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Le serie tv più fiche del 2019 che non sono ancora arrivate o non vedremo mai in Italia

Euphoria, The Twilight Zone e molte altre. Prego, non c'è di che.
euphoria
Immagine via Facebook/Euphoria HBO.

Nella straordinaria quantità di serie tv che io, e voi, abbiamo la possibilità di fruire in Italia nel 2019 mancano all’appello alcuni dei titoli più importanti dell’anno fino a questo momento. Se è vero che le scalate globali di Netflix e Amazon Prime Video hanno favorito una certa velocità sull’asse Usa- Europa, è anche vero che a oggi non abbiamo la possibilità di godere direttamente della programmazione Hbo se non su Sky e gli show Hulu solo raramente finiscono sul catalogo Timvision, tanto per fare due esempi.

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Le logiche di acquisizione che fanno capo alla cosiddetta "televisione lineare"—quella dei palinsesti e degli slot orari—e non solo sono variabili e intricate: Fox ha tramesso l’Atlanta di Donald Glover che è prodotta da FX, ma lo stesso non è avvenuto per Pose nel 2018 e What We Do in the Shadows in questi mesi (tutti e due, ugualmente, FX).

Non importa. In un mercato complicato tocca essere utenti complicati, cioè informati ed esigenti. E magari farsi una lista mentre s’aspetta che show importanti come quelli in basso trovino la strada maestra di questo o quel broadcaster; di questa o quella piattaforma.

Euphoria (Hbo), in arrivo su Sky in autunno

Adattata da Sam Levinson per il mercato statunitense a partire dalla miniserie israeliana omonima, Euphoria è una delle sorprese dell’anno. Nello show Zendaya—ex stella del Disney Channel da quasi sessanta milioni di follower su Instagram—interpreta Rue Bennett, diciassettenne bipolare che scopre fino a che punto il passo dalle medicine alle droghe sia breve. Desolata e incapace di creare legami con i coetanei, la sua vita cambia quando incontra Jules—la stella di domani Hunter Schafer—una ragazza transgender che pare generata dall’incrocio impossibile tra Sailor Moon e qualsiasi ritratto di Hedi Slimane.

Spaccato della Generazione Z che deve molto ai Kids di Larry Clark e sarebbe fin troppo semplice apostrofare come "Trainspotting con le femmine" o "Skam Italia sotto amfetamine", Euphoria è la tipica serie per la quale non conta il cosa ma il come. Guardare per credere.

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Il suo unico difetto è somigliare più a un fashion film che a una disamina del disagio giovanile, forse; ma chi se ne frega. La costruzione quasi sempre coinvolgente dei personaggi annulla la sensazione di trovarsi tra le pagine di un servizio patinatissimo di Dazed. La buona notizia è che da noi arriverà di sicuro. In autunno, su Sky Atlantic. Years and Years (BBC One)

Chi l’ha già vista ve ne parlerà come della serie dell’anno, anche se siamo solo a luglio. Ideata da Russel T Davies, già showrunner di Doctor Who fino al 2010, la serie in sei puntate racconta il futuro della famiglia Lyons nei quindici anni che vanno dal 2019 al 2034. La sola idea è terrorizzante, in un certo senso. Pensate mai a come sarà la vostra vita tra quindici anni, domandandovi se le vostre speranze e/o le vostre paure saranno concretizzate? Io di continuo. È su questo meccanismo che Years and Years si installa e ruota come un ingranaggio ben oliato, integrando essenzialmente due generi: il dramma famigliare da un lato e il thriller distopico dall’altro.

Ne sentirete parlare, non a caso, come di "This Is Us che incontra Black Mirror" o qualcosa di simile. Non è falso; ma la formula tutto sommato banalizzante non esaurisce la complessità di uno show la cui sceneggiatura gestisce l’intreccio con meticolosità quasi robotica, e la cui scrittura dei personaggi fa da architrave per l’esplorazione di temi strettamente contemporanei.

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Ora fate un elenco di quello che vi spaventa del futuro. Qualche spunto: il populismo globale, il disastro climatico, la minaccia atomica, le ondate migratorie inarrestabili, l’alterazione sostanziale del corpo umano. Tutto questo, in effetti, è l’oggetto di Years and Years. Nessuna data di uscita italiana o broadcaster annunciato, ma aspettiamo che si sparga la voce e stiamo a vedere cosa succede.

Pen15 (Hulu)

Di teen comedy ne abbiamo viste e ne vedremo tante: da Freaks & Geeks di Judd Apatow fino alla stessa Euphoria, passando per Sex Education. Ideata e scritta da Maya Erskine, Anna Konkle e Sam Zvibleman Pen15, però, è una teen comedy diversa dalle altre su più livelli. Il primo e il più eclatante è che le protagoniste tredicenni (Maya e Anna) a vedersi sembrano trentenni perché sono trentenni. Sono le autrici stesse. Tutte le persone che le circondano, invece, sono effettivamente preadolescenti e adolescenti.

L’effetto è una forma di straniamento in piena regola, una de-familiarizzazione dei leitmotiv del genere che portano lo spettatore a riconsiderare luoghi comuni e stereotipi mentre il punto di vista resta, rigorosamente, femminile. Così, come in un Bigmouth con attori in carne e ossa, si viene sgamati dai genitori mentre ci si masturba, ci si vuol bene tra amiche come se si trattasse del singolo legame su cui poggia il mondo intero e si sbava sui ragazzi fighi mentre il rovesciamento della "solita" prospettiva maschile è in atto. Pen15 forse da noi non arriverà mai, ma è un portento.

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What We Do in the Shadows (FX, su Fox no, forse Netflix)

Chi ha amato Parks & Recreation o The Office sa bene quante possibilità offra il genere mockumentary o finto documentario. What We Do in the Shadows nasce dalla pellicola omonima prodotta, girata, scritta e interpretata Taika Waititi (regista di Thor: Ragnarok della Marvel, tra le altre cose) e Jemaine Clement (co-autore della leggendaria Flight of the Conchords) del 2014 basata su una premessa semplice: come se la passerebbero dei vampiri nella Nuova Zelanda del presente?

La serie espande e rimodella gli ottantacinque minuti del film trasformando i personaggi e spostando l’epicentro dell’azione a Staten Island dove tre vampiri centenari, un "vampiro energetico" (cioè una persona noiosissima) e un servo umano sono calati in un contesto contemporaneo e afflitti da problemi quali reperire il sangue fresco delle vergini—i tipici giocatori di ruolo fanno da serbatoio infinito in questo senso—o conquistare l’ennesima incarnazione del ragazzo che si è amato nei secoli, ma è sempre morto di morte violenta. Bella per Natasia Demetriou nei panni di Nadja, succhiasangue geniale e pseudo-femminista costretta a passare la vita tra soli maschi un po’ fessi generando una quantità di risate quasi illegale.

Ramy (Hulu)

Ramy esplora le contraddizioni e le sfide di un ragazzo musulmano di origini egiziane negli Stati Uniti e, nel farlo, prova a smontare uno a uno i cliché legati alle convinzioni e alle pratiche religiose della sua comunità. Guardando lo show—che è co-creato dallo stesso protagonista, Ramy Youssef—si percepisce un’affinità elettiva con i momenti migliori di Master of None di Aziz Ansari, che a sua volta doveva molto al racconto della lotta emotiva di Woody Allen con le radici ebraiche.

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La serie Hulu apre una finestra sul mondo al quale il personaggio principale è legato solo in parte, ma la differenza con gli autori citati sta nel fatto che non vuole rinunciarvi e allo spirito iconoclasta con cui si passano al vaglio le più rigide tra le convenzioni religiose non mancano quasi mai l’empatia, né un senso profondo di appartenenza. Ramy non intende affermarsi negando la sua eredità spirituale, vuole abbracciarne gli aspetti che sente propri rifiutando quel che non è funzionale al suo personale equilibrio di individuo. In questo senso la serie è nuova, o comunque modifica le premesse della classica storia del Millennial di prima generazione nato da una famiglia di immigrati.

The Twilight Zone (CBS)

Dal primo all’ultimo episodio della prima (infinita) stagione di The Twilight Zone è perfettamente chiaro che tipo di spirito animi il reboot di Jordan Peele, Simon Kinberg e Marco Ramirez. Con un’attenzione spesso filologica alle cifre dell’originale di Rod Serling del 1959 lo show vuole trasporre l’angoscia distillata della serie antologica madre nel presente, caricandola del messaggio politico—per nulla sottile—tipico della produzione di Peele.

Il risultato è enormemente dispari, e per quanto puntate come l’incredibile Blurryman restituiscano appieno l’altra dimensione o Zona del Crepuscolo è possibile che l’eccessiva lunghezza dei dieci episodi finisca per diluirne la portata e il senso ultimo che, per fortuna, non è sempre così immediato. Uno degli aspetti più interessanti di The Twilight Zone resta il passaggio di consegne tra Serling stesso—che presentava e aiutava lo spettatore a contestualizzare o inquadrare il significato di ogni storia—e Peele che ne abbraccia il ruolo con l’espressione sardonica che lo contraddistingue. Il pensiero, intanto, non può che andare a Black Mirror.

Charlie Brooker ha dichiarato spesso il suo affetto nei confronti della serie degli anni Cinquanta, ma i suoi incubi tecnocratici non hanno effettivamente molto a che fare con il surrealismo del vero e proprio reboot che lascia il segno al di là di qualche problema (per esempio la costruzione farraginosa dei personaggi).

Ti interessano le serie tv? FeST - Il FeStivAl delle Serie Tv è il festival dedicato ai prodotti seriali, con proiezioni, eventi e panel che si terrà dal 20 al 22 settembre 2019 presso Triennale Milano. Ci saremo anche noi, e per l'occasione stiamo organizzando un sacco di cose belle.

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