Música

L’ultimo tuffo di Israel “Iz” Kamakawiwo’ole

La mattina del 26 giugno 1997, cominciò a spargersi la voce tra le isole hawaiiane, da O’ahu a Niihau: fratello “Iz” se n’era andato. Il viso pasciuto e sorridente del cantante trentottenne campeggiava sull’edizione giornaliera dell’Honolulu Star-Register, accompagnata dall’annuncio della sua resa all’insufficienza respiratoria e alle altre malattie dovute alla sua gigantesca stazza. Con un’altezza di poco meno di un metro e novanta per, si dice, oltre 450 kg di peso al momento della morte, Iz aveva sempre saputo di essere destinato a una vita breve. “Non mi spaventa morire”, aveva dichiarato. “Perché noi hawaiiani viviamo in entrambi i mondi. Quando arriverà la mia ora, non piangete per me”. Tuttavia, le isole sembrarono raccogliersi in silenzio quel giorno, perché avevano perso l’uomo che parlava per loro. Israel Kamakawiwoʻole era la voce delle Hawai’i.

Se avessi detto ad amici e parenti di Israel che alla sua morte sarebbe stato considerato l’orgoglio delle Hawai’i, sarebbero scoppiati tutti a ridere. Iz crebbe da koloheun teppistello adolescente espulso da scuola che passava le nottate nei peggiori quartieri dove sviluppò una dipendenza da droghe e alcol. Ma a parte le sue battaglie private, il suo talento naturale per la musica insieme a una personalità carismatica furono la chiave del suo successo.

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Nel corso di 17 anni di carriera, Israel si fece conoscere come membro dell’importante gruppo hawaiiano Makaha Sons of Ni’ihau, insieme a suo fratello maggiore Skippy che morì a 28 anni nel 1982 in conseguenza a un attacco di cuore dovuto all’obesità. Quella che la maggior parte degli americani consideravano musica hawaiiana a quei tempi era quello che gli abitanti delle Hawai’i chiamavano hapa haoleversioni contaminate di sonorità isolane che si riducevano spessissimo a caricature razziste e sessualizzate della loro cultura, come si può osservare nella commedia romantica kitsch con protagonista Elvis Presley Blue Hawaii. Ma i Sons diedero alle Hawai’i musica genuina di cui i nativi potevano essere orgogliosi.

La carriera di Israel e la storia della musica hawaiiana cambiarono per sempre una sera del 1988 grazie a una telefonata fatta da un ubriaco. Leggenda vuole che, quando alle 2:30 del mattino suonò il telefono dello studio di registrazione di Milan Bertosa a Honolulu, lui avesse appena finito una lunga sessione di registrazione per un “orribile progetto di musica dance”, per cui aveva “tentato di creare un gruppo vocale con le vincitrici di un concorso di magliette bagnate, e nessuna delle ragazze sapeva cantare”. La telefonata veniva dal telefono pubblico di Sparky’s, un bar a pochi isolati di distanza che era anche la piazza di spaccio ufficiale della zona per meth e coca, una voce di uomo disse che con lui c’era una persona che avrebbe voluto andare a registrare: Israel Kamakawiwoʻole.

“Stiamo chiudendo, passate domani”, rispose Bertosa.

“No, no, aspetta, parla con Israel”, insistette la voce.

Iz fu gentile ma persuasivo. “Per favore, posso passare?” implorò. “Ho un’idea”.

Bertosa era stanco e voleva andare a casa, ma, essendosi appena trasferito da Chicago l’anno precedente, era sempre alla ricerca di nuove opportunità per fare qualche soldo, così concesse un’ora a questo tizio di cui non era in grado di pronunciare il nome.

Poco dopo qualcuno bussò alla porta e “entra l’essere umano più grosso che abbia mai visto in vita mia”, ha ricordato Bertosa. Il pavimento dello studio si muoveva sotto i passi di Iz. Bertosa chiamò la sicurezza perché portassero una sedia d’acciaio per il suo ospite. Dopo che Iz fu sistemato e microfonato, Bertosa fece partire la registrazione. Iz, che pesava circa 230 chili, aveva il fiato corto soltanto per essere stato in piedi in attesa della sedia, e il respiro entrava nel microfono. Ma mentre suonava l’ukulele, che sembrava un giocattolo per bambini nelle sue mani enormi, cominciò a emettere un suono melodioso, una serie di “ooooh”.

Era la sua versione di due canzoni: “Somewhere Over the Rainbow” di Judy Garland, dal film del 1939 Il Mago di Oz, fusa insieme a “What a Wonderful World” di Louis Armstrong. Fu registrata in una take e si trattava di una versione tecnicamente imperfetta di entrambi i brani—Iz cambiò alcune parole e sbagliò alcuni accordi, ma in questa esecuzione si sentiva innegabilmente una forte personalità, una personalità che instillò lo spirito aloha delle Hawai’i dentro a due grandi classici del Continente.

Una volta concluso il lavoro attorno alle 4 del mattino, Bertosa diede a Iz un nastro con la registrazione e ne mise una copia in un cassetto, dove rimase per cinque anni. Fino al 1993, quando Iz, agli inizi della carriera solista dopo aver abbandonato i Makaha Sons of Ni’ihau. Nel corso della registrazione del secondo album di Iz, Facing Future, Bertosa ripescò la registrazione e suggerì al produttore del disco, Jon de Mello, di includerla, cosa che fece, come penultima traccia. Quando Facing Future uscì nel 1993, Israel si trovava in una situazione drammatica, con così pochi soldi da essere inserito in un programma di welfare per mantenere moglie e figlio. Ma l’inaspettato successo dell’album finì per garantire loro la sicurezza economica per diversi anni a venire.

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Facing Future, come gli hawaiiani secondo Iz, vive in due mondi. In un mondo, la patria di Iz, fu un classico immediato. “Fu una hit istantanea alle Hawai’i, rilanciò la carriera di Israel e lo catapultò verso lo status di icona quasi in un attimo”, raccontava Dan Krois, autore del libro della serie 33 ⅓ che parla dell’album. Ma non fu la cover di Judy Garland/Louis Armstrong a farne un successo a livello locale. Anzi, Iz non suonava quasi mai quella canzone dal vivo. Per gli hawaiiani, la popolarità dell’album era dovuta a canzoni più politiche come “Hawai’i ’78”, in cui Israel si chiede come i vecchi re e regine si sentirebbero se potessero tornare e vedere i cambiamenti subiti dalla loro terra.

“Riesci a immaginarli tornare
E vedere semafori e ferrovie
Cosa penserebbero di questa vita moderna in città?”

Parole come queste furono un balsamo per l’identità degli hawaiiani dopo che decenni di americanizzazione avevano spogliato le isole del loro carattere, e trasformarono Israel in un eroe popolare che si batteva per i diritti dei nativi hawaiiani. Ma per quanto venisse spesso etichettato come attivista e volto del movimento per la sovranità, non è chiaro quanto Iz fosse a suo agio nel ricoprire questo ruolo.

“È vero che Iz non stava sulle barricate”, scrive Kois, “Ma… non perdeva l’opportunità di esprimere il suo orgoglio di essere hawaiiano. E quindi in fondo non importava se lui marciasse in strada sventolando una bandiera o meno. Era il musicista più popolare nelle Hawai’i; la sua musica, per i suoi fan, era assolutamente pro-sovranità; chiunque gli abbia mai voluto bene, lo considera un hawaiiano”.

Ma mentre la leggenda di Iz a livello locale rappresentasse lo spirito hawaiiano, la vita di Facing Future sul Continente sarebbe presto diventata una storia completamente diversa. L’album non trovò un pubblico fino ad alcuni anni dopo la morte di Israel, quando “Over the Rainbow/What a Wonderful World” divenne un inaspettato successo. Per quanto la canzone non sia stata trasmessa molto dalle radio, se non consideriamo uno speciale della NPR sul “gigante gentile della canzone hawaiiana” nel 1996, divenne una hit strisciante grazie a una capillare diffusione tramite licenze di trasmissione della sua etichetta hawaiiana, la Mountain Apple Company.

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La maggioranza degli americani hanno sentito la canzone per la prima volta nel 1999 in una serie di pubblicità per eToys.com (che poi divenne Toys “R” Us). E per quanto la pubblicità non usasse più di qualche secondo dei vocalizzi di Iz, l’interesse per la canzone divenne così pressante che eToys fu costretta ad aggiungere un pulsante sul proprio sito che portava direttamente a una pagina di informazioni sulla canzone.

Oltre al suo utilizzo in pubblicità, la canzone ebbe un momento di importanza anche culturale, venendo usata in dozzine di film, trailer e serie TV tra cui Vi Presento Joe Black, 50 Volte il Primo Bacio, ER: Medici in Prima Linea, Cinque in Famiglia, Snakes on a Plane, Non Mi Scaricare e molti altri. Fu coverizzato su American Idol e usato per riempire i tempi morti alle partite dei New York Mets. Per gli statunitensi continentali, la canzone divenne sinonimo della cultura dell’isola, il tipo di canzone che veniva suonata ai matrimoni in vacanza e nei ristoranti vista mare. E visto che la canzone non passò in radio e che Israel Kamakawiwoʻole non era un cantante famoso, la gente sentì una connessione profonda al brano, come se fosse una cosa loro, come se avessero scoperto un segreto. Il fatto che la canzone arrivò a rappresentare una visione turistica dell’idillico paradiso hawaiiano fa un po’ sorridere, considerando che l’idea fu probabilmente frutto di una lunga notte di droghe e dissolutezza.

La diffusione della canzone fu ulteriormente aiutata dal boom internettiano dei primi anni Duemila. Nuovi siti di commercio virtuale come Amazon distribuirono il CD di Facing Future, oltre agli altri album di Iz, a clienti in tutto il continente, indipendentemente dal fatto che si trovassero o meno nei negozi di dischi. L’ascesa dei programmi di file-sharing come Napster aumentarono il raggio d’azione della canzone ancora di più. E mentre i continentali non sembravano particolarmente interessati alle altre 14 canzoni dell’album, la loro fissazione con quella canzone in particolare aiutò Facing Future a diventare l’unico disco hawaiiano a sfondare il muro del milione di copie vendute, un’impresa che sarebbe parsa impossibile soltanto pochi anni prima.

Per quanto Israel sia stato onorato alle Hawai’i durante la sua permanenza sulla Terra, non visse abbastanza per apprezzare il suo successo negli altri 49 stati. Nonostante diversi tentativi, non fu mai in grado di calare di peso. Negli ultimi anni di vita aveva preso a nuotare, cosa che lo aiutò a muovere il suo corpo da 350 kg più facilmente, ma non riuscì mai a controllare la sua compulsione a mangiare. Era costretto a usare una bombola di ossigeno e veniva spesso ricoverato all’ospedale, dove i suoi amici gli passavano di nascosto merendine e biscotti. Camminare gli era impossibile se non per brevi tratti, mentre per salire sul palco c’era bisogno di usare un muletto. Come performer divenne progressivamente sempre meno affidabile, spesso presentandosi in ritardo a concerti e interviste o non presentandosi del tutto. Una volta descrisse la sua obesità come la sensazione di sentirsi prigioniero del proprio corpo.

Quando Iz passò all’altro mondo alle 00:18, al Queen’s Medical Center, fu come se l’intero popolo delle Hawai’i avesse perso un parente. I DJ della radio locale lessero la notizia della sua morte singhiozzando. Hawaiiani in lacrime chiamarono la stazione per tutto il giorno per condividere il proprio amore per il loro fratello caduto.

Il governatore delle Hawai’i Benjamin Cayetano decise di permettere l’esposizione pubblica del corpo di Iz nel cortile del governo statale, un onore che era stato tributato soltanto due volte prima di allora, una volta per un governatore e una per un senatore. E nonostante alcune critiche per aver concesso quella piattaforma a un civile, Cayetano rimase fermo nella sua posizione e dichiarò: “Israel era un tesoro di questo Stato. Era un gigante nel suo campo. Aveva raggiunto un livello speciale. Il palazzo del governo è di proprietà degli abitanti dello stato e simboleggia l’interesse pubblico”.

Le bandiere sventolarono a mezz’asta il giorno dei funerali, e diecimila persone si presentarono alla cerimonia. Aspettarono ore in coda per vedere la bara di Iz, costruita su misura con il koa, con legno preso raccolto in tutte le isole da 50 tra amici e parenti. La moglie di Iz, Marlene e la figlia Ceslieanne stavano sedute a fianco della bara, sotto una bandiera hawaiiana grande 15 metri e un ritratto gigante di Iz e Marlene che gli spazzola i capelli prima di un servizio fotografico. La gente pregava e piangeva passando accanto al suo corpo, porgendo foto, fiori e doni agli uscieri che raccoglievano le offerte. Poi si tenne un concerto in memoria che andò avanti per tutta la notte.

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Alcuni giorni dopo, dopo che Iz fu cremato, le sue ceneri furono caricate su una canoa diretta a Makua Beach, sul lato Ovest di O’ahu dove aveva vissuto per molti anni. In centinaia si radunarono sulla costa o seguirono la canoa su barche e tavole da surf, e il traffico sulla strada adiacente alla costa rimase bloccato per chilometri tutto intorno all’isola. Una volta che la barca ebbe raggiunto il luogo prescelto, a qualche miglio dalla costa, un’urna gigante fu alzata verso il sole. Mentre le ceneri venivano sparse nel blu, la gente esultava e lanciava spruzzi d’acqua, alcuni sventolando bandiere con il nome di Iz. Autisti di auto e furgoni in lontananza suonavano il clacson e il suono echeggiava tra le montagne, accompagnando la celebrazione della vita di una leggenda.

Mentre le ceneri si spargevano nell’acqua, mescolandosi al sale e alla sabbia dell’Oceano Pacifico, Marlene si tuffò. Altri amici e parenti la seguirono per un ultimo bagno con Israel. Da allora, è tradizione tornare in quel punto ogni 26 giugno, portando ghirlande e fiori, per nuotare con Fratello Iz, un aloha all’amato gigante che divenne parte delle Hawai’i.

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