo de La Pergola a Roma), non mi viene in mente nessuna ricetta nostrana che le comprenda nella lista degli ingredienti. Forse solo gli spaghetti con il mauru della Sicilia orientale.
“Abbiamo sperimentato tanto e scoperto la versatilità autentica di questo prodotto: fritto, crudo, in insalate, come contorno, frullato, nella pasta, nei lievitati, nelle centrifughe, nei risotti, nelle frittate. È super gustoso e saporito, adatto a qualunque tipo di alimentazione,” spiega Zamurri. L’unica cosa da fare, se sono sotto sale, è sciacquarle prima di cucinarle fino ad ottenere il grado di sapidità preferito.
Parlando della vita dell’alga, Anna Pasolini racconta che si possono trovare sia di aquacultura sia selvatiche. “Ci teniamo a specificare che le nostre alghe sono selvatiche. Questo comporta immergersi in acque a bassa profondità per tagliare le piante e raccoglierle. Cristina García lavora con il ministero della Galizia per definire quanta massa si può prelevare in modo che la popolazione di alghe venga mantenuta. Di alcune raccolte si occupa lei direttamente, in altre che si trovano leggermente più in profondità coinvolge piccoli pescatori. È un prodotto che al mare fa molto bene e vogliamo assicurarci che levandolo da lì, non ci siano impatti negativi.”
Mangiarle fresche, sotto sale o sotto acqua, fa la differenza: assicura il mantenimento della loro fragranza, umidità e consistenza naturale.
Le alghe di cui si occupa SuperNaturale sono organizzate in quattro specie, anche se nel mondo delle piante acquatiche c’è una biodiversità molto più ampia.
C’è lo spaghetto di mare, che in quanto a forma assomiglia più a una tagliatella; il wakame, l’alga più nota al pubblico italiano che la vede nei ristoranti di cucina giapponese (anche se quella che mangiamo in Europa non è del tutto autentica); la lattuga di mare, che sembra veramente una lattuga e ricorda il sapore dei fagiolini verdi; e poi il percebe, di cui abbiamo parlato all’inizio e che potrebbe facilmente sostituire un aperitivo con le patatine o un’insalata in busta, decisamente meno sostenibile.
Gusti, consistenze e usi sono molto diversi tra di loro, ma ci sono cose in comune: sono prodotti freschi, raccolti e confezionati per essere mangiati in molti modi.
Come spiega Anna Pasolini: “Questo prodotto ci ha portato a riflettere molto sullo stato del nostro mare, il Mediterraneo, e anche sugli effetti della pesca. Abbiamo cercato le alghe anche in Italia, ma abbiamo trovato una situazione molto meno formalizzata. Ci sono singoli pescatori che pescano le alghe per qualcuno, ma non ci sono realtà organizzate o colture.”
Visti i vantaggi, la sfida adesso è capire se un piatto di alghe fresche riuscirà a superare il protezionismo gastronomico all’italiana.
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