Venezia contro grandi navi e grandi mazzette


Foto di Nicola Zolin.

Da anni il comitato veneziano No Grandi Navi si oppone al traffico delle enormi imbarcazioni, perlopiù turistiche, che entrano nel cuore della Serenissima. Il passaggio di questi mostri galleggianti assicura ai turisti una vista mozzafiato, ma rappresenta un enorme rischio per tutta la città nonché una violazione ai danni della laguna.

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Sabato 7 giugno il comitato, appoggiato da numerose associazioni e realtà locali, ha indetto una manifestazione che—soprattutto alla luce dell’esplosione dello scandalo legato alla costruzione del Mose, l’avvenieristico sistema di paratoie che dovrebbe difendere Venezia dall’acqua alta—è finita per diventare qualcosa di decisamente più grande.

Nel corso della settimana appena passata, infatti, la magistratura italiana ha scoperchiato un esteso sistema di corruttela e arrestato i “poteri forti” del capoluogo veneto. Tra le 135 persone coinvolte nell’inchiesta ci sono anche (l’ormai ex) sindaco di Venezia, Piergiorgio Orsoni, per il quale sono stati chiesti gli arresti domiciliari per finanziamento illecito; l’assessore regionale Renato Chisso; e l’ex Governatore della Regione Veneto, il “Doge” Giancarlo Galan, per cui servirà l’autorizzazione a procedere perché è presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati.

Secondo il gip di Venezia, sotto alla pioggia di soldi pubblici per l’opera di salvaguardia della laguna (dagli originari 1,5 miliardi di euro si è passati agli attuali 5,5 miliardi) si sarebbe formata una vera e propria “cupola” affaristica che avrebbe abbracciato personalità bipartisan e appartenenti a tutti i settori: la politica e l’amministrazione pubblica; il settore delle costruzioni; la finanza; e infine una serie di “talpe” inserite a più livelli nelle istituzioni.

Il sistema, coordinato dal Consorzio Venezia Nuova (ente gestore della grande opera), era perfettamente in grado di “integrare in un’unica società corrotti e corruttori,” come in un modello utopico prestato alla corruzione. Il cospicuo giro di tangenti alimentato dai fondi pubblici distratti alla collettività è stato inevitabilmente accostato a Tangentopoli. “Le caratteristiche di questo sistema sono analoghe a quelle di allora,” ha detto il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio. “Anzi, troviamo perfino gli stessi protagonisti.”

Non è un caso, dunque, che lo slogan inquisitorio dell’epoca—”non poteva non sapere”—riecheggi vent’anni dopo in laguna. Il punto di ritrovo di questa nuova manifestazione contro il sistema-Veneto è Piazzale Roma, l’ultima zona veramente urbana che il visitatore incontra prima di addentrarsi tra calli e ponti.

“Tutti sapevano,” dicono molti manifestanti, che fanno notare come, per esempio, il movimento No Grandi Navi e No MOSE avessero sottolineato le anomalie del CVN già molti anni fa.

Al capolinea degli autobus, proprio davanti al Ponte della Costituzione, da mezzogiorno cominciano a riunirsi molte persone—perlopiù venti-trentenni—che vanno a formare una macchia di bandiere “NO GRANDI NAVI” e gonfaloni della Serenissima (l’ultima volta che chi scrive li aveva visti volteggiare in aria non era andata molto bene).

Non mancano i cori (tra cui “La Laguna paura non ne ha”) e il consueto impianto stereo montato sul furgone. Il mezzo svolge anche la funzione di palco-mobile, dal quale piovono accuse dense di folklore che mirano ad allargare ancora di più lo spettro politico dello scandalo: “Anche Zaia si deve dimettere, in tutti i casi,” dice un manifestante. “Se sapeva, allora deve dimettersi perché non ha detto nulla; se invece non sapeva, deve dimettersi lo stesso perché è un mona.

È il Consorzio Venezia Nuova, però, a essere il bersaglio principale della protesta: “Doveva essere una giornata contro le grandi navi ma è diventata una giornata di lotta contro il sistema-Veneto,” urla uno degli organizzatori della manifestazione. Qualcuno poi aggiunge: “A Venezia la mafia ha un nome preciso: Consorzio Venezia Nuova.”


Attivisti cercano di bloccare il passaggio dei turisti in arrivo al terminal.

I due grandi “NO” lagunari—quello alle grandi navi e al MOSE—sono inestricabilmente legati tra loro: il “NO Grandi Navi” vuole essere reazione alle lobby delle crociere e a certi interessi cari al porto cittadino; quello al MOSE è una richiesta di pietà nei confronti di una città e un’ecosistema lagunare ormai allo sfacelo.

Per molti i due fenomeni sono figli della stessa cultura dello sfruttamento della miniera-Venezia: da una parte si accetta il rischio di un transatlantico davanti a San Marco, dall’altra ci si affida a una serie di paratie meccaniche fortemente invasive per correre disperatamente ai ripari. Dal 2003, anno d’inizio lavori per il MOSE, molte associazioni hanno segnalato l’inefficacia del progetto—e i suoi costi eccessivi—rispetto ad altre soluzioni alternative come quelle provate in Olanda e in Gran Bretagna. Non sono mai state ascoltate. Ora sappiamo perché.

Verso le due di pomeriggio la manifestazione si sposta di poche centinaia di metri: un cordone di persone spezza per una ventina di minuti il Ponte della Libertà, che collega l’isola all’Europa. 

La destinazione finale è l’entrata del porto, già controllatissimo da una schiera di poliziotti e finanzieri. Il furgoncino scassato della manifestazione costeggia così quelli bluastri delle forze dell’ordine e arriva a una rotonda che presto diventa un’aiuola pubblica, teatro di questo strano picnic critico.

Volendo bloccare il passaggio dei turisti che devono imbarcarsi, i manifestanti cominciano a erigere una barriera tra il porto e la città: prima con una sorta di cordone umano; poi optando per una rete da pesca molto spessa con cui separano il luogo della manifestazione dall’antro del mostro galleggiante.

È in questo momento che le cose si fanno difficili, soprattutto dal punto di vista del traffico. A un certo punto, i manifestanti interrompono il sit-in per spostarsi verso la stazione del people mover—un trenino sopraelevato che fa molto monorotaia dei Simpson e collega il Tronchetto a Piazzale Roma—per assicurarsi di rovinare davvero la giornata al gruppo di turisti (alcuni dei quali, spaesati e circondati, assumono così espressioni davvero confuse).

Tornando al cuore dei problemi che stanno letteralmente facendo sprofondare la città, trovare una soluzione sembra davvero complicato. Secondo il consigliere comunale di Venezia Beppe Caccia, infatti, non si tratta di poche “mele marce” da estirpare: c’è un intero sistema da debellare e “il problema è come [lo] si smonta, adesso. Per questo noi,” mi spiega, “abbiamo proposto la fine del regime di concessione unica, lo scioglimento del Consorzio Venezia Nuova, una verifica vera, indipendente e autorevole sullo stato d’avanzamento dei lavori e la congruità dei costi sostenuti. Perché ovviamente il sistema criminale è servito a bypassare tutti quegli elementi di verifica e controllo”.

C’è chi ovviamente pensa al futuro: le centinaia di manifestanti lo immaginano senza Grandi Navi in laguna e con meno “grandi opere” e più “opere utili”. Sì, ma quali? Marco Baravalle, uno degli organizzatori della manifestazione, sostiene un’alternativa tra le più popolari: invece di far attraccare queste enormi imbarcazioni in laguna, traghettandole fino al bacino San Marco, bisognerebbe farle arrivare alla bocca di porto del Lido, in quel tratto di mare in cui laguna e Adriatico si abbracciano. Da lì, poi, sarebbe possibile portare i turisti in città con imbarcazioni che non umilino le dimensioni del Titanic.

Mentre si aspettano nuovi sviluppi e qualcuno spera in “una nuova stagione cittadina”, il cortocircuito tra la realtà e le ragioni della protesta si concretizza nell’ombra del grande mostro che fa capolino dal porto: un’enorme nave da crociera si staglia immobile proprio davanti al comitato e i suoi sostenitori, pronta a girovagare tra i canali di cartapesta come se niente fosse.

La nave sembra davvero massiccia e indistruttibile. A differenza di Venezia.

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