Perché tutti si stanno interessando alle elezioni olandesi?

Senza voler cadere negli stereotipi, l’Olanda non è il classico paese di cui si parla per la sua politica interna.

Si tratta di una nazione piccola (16 milioni di abitanti e un prodotto interno lordo di una macro-regione), benestante e storicamente piuttosto stabile, la cui situazione politica ha un impatto molto relativo sull’Europa e sul suo dibattito politico.

Videos by VICE

Eppure in queste ore nei Paesi Bassi ci si sta recando alle urne con addosso un’attenzione internazionale inedita.

In attesa dei risultati, che cominceranno ad uscire stanotte e che saranno chiari domani mattina, ecco qui tutto quello che c’è da sapere sulle elezioni: quali sono le parti in gioco, cosa si contendono, e perché in qualche modo stavolta riguarda davvero anche noi.

Per cosa si vota?

In un sistema come quello olandese, le persone non si recano alle urne per eleggere dirittamente il Primo Ministro, ma per riformare la Tweed Kamer—la seconda e la più importante camera del parlamento dei Paesi Bassi, che conta 150 deputati.

Per fare ciò, vige un sistema (molto) proporzionale, in cui per ottenere un seggio basta raggiungere lo 0.67 percento dei voti. In questo contesto, a contendersi le elezioni ci sono ben 28 partiti.

Il risultato di questo frammentato sistema politico è che nessun partito è storicamente—né tantomeno oggi—capace di raggiungere i 76 seggi (20 percento) che rappresenterebbero la maggioranza necessaria per governare da soli.

Anche questa volta dalle elezioni non usciranno quindi chiari sconfitti o vincitori, ma liste più o meno votate che si organizzeranno tra loro per formare una coalizione di governo.

Questo significa che chiunque vincerà non sarà in grado di governare da solo, e non sarà necessariamente il prossimo presidente dei Paesi Bassi.

A testimonianza delle contrattazioni che cominceranno una volta scoperto il risultato delle elezioni, nel 2010 per formare il governo si impiegarono 127 giorni, mentre nel 2012 ne sono bastati 54.

Quali sono i partiti in corsa?

In totale, in corsa ci sono 28 partiti.

Si va dai partiti più tradizionali come quello Liberale, i Verdi e i Cristiani Democratici, a quelli meno noti, come il partito che difende i diritti degli animali, quello per i pensionati e quello che si rivolge agli astensionisti.

Circa 15 di questi dovrebbero arrivare ad avere un posto in parlamento, sei dovrebbero riuscire a superare il 10 percento, e nessuno dovrebbe arrivare vicino al 20 percento necessario per governare da solo.

Secondo gli ultimi sondaggi, al primo posto—con 27 seggi su 150—c’è l’attuale primo ministro Mark Rutte, leader dell’Europeista VVD, il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia. Dietro di lui, a contendersi il secondo posto e tutti racchiusi in 3 punti percentuali, ci sono quattro partiti: i Verdi di Klaver, la sinistra liberale dei D66, la CDA dei cristiani democratici, e il PVV del populista Geert Wilders. È altissimo, inoltre il numero degli indecisi—a quattro giorni dalle elezioni erano il 60 percento.

Chi è questo Geert Wilders di cui si parla molto?

Geert Wilders è il motivo per cui in Europa, e non solo, si seguono queste elezioni.

Classe 1963, è uno dei politici da più tempo all’interno del parlamento, ed è stato definito il Donald Trump olandese—di cui è aperto ammiratore.

Del resto, oltre all’uso compulsivo di Twitter, con il leader americano condivide molti punti, che ha posto come priorità nel suo programma.

Wilders ha fatto dell’islamofobia e del nazionalismo i punti principali della sua azione politica.

Nonostante i Paesi Bassi negli scorsi anni non siano stati particolarmente colpiti dall’immigrazione al contrario di quanto accaduto nei paesi vicini, il forte welfare statale che spesso dedica le proprie attenzioni ai più poveri ha scatenato anche una rilevante onda di xenofobia che Wilders è riuscito a cavalcare efficacemente.

Oltre alle numerose uscite apertamente razziste—ha definito, tra le altre cose, i marocchini “feccia” e paragonato il Corano al Mein Kampf—Wilders ha dichiarato di voler vietare il testo sacro dell’Islam, di voler chiudere tutte le moschee, e di voler bloccare le frontiere agli immigrati provenienti da paesi a maggioranza musulmana.

Altro punto importante del suo programma, poi, è ovviamente l’uscita dei Paesi Bassi dall’Unione Europea.

Chi è l’altro personaggio del momento, Jesse Klaver?

Nonostante non abbia alcuna reale possibilità di vincere, l’altro protagonista di queste elezioni è Jesse Klaver, il leader della GroenLinks—la sinistra verde olandese.

È lui infatti che più degli altri si contrappone per personalità a Wilders, e su cui sono puntati i riflettori internazionali come simbolo di una possibile rinascita della sinistra.

Si tratta di un ragazzo classe 1986, figlio di un padre di origine marocchina, attivo in politica fin da giovanissimo.

È stato definito il Justin Trudeau olandese, e si espone spesso sui temi della tolleranza, del multiculturalismo, per una riforma fiscale volta a supportare le classi più basse.

Dobbiamo avere paura di Geert Wilders?

Con le elezioni in Francia e Germania alle porte, dove entrambi i movimenti d’estrema destra e/o populisti sono una realtà variamente affermata, le elezioni olandesi vengono viste come una sorta di prova generale per quelle successive.

In altre parole, si vuole vedere quanto reggeranno i partiti tradizionali, e si teme che una vittoria di Wilders possa dar forza agli altri populismi che spaventano la tenuta dell’Unione Europea.

Nonostante questo, però, la realtà potrebbe essere meno preoccupante di quanto non possa sembrare. Innanzitutto, per come funziona il sistema olandese.

Molto probabilmente Wilders non vincerà, e anche qualora dovesse farlo quasi sicuramente non riuscirà a raggiungere la percentuale successiva per governare da solo.

Leggi anche: E se la Russia stesse cercando di far vincere Marine Le Pen in Francia?

Anche nel caso si posizionasse tra i primi partiti, avrebbe bisogno di formare una coalizione, e per adesso nessuno dei principali partiti sembra intenzionato ad allearsi con lui.

Di conseguenza, la Nexit, che non è condivisa dagli altri partiti, appare essere un’utopia, e le intenzioni razziste uno slogan che possono alimentare il populismo—ma che molto difficilmente troveranno attuazione nella realtà. Vedremo cosa succederà a urne chiuse.


Segui VICE News Italia su Twitter e su Facebook

Segui Flavia su Twitter: @flaviaguidi

Grab via @V_Of_Europe/Twitter