La Georgia (parliamo dell’ex Repubblica sovietica, non dello Stato federato degli USA), è famosa nel mondo occidentale per i suoi conflitti civili fomentati dalle onnipresenti politiche imperialiste russe, per i suoi leader discutibili saliti al potere in seguito alle suddette politiche (giusto per nominarne 3: Stalin, Shevardnadze, Saakashvili), per la sua potentissima mafia e, più recentemente, per la morte dell’atleta olimpionico di slittino Nodar Kumaritashvili.
E cosa dire della sua tradizione culinaria? Dare per scontato che, se fosse degna di nota, il mondo se ne sarebbe già accorto, è semplicistico e sbagliato. È vero, la letteratura a tema è scarsa, sebbene gli sforzi di Julianne Margvelashvili e Darra Goldstein nel parlarne siano stati ragguardevoli (i loro rispettivi Classic Cuisine of Soviet Georgia e Georgian Feast sono ormai datati e mancano delle giuste foto per attirare i neofiti). E persino i lavori più recenti, come quello di Tinatin Mjavanadze, non aiutano, essendo fruibili solo da un numero “ristretto” di persone (il suo Georgia with Taste è disponibile solo in russo). A complicare il tutto, come se non bastasse, bisogna aggiungere la difficoltà di trovare bar, ristoranti e gastronomie georgiane fuori dall’ex Unione Sovietica.
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Adesso, però, le cose stanno finalmente cambiando. Prendiamo ad esempio Manhattan. Uno dei quartieri più famosi di New York conta, da solo, 3 ristoranti georgiani (il Pepela, la Oda House e l’Old Tbilisi Garden), denotando come, persino in una nazione ossessionata dalla pizza, una specifica prelibatezza georgiana stia riuscendo a spopolare entrando in lizza per il premio “nuovo cibo ‘it‘ della Grande Mela:” il khachapuri.
Il khachapuri è il pane al formaggio georgiano, e l’etimologia del suo nome deriva da khacho (ხაჭო), “formaggio di latte cagliato”, e puri (პური), “pane”. Ovunque vi troviate in Georgia, potete facilmente scommettere su di una cosa: ne mangerete almeno uno al giorno, persino a colazione. Piccolo, grande, mangiato da solo o in compagnia, come aperitivo o pasto unico, comprato in negozio o fatto a casa, il khachapuri ha diverse forme e usi, ma rimane sempre un’istituzione. Parliamo infatti di una pietanza a cui è stato dedicato persino un indice, il Khachapuri Index, dall’International School of Economics di Tbilisi, che ne calcola l’inflazione basandosi sui costi (sia a livello di ingredienti che di energie), in diverse città georgiane. E così i costi della farina, del formaggio, lievito, uova, latte, burro (gli ingredienti che servono per un khachapuri Imereti), vengono conteggiati assieme a quelli dettati da gas ed elettricità.
Come in Occidente è pieno di pizzerie, in Geogia ci sono le khachapurnayas, che a volte sono grandi il doppio delle nostre pizzerie.
Il khachapuri Imereti prende il nome, più che dalla regione Imereti, dal formaggio omonimo, che poi è anche il tipo di ripieno preferito per il khachapuri. Il formaggio Imereti è fresco e deriva dal latte di mucca, sebbene anche in questo caso a ogni zona del paese si presentano varietà diverse. Quindi, ricapitolando, se vi trovate per caso a un mercato in Georgia, quella che dovete cercare è una forma di formaggio chkinti-kveli, ossia un Imereti non stagionato e con poco sale.
Questo perché, soprattutto se prevedete già di rimanere con qualche avanzo, vi ritroverete con un formaggio soffice nei giorni seguenti, buono nel pane anche senza doverlo riscaldare (nuovamente). E già questa variante, da sola, regala numerosi punti in più al khachapuri nella lotta pizza v. khachapuri. Alcune persone, tuttavia, non si preoccupano degli avanzi e scelgono di aggiungere un po’ di sulguni, un formaggio non cagliato simile alla mozzarella e derivato dal chkinti-kveli. Per quanto riguarda l’impasto, invece, le possibilità prevedono lievito, bicarbonato di sodio, latte o yogurt, l’importante è che sia ben lievitato.
Il ballo della decadenza inizia con il Mingrelia khachapuri. Questa specialità è originaria della regione del Samegrelo, e può essere considerata cugina dell’Imereti. La differenza risiede in una guarnizione: il Mingrelia è ripieno con ancora più formaggio (quasi sempre si tratta comunque di chkinti-kveli).
Dopo il Mingrelian arriva l’Adjara khachapuri, conosciuto anche come”l’occlusore di arterie“. Aperto nel mezzo e ripieno con abbondanti quantità di uova e burro (e più ce n’è, meglio è, dicono), l’Adjara khachapuri prevede anche ingenti quantità di formaggio, da gustare insieme al resto degli ingredienti facendo scarpetta con la crosta. Gli abitanti di Batumi, il capoluogo della regione, hanno opinioni divergenti circa la riuscita di un buon Adjara khachapuri, ma si ritrovano concordi nell’esprimere disapprovazione verso quello di Tbilisi. Tutto nella preparazione del Adjara khachapuri è religiosamente codificato, dall’impasto (che deve essere leggero all’interno e croccante all’esterno), alla forma (ovale, con le due estremità appuntite, e con una crosta leggera sul fondo), e ancora al rapporto formaggio-impasto, che deve essere rigorosamente 1:1. Il tutto è avvolto da una delle grandi massime della Georgia del sud: “dopo aver mangiato un Adjara khachapuri devi sentirti pieno ma non abbastanza da non riuscirne a mangiarne un altro.” Nonostante il rigore, il tipo di formaggio è a discrezione del consumatore.
Questa prelibatezza è reclamata a gran voce anche della regione separatista dell’Abcasia, che ha eletto proprio l’Adjara khachapuri a piatto ufficiale nazionale. Purtroppo, non potendone usare il nome (lottare per l’indipendenza non va a braccetto con il tenere i nomi di una nazione che non reputi essere la tua), gli abitanti dell’Abcasia hanno optato per un più filo-russo “lodochka“, che in russo vuol dire “piccola barca.”
Ma non finisce qui.
La montuosa regione dello Svaneti è famosa per il suo chvishtari, un khachapuri paurosamente rustico e derivato da un mix micidiale di polenta e formaggio. In Ossezia, invece, si cucina il khabizgini, al cui interno si possono trovare patate e formaggio. La regione della Guria ha il proprio khachapuri omonimo, che potrebbe essere descritto come una sorta di calzone riempito di formaggio e uova bollite tagliate a pezzo. In Abcasia (parliamo sempre degli indipendentisti), si prepara anche l’achma, una sorta di formaggio “lasagna”. Il penovani khachapuri, invece, è un tipo di khachapuri unico nel suo genere, perché non appartiene a nessuna tradizione regionale specifica. L’etimologia del nome ci dice che è formato da due strati, (“pena“, ფენა in georgiano, significa appunto “strato”), e che è per questo motivo estremamente lievitato. Sembra, non a caso, un croissant.
In un ristorante Kazbek a Kiev ho persino mangiato un khachapuri kebab, uno spiedino infilzato con formaggio, pomodorini ciliegini e basico, avvolti ovviamente poi nell’impasto.
Cucinare il khachapuri a casa non è difficile. Io personalmente preferisco l’impasto soffice preparato con lo yogurt e il bicarbonato di sodio, che poi è anche velocissimo da assemblare. Potete anche usare l’impasto per la pizza. Per quanto riguarda il formaggio, sebbene io abbia provato a preparare il formaggio Imeratia e sulguni a casa, andrà bene anche una mistura di mozzarella e feta (la usano persino i georgiani che abitano negli Stati Uniti!).
Poiché il khachapuri è una pietanza così frequentemente consumata, il buon senso prevede la sia ricetta sia facilmente fruibile. E lo è! Con un po’ di pratica, vedrete, anche voi riuscirete a creare il vostro khachapuri perfetto.
Io, intanto, vi lascio con un piccolo consiglio: sbrigatevi a diventare esperti di khachapuri! Perché poi arriveranno le catene di pizzerie e lì, lo sappiamo, sarà troppo tardi. Rovineranno tutto. Come sempre.