“Sono stato Dio in Bosnia” – La folle vita di Roberto Delle Fave, mercenario

Roberto Delle Fave è morto nel 2014, a 47 anni. In vita è stato un mercenario: durante le guerre jugoslave ha combattuto prima in Croazia e poi in Bosnia, nei Crni Labudovi o Cigni Neri, un battaglione paramilitare bosgnacco che affermava di aver fondato lui stesso. Mi sono imbattuto nella sua storia circa un anno fa, mentre facevo ricerca sui mercenari italiani, e ne sono subito rimasto colpito. 

Il suo personaggio, completamente folle, è affascinante per la parabola nichilista e autodistruttiva che l’ha portato a invischiarsi in uno dei conflitti più sporchi nella storia recente. Allo stesso tempo, però, è difficile giudicare univocamente la sua vicenda quando si scopre che dietro tutto questo c’è un profondo disagio personale. In ogni caso, nel ricostruire la sua storia, ancora più difficile è separare in modo netto la realtà dalle sue uscite. 

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La storia di Delle Fave è raccontata in nel documentario Red Devil – Il mercenario, del regista italo-albanese Erion Kadilli, uscito quest’anno e realizzato da Ramingo Produzioni. Il film è una riedizione di un documentario del 2011, sempre di Kadilli, intitolato Sono stato Dio in Bosnia.

Nato a Sanremo, Roberto Delle Fave aveva passato i primi 20 anni della sua vita a Bordighera. A 15 anni aveva cominciato a collaborare con un giornale locale, seguendo il festival di Sanremo: negli anni Novanta Toto Cutugno, presente in studio durante una sua intervista in televisione, avrebbe ricordato di essere stato intervistato da lui e dirà che “come giornalista era anche abbastanza bravo.” Comunque sia, più che il giornalista, in quel periodo Delle Fave faceva il teppista: “quando non lavoravo mi divertivo a fare rapine e scippi,” ha raccontato a Kadilli, dicendo anche di essere finito in carcere per la prima volta a 14 anni. 

Allo scoppio della guerra era stato mandato in Jugoslavia come inviato. “Avevano paura di mandare gente con una famiglia, che non aveva mai visto un’arma… io ti sparavo in faccia per 4mila lire, ho sparato ai carabinieri per una rapina che mi ha fruttato 14mila lire, una volta per rubare 5 chili di gelato ho lanciato una bomba a mano dentro una gelateria del centro a Bordighera… Non avevo tanti problemi, tanti scrupoli, non avevo paura di trovarmi un’arma puntata o di sentire un’esplosione.” 

Per un periodo aveva fatto davvero il reporter di guerra, finché una soldatessa croata che lo portava in giro a visitare la prima linea non era morta davanti ai suoi occhi per salvargli la vita: a quel punto Delle Fave aveva capito “che non bastava più la macchina fotografica, è diventata una vendetta.” E si era arruolato nelle file dei croati—inizialmente come mercenario, venendo poi inquadrato nell’esercito regolare. Era il settembre 1991. Era stato soprannominato “red devil,” dal modello della sua giacca Invicta. 

Roberto Delle Fave. Still da

Roberto Delle Fave. Still da Red Devil – Il mercenario di Erion Kadilli

Con i croati aveva combattuto dapprima a Gospic. In questo periodo era stato raggiunto al fronte dal giornalista RAI Sandro Vannucci, che aveva realizzato due servizi su di lui. “Qui mi annoio,” diceva in una di quelle interviste, posando da duro. In un’altra diceva anche che era andato lì perché non aveva un futuro e perché in Italia non aveva nemmeno il presente. “Perché ho fatto degli errori, e perché la gente non dimentica.” In uno di questi servizi, una telefonata ai suoi genitori si concludeva con una scarica di fucileria. 

Dopo Gospic si era spostato a Vinkovci, dove si trovava durante l’assedio e il massacro di Vukovar. “Il mio primo bambino l’ho ammazzato in Croazia, a Vinkovci. Pattugliavamo il quartiere e lui è uscito con un’arma giocattolo, io non mi sono accorto che era un’arma giocattolo, ci ho girato il mitra e l’ho fatto ballare per tutta la durata dei 30 colpi del Kalashnikov. Credimi, la prima cosa che ti senti è una merda. E poi dici, ma quella merda di Dio dove cazzo era? Mica per me, per quel bambino. Bastava un secondo di ritardo che io giravo l’angolo e non sarebbe successa, quella che poi l’inchiesta ha definito una disgrazia. Ma per me potevano anche farne 50 di inchieste. Non è stata una disgrazia, è stato un omicidio.”

Dopo la fine della guerra in Croazia, Delle Fave aveva lavorato per qualche mese per la polizia militare croata. Poi era andato in Bosnia, dove aveva fatto parte dei Crni Labudovi. Da questo punto in poi i suoi racconti si fanno più confusi. “Non c’era nessuna regola militare in Bosnia, quindi facevi quel cazzo che volevi. Ho ammazzato gente innocente, facevo il giorno e la notte mi prendevo ciò che volevo. Scopavo con ragazzine di 5-7 anni come potevo scoparmi le 70enni e nessuno mi diceva niente. Quello è essere dio. Essere dio è decidere chi muore e chi vive.”

Quando parlava della Bosnia, Delle Fave lo faceva mettendo insieme tutta una serie di leggende nere legate al conflitto—affermando che fossero tutte vere e di conoscere i dettagli di tutte. Parlava di di armi fornite dalle organizzazioni internazionali, di vescovi che pagavano per distruggere i luoghi di culto delle altre religioni, di soldi dello IOR versati a tutte le parti in conflitto per non toccare Medjugorje, di traffico d’organi dai Balcani all’Europa condotto con voli segreti. 

Quest’ultima storia sul traffico d’organi durante il conflitto sembra essere stata una sua fissa. Nel 1995, allora 27enne, Delle Fave aveva accusato un pediatra triestino di essere il “mandante degli omicidi che si svolgevano alla sua presenza per il prelievo d’organi.” Querelato, era stato sentito dalla magistratura alla quale aveva dichiarato di essere invalido all’80 percento per motivi psichici e di essersi inventato tutto. “Mi meraviglio che mi abbiano creduto,” aveva detto. 

Le stesse accuse erano poi tornate anche l’anno dopo, quando il giornalista francese Xavier Gautrier, inviato di Le Figaro in Jugoslavia, era stato trovato impiccato nella sua casa di Minorca. Secondo la famiglia di Gautier, prima di morire il giornalista stava indagando su un presunto traffico d’organi tra la Bosnia e Trieste e aveva appena parlato con un “supertestimone.” Sempre secondo la famiglia, sul muro della casa sarebbe stata trovata la scritta “traditore Diavolo Rosso.” 

Dopo la Bosnia, Delle Fave si era spostato in Kosovo. “In Kosovo non sono stato a combattere, sono stato a addestrare. Ma è stata una mia scelta. Avevo paura perché avrei rifatto le stesse cose della Bosnia. Se potessi tornare indietro rifarei le stesse identiche cose, anzi le rifarei meglio, ma eviterei di andare in Bosnia.” 

Un articolo su Delle Fave. Still da

Alla fine di quella guerra aveva girato ancora il mondo, finendo in Iraq e in Afghanistan. Poi era tornato a Bordighera, dove si era messo ad allevare serpenti e a lavorare per una ditta di traslochi. Era andato a vivere con Antonella Torsani, una donna che aveva conosciuto in Kenya proprio durante una mostra di rettili. Nel suo allevamento, che occupava gran parte di casa sua, c’erano “otto serpenti, tre tartarughe, topi-canguro, gerbilli siberiani, degu del Cile, pitoni, tartarughe azzannatrici, piranha e persino un esemplare di lucertola a due teste.”

Nel 2010 era stato arrestato per possesso di armi: “deteneva diversi bossoli calibro 7,62, altri proiettili da guerra vietati, ogive inesplose, due pistole scacciacani tra cui una fedele riproduzione di quella in dotazione alle Forze dell’Ordine, due pugnali, placche di riconoscimento del Ministero della Difesa, della Croce Rossa, della Protezione Civile e dei Carabinieri.” Ma era stato scarcerato quasi subito per “poter far fronte alle esigenze del suo allevamento di animali esotici.”

Nel documentario di Kadilli, Delle Fave cerca di raccontare se stesso come un guerrigliero pazzo e assetato di sangue. Dice di essere di estrema destra—”in confronto a me Hitler è l’arcangelo Gabriele”—e ha parole di elogio per il criminale di guerra serbo Arkan, “il più grande, il più figo e il migliore dei migliori,” che dice di aver conosciuto personalmente. “Lui aveva la mia mentalità. Lui pensava all’epurazione etnica. Che è un discorso filosofico, non era quello che faceva quell’imbecille di Hitler. Perché Hitler era folle, io sono pazzo, è diverso”

Ma dietro questa pantomima si percepisce una sorta di inquietudine e un grande odio verso se stesso. “Spero che mi venga un cancro,” dice a un certo punto. “Mi diverto a fumare, bere e fare una vita totalmente squilibrata perché spero che mi arrivi un cancro e mi faccia pagare le pene di tutti quelli che ho ammazzato.” E in effetti poi gli è venuto, un cancro, al cervello. Dopo la sua morte i suoi serpenti sono stati dati in affidamento

Nessuno ha mai saputo cosa abbia fatto davvero nei Balcani. Pochi giorni dopo la sua morte, il blog Inchiostro Scomodo, che aveva pubblicato un articolo su di lui, riceve un messaggio da una persona che afferma di averlo conosciuto personalmente in gioventù. “Era una persona disturbata, con gravi problemi economici,” si legge nel messaggio. “Ha sempre avuto la mania delle armi e di tutto ciò che era militare, per sentirsi vivo e forte, ciò che in realtà non era. Lo ricorderò come l’ho conosciuto, un ragazzo povero, sbandato, senza una guida, che si metteva una tuta da combattimento per essere ciò che non era, che allevava serpenti per essere il duro dei duri—ovvero, quello che non era.”

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