Gin 50 60 puglia murge
Tutte le foto per gentile concessione di 50/60 Gin Rurale.
Cibo

Come il gin prodotto da queste donne racconta benissimo le Murge pugliesi

Nella zona idilliaca delle Murge pugliesi, Angela Aliani e Fabia De Ecclesiis fanno un London Dry come si deve, 50/60 Gin Rurale, usando solo botaniche locali.
Gianvito Fanelli
Conversano, IT

“Il nostro è un London Dry Gin: il metodo più nobile, originale, pulito, dove senti l’aroma delle piante, ma non hai la sensazione torbida dei gin fatti in altro modo.”

La storia di Angela Aliani e Fabia De Ecclesiis parte per caso, come molte cose, e durante il lockdown del 2020, come molte altre storie. Ciò che mi ha stupito, invece, è stato un altro tassello: com’è successo che, dal nulla, due amiche si sono messe a produrre del gin arrivando ad aprire un’azienda.

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50/60 Gin Rurale è un gin per il quale vengono utilizzate le erbe spontanee delle Murge pugliesi—che ne sono ricchissime e che stanno conoscendo una riscoperta grazie all’impegno di ristoratori come i fratelli Montaruli del ristorante Mezza Pagnotta.

Qualche tempo fa ho deciso di andare proprio dov’è nato e dove si produce 50/60 Gin Rurale: una rimessa di una villa signorile ai margini del centro di Gravina (sì, la città del ponte di James Bond), nonché luogo d’origine del Pallone, di cui avevamo scritto qualche tempo fa.

Arrivo e Aliani e De Ecclesiis mi raccontano la storia del loro gin. Partendo proprio dal nome, che suonava misterioso: “Si chiama 50/60 perché abbiamo cominciato a lavorare a questo progetto nel 2020, quando io compivo sessant’anni, Fabia cinquanta,” mi racconta Aliani, che ha un passato da commercialista e diverse attività agricole di famiglia.

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Tutte le foto per gentile concessione di 50/60 Gin Rurale.

“È stato un modo per fermare il tempo, per scattare una fotografia di quel momento. Rurale perché le nostre famiglie hanno entrambe una storia di agricoltura,” dice De Ecclesiis. Che ha sempre avuto le mani nella terra: laurea in agronomia, da qualche anno ha ceduto l’azienda di famiglia ed è da sempre dedita alla zootecnia.

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Parlando con queste due donne vengo subito rapito dalla loro energia. Aliani mi racconta che passa il periodo da marzo a ottobre in Umbria, dove gestisce una proprietà di famiglia. “D’inverno, però, era tragico: avevo bisogno di un diversivo. Così ho detto a Fabia: Facciamo qualcosa. Siamo partite dagli oli essenziali.”

Il foraging, qui, esiste da una vita e non è mai diventato cool: semplicemente, è sempre stato uno dei modi di mettere del cibo a tavola.

E, quindi, il gin? “È stata Fabia a propormelo,” mi dice Aliani. “Io, fino ad allora, avevo preparato solo dei rosoli fatti in casa. E il gin nemmeno lo bevevo! C’è sempre una prima volta nella vita.”

Chiedo a De Ecclesiis l’origine di questa idea e la risposta è abbastanza sorprendente: “La colpa è di Riccardo Scamarcio: mi capitò di parlargli mentre era a Gravina per girare un film e mi disse: ‘Sei agronoma, di piante ne sai, perché non cominci a produrre distillati?’ E mi invitò nella sua cantina Rivale a Polignano a Mare [Scamarcio produce vini dal 2012] dove ha anche un alambicco.”

Insomma, bisognava solo partire, che non è facile calcolando il Covid e il lockdown. Acquistano allora un alambicco di dubbia provenienza da un amico. Quando l’alambicco esplode—era per oli essenziali e non per gin—la coppia non molla, ma decide di rincarare la dose. “Inizialmente avevamo pensato di farci preparare la ricetta in una distilleria del nord Italia. Poi, invece, abbiamo deciso di continuare per conto nostro. Oggi siamo in grado di preparare noi la ricetta per chiunque ce lo chieda.”

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Da lì a fare il gin, e farlo bene, ce ne vuole però. “Durante il Covid, l’unica possibilità per studiare erano dei master online, nei quali abbiamo conosciuto anche persone dall’altra parte del mondo. Non era sufficiente, ma era un inizio.”

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Le bacche di ginepro locali usate per fare 50/60 Gin Rurale.

Poi arriva l’alambicco giusto e Aliani e De Ecclesiis cominciano a provare le loro ricette. Si fanno aiutare anche da da un master distiller di Gubbio, Giacomo Faramelli, che apporta solo alcune piccole correzioni. “Ci ha fatto i complimenti sulla distillazione, dandoci solo qualche suggerimento sulle botaniche. Quello del gin è un mondo ancora molto maschile, chiuso, tanto che l’unica donna che abbiamo conosciuto è in Toscana, ma produce solo per conto terzi. L’essere ‘diversamente giovani’ ci ha aiutate a farci strada.” E pensare che la ricetta del popolarissimo Hendrick’s gin è proprio di una donna, Lesley Gracie.

“Il nostro è un London Dry Gin: il metodo più nobile, originale, pulito, dove senti l’aroma delle piante, ma non hai la sensazione torbida dei gin fatti in altro modo. Scende giù pulito perché l’alcol viene rettificato. Per disciplinare possiamo usare solo botaniche naturali, raccolte ed essiccate naturalmente. Così come non possiamo usare additivi chimici, zuccheri o semipreparati,” spiega De Ecclesiis. “Perché abbiamo scelto questo metodo? Angela è una perfezionista, e poi volevamo usare le nostre botaniche.” Oggi in Puglia le microdistillerie sono sempre di più (sono 15 in tutta la regione al momento) e ce ne sono diverse anche di livello, come Altamura Distilleries, cha fa una vodka a partire dal grano di Altamura e persino una distilleria che fa il gin con l’olio d’oliva

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Chi vive sulle Murge sa quanto la cultura gastronomica di questo luogo sia fortemente caratterizzata dalle sue erbe spontanee. Il foraging, qui, esiste da una vita e non è mai diventato cool: semplicemente, è sempre stato uno dei modi di mettere del cibo a tavola. Era impossibile, quindi, che Aliani e De Ecclesiis non pensassero di creare un London Dry gin usando delle botaniche autoctone, raccolte sul Pulicchio di Gravina.

“La salvia cresce ovunque nel Mediterraneo, ma nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia ha dei sentori completamente differenti. Il microclima ha un grande impatto, e infatti è difficile avere un blend costante nella produzione: stiamo pensando di cominciare a coltivarne alcune, incluse quelle che non riusciamo a raccogliere in natura come la liquirizia,” racconta De Ecclesiis. “Abbiamo iniziato a raccogliere le erbe, ne abbiamo studiato i tempi balsamici per capire il momento ideale per raccoglierle, le abbiamo essiccate e defogliate nella serra di Angela e le abbiamo stoccate nei sacchi di juta."

Chiedo quali altre botaniche e piante hanno testato: “Abbiamo provato di tutto, perfino il fungo cardoncello, il cardo selvatico [che in Murgia chiamano sempre cardoncello, in maniera bizzarra], il cetriolo carosello, il peperone crusco.”

Sono curioso di sapere cosa c’è, quindi, in 50/60 gin. “Prima bisogna fare una premessa: per poter raccogliere le piante abbiamo parlato con il Parco Nazionale dell’Alta Murgia,” mi dice Aliani. “È necessario certificare le piante, analizzandole per verificarne l’eventuale tossicità. È stata la prima volta che si è fatta una cosa del genere in questo parco.”

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Quindi nel gin c’è “la santoreggia, una pianta infestante che, così racconta la leggenda, sembra i monaci non potessero coltivare perché afrodisiaca,” spiega De Ecclesiis. “I sentori cambiano molto in base a dove la raccogliamo: dove prende più caldo, il profumo è più intenso, somiglia a quello dell’origano, e il sentore è molto piccante, ma rotondo, non come quello del peperoncino che senti solo sulla lingua. L’altra pianta fondamentale è la salvia minore: dagli antichi veniva usata come dentifricio. Poi c’è anche la Mandorla di Toritto ‘Filippo Cea’, presidio Slow Food. Le botaniche comprendono anche marrubio, timo, mentastro e in totale sono quattordici. Le bacche di ginepro provengono dai boschi di Gravina. Ci sono anche piante, come la salicornia, raccolte sugli scogli di Polignano a Mare e Monopoli.”

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Mentre parliamo, Aliani e De Ecclesiis preparano un gin tonic: “Noi consigliamo di abbinarlo a una tonica neutra, perché il gin è già molto aromatico.”

Non mi definisco un bevitore seriale, ma il gin tonic che mi offrono alle 10:30 del mattino fila giù che una meraviglia, pulito. Le note di salvia e timo gli danno profumo, mentre salicornia e finocchietto selvatico lo rendono fresco. Sarà l’amore per gli odori inebrianti della Murgia, o semplicemente il fascino di questa storia quasi unica in Italia.

Voi provatelo e fatemi sapere.

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