Attualità

Abbiamo parlato con Danielle Madam di Olimpiadi, ius soli e cittadinanza italiana

Per la campionessa italiana di lancio del peso "non avere la cittadinanza ti spezza le ali in partenza e in qualche modo ti fa smettere di crederci."
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Questo è un approfondimento della decima puntata del podcast “Sulla Razza” dedicata all’“atleta nerə” in cui riflettiamo sulle tensioni razziali nei campi sportivi, sul peso della diversità e dell’inclusione nelle dirigenze sportive e sull’importanza della cittadinanza per gli atleti di domani. 

“Sulla Razza,” di Nadeesha Uyangoda, Nathasha Fernando e Maria Mancuso, vuole intavolare una conversazione sulla questione razziale in Italia, e vuole farlo utilizzando un linguaggio aggiornato. La prima stagione si è conclusa, e puoi ascoltarla su Spotify, Apple e Google Podcast. Intanto, segui “Sulla Razza” su Instagram, o vai in fondo all’articolo per avere più informazioni sulla nostra collaborazione col podcast.

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Si sono chiusi ieri i giochi olimpici di Tokyo 2020, e l’Italia ha raggiunto il suo risultato migliore di sempre: 40 medaglie complessive di cui 10 ori, 10 argenti e 20 bronzi. Per il presidente del Coni Giovanni Malagò, questo traguardo storico ha “reso felici gli italiani” ed è stato anche il frutto di “un’Italia multietnica e super integrata.”

Stando ai calcoli del Corriere delle Sera, sono 46 gli atleti e le atlete italiani nati all’estero. C’è poi chi è mancato in questa edizione e ha seguito i giochi da lontano—come l’atleta Danielle Madam, che è nata in Camerun, è cresciuta in Italia (più precisamente a Pavia) ed è cinque volte campionessa nazionale di lancio del peso. L’ho raggiunta al telefono proprio per parlare di cittadinanza, di rappresentazione nello sport e delle sue prospettive future.

“È chiaramente il sogno di ogni atleta poter partecipare”, mi dice, “quindi le sogno con gli occhi di una bambina entusiasta che spera ancora di andarci.” Madam, ventiquattro anni, ha ottenuto la cittadinanza italiana solo quest’anno. Il suo nome era apparso sulle cronache nel novembre del 2020, dopo essere stata verbalmente aggredita da un uomo nel bar in cui lavorava che le aveva gridato “tu non sei italiana, non lo diventerai mai.”

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Chi è nero, in Italia?

“Io ritengo che la cittadinanza sia un diritto che mi spettava già da tempo,” commenta. “Il sindaco Mario Fabrizio Fracassi, avendo preso a cuore la mia causa, l’aveva portata alla cronaca, e questo mi ha permesso di vedermi riconosciuto un po’ prima quello che era un mio diritto da molti anni. La speranza è che la mia storia possa aver messo in luce quanti ragazzi si trovano in quella stessa situazione: sono italiani di fatto, ma non vengono riconosciuti come tali.”

Il mancato riconoscimento formale della sua italianità ha finora impedito a Madam di indossare la maglia azzurra, e nonostante quest’anno non sarebbe comunque riuscita a qualificarsi, racconta quanto sia stato escludente l’ostacolo della cittadinanza: “Non averla avuta tutti questi anni non mi ha permesso di sognare fino in fondo—è un po’ come dare gli esami all’università con la consapevolezza che non potrai in ogni caso laurearti. È quello che è successo a me: nelle categorie giovanili ho sempre vinto, ma sapevo di non poter mai ambire a vestire la maglia azzurra”. 

Questo è sicuramente uno svantaggio per i giovani atleti senza cittadinanza, figli di genitori immigrati, che pur essendo forti come lo era Madam, “non hanno la possibilità di fare dell’atletica il loro lavoro, dato che non possono far parte di un gruppo sportivo militare.” È un’esperienza che la riguarda da vicino, perché il fatto che non fosse italiana le “ha fatto perdere molti treni.” Madam racconta anche di come lei abbia sempre avuto bisogno di lavorare, e questo “ha significato togliere del tempo all’atletica, ma soprattutto togliere del riposo” al suo corpo—una necessità tutt’altro che secondaria per un’atleta professionista.

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C’è un’ingiustizia sociale di fondo per chi vuole fare dello sport il proprio lavoro: non tutti hanno il privilegio economico di potersi dedicare alla preparazione fisica e psicologica che un impegno del genere richiede. “Vale anche per gli atleti italiani bianchi e per chi ha una famiglia meno agiata, che non riesce a mantenere l’attività dell’atleta,” precisa Madam.

Ma il fatto di non avere la cittadinanza “ti spezza le ali in partenza, non ti permette neanche ad ambire a fare di più, in qualche modo ti fa smettere di crederci. Io ho fatto la mia battaglia, che per ora è stata vinta solo personalmente, ma l’augurio è quello di cercare di far passare il messaggio che c’è bisogno di una riforma, non solo per lo sport: l’attuale legge sulla cittadinanza non ci rappresenta più. Bisogna tener conto che ci siamo noi, italiani.”

La partecipazione di una manciata di sportivi e sportive di minoranza etnica ha acceso il dibattito mediatico e social sulla cittadinanza, lo ius soli (non solo sportivo) e l’italianità. Paola Egonu, prima descritta come papabile portabandiera nazionale, poi effettivamente portatrice del vessillo del Comitato Olimpico Nazionale; Daisy Oyemwenosa Osakue, qualificatasi alla finale del lancio del disco, eguagliando con 63,66 metri il record italiano imbattuto da oltre 25 anni; Eseosa Desalu, uno dei quattro velocisti che ha portato a casa l’oro della staffetta 4x100 metri, e che, nato in provincia di Cremona, ha ottenuto la cittadinanza solo a diciotto anni; Lamont Marcell Jacobs, il primo italiano a vincere un oro olimpico nei cento metri maschili, per metà americano.

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Proprio dopo l’impresa di quest’ultimo, Giovanni Malagò, presidente del Coni, aveva riscoperto la vecchia proposta di uno ius soli sportivo, per concedere la cittadinanza senza attese agli atleti italiani di fatto. Di ius soli sportivo abbiamo parlato in questa decima puntata di Sulla Razza, ma in riferimento alla norma introdotta del 2016, che permette agli atleti con cittadinanza straniera (giunti in Italia prima del compimento del decimo anno di età) di tesserarsi nelle federazioni italiane con le stesse procedure previste per i cittadini italiani.

Per Madam, Malagò si è espresso “per quanto concerne il suo settore, ma non è un politico. Poi chiaramente la legge deve cambiare e deve cambiare per tutti—io la penso così. Però senza dubbio lo sport può essere un buon veicolo per continuare a sollevare” il problema della legge sulla cittadinanza del 1992. 

In questo anno particolare per lo sport, abbiamo visto il volto di Danielle Madam sugli schermi delle nostre tv, come co-conduttrice (a fianco a Marco Lollobrigida) di “Notti europee” in occasione di Euro 2020. “Sono stata molto onorata della chiamata da parte del Direttore di Rai Sport Auro Bulbarelli, ho colto subito l’occasione,” racconta. Esclusa l’eccezione di FIona May, che abbiamo ritrovato come commentatrice sportiva per la Rai a Tokyo 2020, l’apparizione di Madam sulla tv pubblica è la doppia rappresentazione di una donna e di un’atleta nera. 

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“Spero davvero di aver fatto bene,” dice, “mi piace pensare di essere riuscita a entrare nelle case degli italiani—e quale migliore occasione di un campionato di calcio?—e di aver fatto capire a quelli più ostili che una persona con la pelle scura può benissimo parlare italiano e anche occuparsi di calcio.” 

Non si sa ancora se ci saranno altre occasioni, ma per Madam quella televisiva è “una carriera che prendo in considerazione—alle fine studio Comunicazione e quindi era il mio ambiente, nel senso che era una combinazione tra i miei studi e la mia formazione di sportiva.”

Di sicuro, nel futuro c’è anche la possibile partecipazione alle Olimpiadi di Parigi del 2024. “la vittoria di Tamberi nel salto in alto, che si è rotto il tendine d’Achille alla vigilia dei Giochi Olimpici di Rio 2016, ha rafforzato ancora di più in me il pensiero di non smettere mai di sognare,” conclude Madam. “Adesso ho un po’ più di tranquillità, e ho come obiettivo quello di vincere una medaglia ai campionati italiani del prossimo inverno. Intanto continuo a lavorare per realizzare il mio sogno.”

Per 30 minuti, due volte al mese, Sulla Razza ha tradotto concetti e parole provenienti dalla cultura angloamericana, ma che ci si ostina ad applicare, così come sono, alla realtà italiana—BAME, colourism, fair skin privilege. In ogni episodio si cercherà di capire come questi concetti vivono, circolano e si fanno spazio nella nella nostra società. Sulla Razza è anche una newsletter, e qui su VICE pubblicheremo periodicamente contenuti di approfondimento sulle singole puntate.

Nadeesha Uyangoda, Nathasha Fernando e Maria Mancuso, grazie anche alle voci e ai punti di vista degli italiani non bianchi, hanno parlato di come queste parole impattano le vite di chi è marginalizzato e sottorappresentato da molto tempo.

Sulla Razza è un podcast prodotto da Undermedia grazie al supporto di Juventus.