La prima volta che intravedo la copertina del nuovo disco di Jamil, Rap is Back, mi assale il dubbio: sta uscendo o entrando, è tornato a raddrizzare la scena o ha deciso una volta per tutte che non vuole averci niente a che fare? Il titolo, in effetti, è lievemente rivelatore.
“Nella copertina ho voluto essere io, che sto rientrando in casa come se fossi tornato da un viaggio, col mio borsone e i tatuaggi,” ci racconta come per rispondere in diretta a ogni possibile dubbio. “Ti assicuro, la parte più difficile da far realizzare sono proprio i miei tatuaggi, e ne sa qualcosa Emiliano Tanzillo, l’autore della copertina e dei canvas per Spotify, un fumettista che lavora anche su Dylan Dog.”
Videos by VICE
Per qualche strana contorsione dello spaziotempo, Jamil e i suoi cominciano ad affrontare il fuoco di sbarramento delle interviste proprio con il sottoscritto. Come primo della giornata, faccio voto di non entrare a gamba tesa o trasformarmi nel molesto e fastidioso bastardo che potrei essere.
L’atmosfera è la stessa di sempre, quell’aria che in circolo ha una buona dose di entusiasmo e l’inquietudine tutta positiva di chi sta presentando un figlio covato a lungo nelle proprie vene e finalmente lo mostra al mondo. In questi brevi momenti prima del lancio e delle chiacchiere, le potenzialità sono infinite e infinitamente in sospeso: cosa prova un artista quando il suo figliolo è finalmente alla portata di tutti?
“L’aspetto di cui sono più orgoglioso e preso bene è probabilmente la totale mancanza di featuring.”
La soddisfazione, l’orgoglio e l’emozione sono visibili sin da questi primissimi istanti della nostra chiacchierata, dove mettiamo subito in chiaro i punti di forza della visione, musicale e non, che è contenuta in Rap is Back. “L’aspetto di cui sono più orgoglioso e preso bene è probabilmente la totale mancanza di featuring. In una scena dove questo aspetto è spesso questione di calcolo e visibilità, algoritmi e accordi a tavolino, non penso sia scontato”.
Scontato non lo è per niente, in effetti. Soprattutto per un’artista come Jamil che negli anni ha preferito scalarsi le sue vette in indipendenza pressoché totale, invece che affidarsi alle scelte e strade di tanti suoi colleghi. Cosa questo significhi lo scopriamo in fretta su “Rap in Back”, la traccia che diventa una specie di manifesto a tutto tondo del suo modo di essere e fare musica, o persino i video: “Non ci fossi stato io a fare il ribelle / Fareste ancora i video con le caramelle / Fate i video con la gente mi sembra un mio video / Mettici più gente o non sembra un mio video / L’unico tra i rapper che monta i suoi video”.
E ancora, “Sono particolare, eh / E non metto collane, no / Non mi faccio comprare, nah / Non mi metti il collare, eh”, barre tratte da “Particolare” che sfoggiano braggadocio per sottolineare la propria differenza, una realness lontana dai fuochi di paglia di tanti altri, di “Questi che cantano di Gucci gli danno le Puma / cantano di coca poi arriva la pula / Si fanno qualche storia che sono in questura / Padre avvocato, amici in Senato / Era mezzanotte escono all’una” o di quanti cambiano stile “per fare più soldi”. Proprio la questione dello stile, tra l’altro, apre un capitolo molto importante.
In effetti, oltre a scegliere di scartare qualsiasi featuring, per lasciare che siano la musica e le rime a parlare e non le collaborazioni incrociate, questo disco è molto particolare—appunto—anche sotto il profilo stilistico: dal primissimo ascolto, ci si rende subito conto di quanto la voce di Jamil sia stata messa in primo piano dal missaggio, direttamente al centro della scena e del suono. È una scelta precisa e ricercata, come mi conferma, visto che “la particolarità di tutti questi pezzi è proprio il desiderio di tenere la voce ‘in faccia’, cioè sempre più alta rispetto al solito e alle altre produzioni. Voglio che sia pienamente comprensibile quello che dico, tengo molto ai contenuti e al messaggio delle barre, e credo si intuisca anche dal modo in cui ho scelto di scandire ogni parola. Il disco rap ti deve arrivare subito, sia nei contenuti che nei suoni”.
“Voglio che sia pienamente comprensibile quello che dico, tengo molto ai contenuti e al messaggio delle barre, e credo si intuisca anche dal modo in cui ho scelto di scandire ogni parola. Il disco rap ti deve arrivare subito, sia nei contenuti che nei suoni”.
A supportare questa scelta troviamo Jaws, il produttore che ancora una volta ha firmato la maggior parte delle basi, e Alexander Fizzotti, che ha provveduto a mixare il tutto. “Il lavoro che abbiamo fatto tra beat, bassi e batterie in questo caso ha puntato su frequenze più basse e impattanti, che funzionano da supporto e amplificazione delle rime. Abbiamo lavorato in cuffia, in studio, dalle casse, cercando di tenere una continuità nei suoni e nella produzione che permettesse di mantenere lo stesso tipo d’impasto sonoro a prescindere dal modo in cui ti ascolti il disco”.
Quello di Jamil è quindi un approccio che si tiene coerentemente in piedi tra musica ed estetica, temi puri e semplici e “quel modo di scrivere un po’ spocchioso, ben rappresentato dalla title track, ‘Rap is Back’, che è un po’ il cavallo di battaglia del disco, un anthem vero e proprio”. A cui noi volendo possiamo far virtualmente seguire anche “Squalo”, altra dichiarazione di poetica e d’intenti, tra furore competitivo e voglia di sbranarsi gli altri pesci, con quel gusto di sangue in bocca e le squalo fidate sui piedi: “Morirò poeta come Baudelaire / Con il culo al caldo, un boiler / Baida il soprannome, sono Jamil / Vedi mio fratello sembra O’Neal / Non mi fanno fuori come Kill Bill / Io ti vengo in faccia, Zymil”.
Ascoltare Rap is Back è un’esperienza curiosa, che ti colpisce a muso duro con la sua concretezza monolitica. È un disco che non ha spazio per perdersi in ricami, ritornelli forzati o melodie pop artefatte e vuote, non cerca il passaggio in radio né la playlist piaciona, vuole soltanto piacere a se stesso. O, meglio, a chiunque si rifaccia a un’idea—non necessariamente old skool—di musica che inizia e finisce dentro a se stessa e ai propri angoli, che non ha bisogno di troppa promozione, lustrini e titoli urlati per farsi apprezzare e godere.
In “Baby Go” il quadro viene ripassato e i colori fatti brillare, “Per lavoro scrivo / La mia biro mi fa fare un giro per l’Italia / Sono proprio fortunato / Questa stanza profumata / Ma ti giuro l’ho sudata / Tutta merda guadagnata / Tu vuoi fare come Baida / È una lunga camminata / Anzi guarda se ci penso / Come fare arrampicata”. Non è qualcosa che si ottiene con facilità, e in effetti non sempre è andato tutto per il verso giusto.
‘Rap is back’ non ha spazio per perdersi in ricami, ritornelli forzati o melodie pop artefatte e vuote, non cerca il passaggio in radio né la playlist piaciona, vuole soltanto piacere a se stesso.
Tuttavia, Jamil in qualche occasione ha cercato la “stortura” e l’ha trovata, spesso consapevolmente, in qualche altro caso per pura necessità di percorrere con coerenza la propria strada ed opinioni. Se pensiamo solamente ai dissing in cui è rimasto impelagato negli anni, è facile che ci facciamo l’idea di un artista che li ha voluti usare come arma contundente contro una scena un po’ troppo addormentata.
In effetti, c’è del vero, così come è vero che la pratica del dissing ha una sua profondità culturale nel mondo hip hop, una rilevanza tematica che da tempo abbiamo dimenticato o accantonato in favore di pratiche condotte via IG stories. Eppure, in questo disco non troverete traccia dei classici dissing che potete aspettarvi, sostituiti da una concentrazione totale verso l’essenza della propria musica e del proprio essere, sempre diviso tra strada e famiglia, rap e scena.
Ancora più curioso, quindi, trovarci dentro un pezzo quale “Come dici tu”, che è letteralmente la prima canzone d’amore di Jamil, ma non tradisce l’anima puramente rap del progetto e non si sforza di cercare il ritornello vincente o la melodia micidiale. “Non mi sono mai sentito in grado di comporre una canzone d’amore fino ad oggi, non è una cosa così semplice, avevo la paranoia di non essere adeguato al compito o di farla banale. Tra l’altro, trattandosi davvero d’amore, ho voluto aspettare di avere un mio posto nella scena, perché non volevo venisse dimenticata in fretta, come altri pezzi. Mi piaceva l’idea che questo omaggio rimanesse in circolo a lungo”.
In quest’ottica, tutto il disco ci parla di un tentativo musicale personale, dove far subentrare una gamma piuttosto ampia di opinioni e narrazioni, “un album dove racconto tutte le sfumature della mia persona e del mio mondo. Spesso in passato sceglievo un argomento, che fosse il razzismo, gli sport da combattimento o altro, e mi ci buttavo sopra. Invece, in questo caso, ho cercato di non ripetermi troppo e fare un album totalmente personale. Sia che siano robe di battaglia o più tranquille, sono tutte parti integranti di me.”
“‘Rap is Back’ è quel tipo di disco, molto personale, che anche fra cinquant’anni vorrei rimanesse il mio preferito.”
“È anche per questa ragione che mi è sembrato poco sensato cercare featuring, ” ha aggiunto, “ho fatto tutto da solo e mi è sembrato giusto procedere così. Tanto più che magari con persone con le quali ho fatto featuring in passato magari ora non ho più contatti, ci sentiamo poco, o abbiamo persino litigato. Questo è quel tipo di disco, molto personale, che anche fra cinquant’anni vorrei rimanesse il mio preferito”. Ovviamente anche in questo si fa sentire lo spirito di Jamil: “Mi piace rompere il cazzo e andare controcorrente, fare le cose diversamente. Stavano tutti facendo dischi pieni di featuring e io ho voluto evitare.”
“Senza voler mancare di rispetto a nessuno, e davvero non è un dissing rivolto a nessuno, ma ogni volta che esce un disco nuovo degli altri e hanno un pezzo primo in classifica, be’, spesso è proprio quello con i featuring più importanti. E poi, diciamolo, tutti sono negli album di tutti, non è più qualcosa di innovativo.” Mentre parliamo, mi si chiarisce ulteriormente da dove siano nati in tutti questi anni i dissing, gli scazzi e le tonnellate di chiacchiere.
Jamil ha tutta la voglia e la capacità necessaria per essere parte del Gioco e rispettarne le regole, ma ha poca voglia di lasciarsi trascinare dai suoi aspetti più superficiali e approssimativi, la rincorsa ad apparire. Soprattutto, non si fa problemi a dare voce alle proprie critiche, a prescindere da cosa questo comporti per la sua carriera.
A dirla tutta, non è un brutto modo di stare al mondo, al contrario è decisamente ammirevole, a prescindere da quello che pensate della sua musica o del suo passato. “Quelli che mi odiano fanno creare un sentimento di amore più forte a quanti mi amano. Sono come guerrieri per me”. E, diciamolo, “mi sta un po’ sul cazzo che mi dicono che campo solo di dissing, quando in realtà è da una vita che faccio dischi. Magari sono stati visualizzati di più i dissing, ma guarda caso in questo ultimo disco non c’è nemmeno uno. Certo, ovviamente c’è qualche frecciatina alla scena in generale…”
“In pochi rappresentano la nuova generazione come la rappresento io, è il mio momento.”
Ad ogni modo, “vorrei questo fosse il tipo di disco da farmi pensare di essere al top delle mie capacità, il meglio di quello che volevo raggiungere ed esprimere. I puristi del rap ci sono ancora, è chiaro, ma nessuno ha la visibilità che adesso ho io, e nessuno è attivo come sono attivo io. Per questo ho chiamato il disco Rap is Back, perché ora che la scena è tutta trap, col mio disco il rap ritorna.”
“In pochi rappresentano la nuova generazione come la rappresento io, è il mio momento. Poi non è che io da solo ho fatto tornare il rap, il rap c’è sempre stato, ma ora come ora è un po’ in disparte rispetto alla trap e a quella generazione,” precisa. “Ma non mi si può togliere il fatto che io ho fatto solo e sempre rap.”
Puoi parlare di squali e Veneto con Daniele su Instagram e Twitter.