Forse è colpa dei telefilm, ma mi sono sempre immaginata lo studio di un avvocato divorzista come una specie di confessionale dove i clienti si lasciano andare ai commenti più terribili o agli sfoghi più emotivi più rabbiosi sul proprio partner. D’altra parte, mi viene da chiedermi come altro potrebbe essere un luogo in cui si va a vuotare il sacco davanti a uno sconosciuto sui dettagli più scomodi della propria vita familiare e di coppia.
Ma al di là degli stereotipi sull’arrivista di turno che vuole accaparrarsi un assegno di mantenimento a svariati zeri e punire il partner per una relazione andata male, in cosa consiste realmente il lavoro di un professionista che segue coniugi—o meglio, uno dei coniugi—che hanno deciso, più o meno consensualmente, di separarsi e divorziare?
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Per capirlo, e per scoprire come si navighi—e cosa ci può insegnare—il mondo delle relazioni naufragate, abbiamo fatto alcune domande a Claudio Sansò, avvocato divorzista, penalista della famiglia, e coordinatore dell’AMI, l’Associazione nazionale degli Avvocati Matrimonialisti Italiani. Ecco che cosa ci ha detto.
VICE: Avere a che fare con un matrimonio che sta andando a rotoli non è il massimo, immagino. Come ha scelto di dedicarsi proprio a questa branca della professione?
Claudio Sansò: In realtà, quando ho cominciato 15 anni fa—anzi, anche qualche anno in più—è stato un caso. Ero entrato in uno studio specializzato che si occupava più che altro di diritto di famiglia e di penale, poi mi sono appassionato. Penso che penale e diritto di famiglia siano gli ambiti in cui si misurano realmente gli avvocati, dove vi è la possibilità di difendere a 360 gradi la persona, e—soprattutto per il diritto di famiglia—viene richiesta una conoscenza non soltanto del diritto ma anche di altre discipline. Devi avere una sensibilità particolare, per trattare questo tipo di materia: si ha a che fare con le persone, con realtà che a volte sono crude, a volte drammatiche, quindi non è semplicissimo. È stata una scelta inizialmente casuale, che poi è diventata una scelta di vita.
Quali sono i motivi più comuni che portano le coppie italiane alla separazione o al divorzio, nella sua esperienza?
Una buona percentuale dipende dall’aver scoperto un tradimento—quello è il motivo classico. Poi, per difficoltà relazionali nella coppia dovute a mancanza di dialogo o di rapporti sessuali. Ho avuto clienti che addirittura non avevano rapporti sessuali da dieci anni. Questi sono i motivi principali. Ci sono anche casi in cui le famiglie rimangono unite perché hanno figli piccoli, e decidono di separarsi in seguito. In quel caso, magari si metabolizza meglio la separazione. Quando invece c’è la scoperta di un tradimento si creano situazioni drammatiche, in cui a volte i figli diventano motivo di ripicca e vendetta nei confronti del partner.
Quali sono i casi più strani che le sono capitati?
Mi è capitato di dover separare coppie vicine agli 80 anni. Ma casi particolari ce ne sono tantissimi: dalla moglie che scopre che il marito stava con un parente, al marito che torna dal viaggio di nozze e si separa immediatamente, fino alla coppia che non ha mai consumato il rapporto matrimoniale e decide di separarsi.
Dopo tutti questi anni di separazioni e divorzi, ha qualche consiglio da dare alle coppie che devono decidere se sposarsi?
Penso che per una coppia, prima di giungere al matrimonio o prima di avere figli, nel caso non dovesse sposarsi, sia importante guardarsi dentro, assumersi la responsabilità e avere la maturità di fare una scelta di questo tipo e valutare attentamente se la persona che si ha a fianco è quella giusta. A volte si arriva al matrimonio dopo tanti anni di fidanzamento, quando si è già stanchi. Oppure dopo neanche sei mesi di conoscenza. Chiaramente, poi sta a ognuno valutare se sta bene con quella persona.
Io penso che l’affinità sessuale sia un aspetto molto importante, poi ovviamente l’affinità di coppia, il divertirsi insieme, avere un dialogo, avere interessi comuni e un progetto condiviso. La coppia—e l’individuo—dovrebbe interrogarsi se ci sono tutte queste condizioni.
Le è mai capitato che qualche coppia decidesse di ricucire i rapporti proprio dopo aver avviato le pratiche per il divorzio?
Sì, mi è capitato qualche volta. Sinceramente, ho anche favorito questo riavvicinamento e la riapertura del dialogo. Ogni volta che noto che una persona viene da me per separarsi ma prova ancora qualcosa [per il partner], invito eventualmente a intraprendere un percorso di coppia e valutare se c’è la possibilità di ricostruire il rapporto, prima di decidere di separarsi. Ovviamente non in casi in cui ci sono state violenze o continui tradimenti, quelle sono situazioni più complicate. Comunque diciamo che il riavvicinamento avviene in due o tre casi su 100.
Quali sono i peggiori tipi di clienti con cui ha avuto a che fare?
I peggiori clienti sono quelli che vengono in studio e già sanno tutto. Si sono già informati su internet e si fanno domanda e risposta da soli. Oppure quelli che chiamano in qualsiasi momento perché sono molto ansiosi, chiamano a Natale o Ferragosto per fare domande del tutto inutili.
Immagino che avere a che fare ogni giorno con il fallimento delle relazioni altrui possa essere deprimente. Come fa a separare vita privata e lavoro, se ci riesce?
All’inizio era un po’ più complicato, oggi riesco a essere più distaccato. Ci sono situazioni, se per esempio ci sono figli piccoli, che mi creano un po’ più d’angoscia. L’esito di un’udienza o un padre o una madre che non riesce a vedere i figli mi hanno tolto il sonno, a volte. Negli anni ho imparato a distaccarmi ma ancora oggi ci sono casi in cui mi sento coinvolto. Mi sento coinvolto a livello emotivo, ma non mi sento mai coinvolto dal punto di vista processuale—rispetto ai rapporti con il collega [l’avvocato dell’altro partner], ad esempio, e non faccio mai mia la posizione del mio cliente.
Divorzi e separazioni sono in crescita: consiglierebbe la sua carriera a dei giovani avvocati?
Questo non glielo so dire. È una professione che non va improvvisata, qui non è un fatto di conoscere la normativa, ma di avere esperienza nel trattare le diverse situazioni che ci si pongono di fronte. Quindi: valutare se sia opportuno fare una denuncia, o presentare un ricorso, o dialogare a lungo con il collega e trovare una soluzione mediale. Potrebbe essere un ramo in cui tuffarsi, ma non è comunque uno tra i più remunerativi. Soprattutto quando si separano coppie ordinarie, è difficile strappare parcelle elevate.
Ecco, appunto, quanto costa in media divorziare?
Considerando anche le richieste che possono fare gli altri colleghi—non parlo solo della mia—diciamo che ho saputo anche di separazioni consensuali costate tra i 500 e i 1000 euro e di separazioni giudiziali che oscillavano tra i 1000 e i 20.000 euro. Quindi è difficile fare una stima.
Diciamo che per una separazione consensuale, in media, la forbice è tra i 1000 e i 3000 euro. Per la separazione giudiziale, tra i 5000 e i 7000. Poi ci sono anche punte di 20-30.000, dipende da chi vai a separare, dai patrimoni coinvolti.
In definitiva, che cosa pensa di aver imparato dal suo lavoro sulle relazioni sentimentali?
Che la relazione più importante, a livello sentimentale, è quella con i figli. È la relazione che va coltivata al massimo e che in qualsiasi situazione una persona si possa trovare, quelli che vanno sempre tutelati sono i bambini. Poi, se stai bene con la compagna o il compagno ben venga, ed è giusto dedicarsi anche a quella relazione. Anche per il bene dei figli stessi, per i quali è fondamentale vivere in una situazione in cui ci sia amore e reciproco rispetto. Secondo me, è giusto coltivare gli affetti, i sentimenti, l’amore, cercare di aggiungere al matrimonio, o alla convivenza, ma sempre quando si è consapevoli che quella persona è quella giusta—almeno al 50 o 60 percento, diciamo.
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