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Ecco quanto è stupida l'idea dietro i morbillo party dei genitori no-Vax

Abbiamo chiesto a un'esperta cosa si rischia coi gruppi di genitori che organizzano incontri per il contagio di malattie esantematiche.
Thumbnail via NextQuotidiano.

Siamo nel 2017—nel 2017—e le malattie infettive in Italia stanno vivendo un periodo d'oro. In Lombardia il numero dei casi di morbillo è quintuplicato, quello dei contagi è decuplicato e in generale la malattia ha toccato picchi di incidenza che non si registravano da quasi un decennio. È in questo contesto che è emersa la notizia di un piccolo gruppo di genitori no-Vax che su Facebook si annunciavano a caccia di focolai di malattie infettive (oltre al morbillo, parotite, rosolia e varicella, per fare qualche esempio) allo scopo di esporre deliberatamente i figli al contagio, nella speranza di rafforzarne il sistema immunitario.

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Nel "Gruppo Segnalazioni Malattie Esantematiche", ora non più esistente, i membri si scambiavano informazioni sui "bacillini santi," un'espressione priva di significato dal punto di vista medico, ma che per loro identificava i batteri di una serie di malattie considerate "normali" da sfruttare per il "contagio naturale" al fine di "ottenere l'immunità definitiva."

Dopo la circolazione degli screenshot e il polverone che ne è seguito, il gruppo è stato cancellato—presumibilmente dagli stessi gestori che, citando l'articolo 438 del codice penale, secondo cui per "chi si rende colpevole di cagionare un'epidemia" è previsto l'ergastolo, sono corsi al riparo.

Al di là degli aspetti legali, che necessiterebbero di un approfondimento a parte (che cosa si intende per "epidemia," ad esempio, e quante persone devono ammalarsi perché se ne possa parlare?), quella di esporre bambini a una malattia come prevenzione contro la stessa è una pratica che appartiene al passato, all'epoca precedente alla diffusione dei vaccini.

Ma appunto—come dicevo nella prima riga del pezzo—noi siamo nel 2017. Eppure casi di "varicella party"—che sono esattamente quello che pensate che siano, ovvero 'feste' in cui gli invitati ricercano il contagio con il virus—sono stati segnalati anche in Australia, Stati Uniti e Regno Unito.

Per fare chiarezza sulla questione ho parlato con Susanna Esposito, professore ordinario di Pediatria all'Università di Perugia e presidente dell'Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici.

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VICE: Tanto per cominciare, quanto sono diffusi i gruppi in cui si organizzano incontri per il contagio di malattie esantematiche?
Susanna Esposito: Non sono così diffusi, sono cose assolutamente limitate. Il problema grosso, dal punto di vista dei vaccini, è sulla gente incerta. Chi non ha la percezione della malattia, la percezione che certe malattie possono verificarsi ed essere gravi. Non è che la gente cerca di prendere le malattie, normalmente.

Quali sono i rischi dell'esporre volontariamente i bambini al contagio?
Ogni volta che si è esposti a un agente infettivo, il rapporto tra questo e chi vi viene esposto è un equilibrio molto complicato, che può avere conseguenze anche in un soggetto sano e senza patologie di base. Esporsi a una malattia infettiva può causare tutte le possibili complicanze della malattia stessa—in alcuni casi, come il morbillo, tra queste può esserci persino la morte o comunque manifestazioni cliniche gravissime come l'encefalite.

Più grave è la malattia, più grave è l'esposizione. Tra le malattie esantematiche sono particolarmente rischiose appunto il morbillo, la rosolia soprattutto per le donne in età fertile e la parotite per gli adolescenti maschi. Insomma, non è assolutamente raccomandabile esporsi ad agenti infettivi, e anzi è per questo che di solito si raccomanda proprio di mantenere isolato un soggetto con una malattia infettiva—così da non diffondere ulteriormente l'infezione.

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Ha senso l'idea di "immunizzare in modo naturale" un bambino?
No. Oggi la medicina è cambiata, la mortalità in età infantile e pediatrica è diminuita grazie all'uso e alla diffusione dei vaccini. Credere all'immunizzazione "naturale" vorrebbe dire retrocedere, tornare indietro a quello che succedeva anni fa quando non c'erano le possibilità di oggi.

L'immunizzazione attiva, per definizione, è la vaccinazione. L'idea di potersi "immunizzare in modo naturale" non va nemmeno considerata. Per fortuna quest'idea è rara, almeno in Italia, anche se ultimamente le posizioni contro i vaccini si stanno diffondendo.

Che differenza c'è tra l'esposizione a una malattia e la vaccinazione?
Il vaccino permette di indurre degli anticorpi protettivi senza acquisire la malattia. Viene somministrato un antigene, in forma inattivata o con una proteina di trasporto per aumentare la risposta immunitaria, oppure un antigene vivo attenuato. Il rischio di malattia, anche con i vaccini a virus vivo attenuato, è comunque modestissimo e in forma lieve. Quindi si è protetti senza avere le complicanze della malattia. Non è un'esposizione a rischio. Invece l'esposizione all'agente infettivo può determinare una malattia con tutte le sue conseguenze.

Che origini ha la credenza che "fare" una malattia porti a essere protetti dalla stessa?
È una credenza che risale a quando certi vaccini non esistevano e che deriva dal fatto che alcune malattie, specie quelle esantematiche, diventano più gravi con l'aumentare dell'età. Perciò, per esempio, se un bambino in casa prendeva una malattia si pensava che fosse meglio che la prendessero subito anche i suoi fratelli. Era una credenza popolare non supportata naturalmente da possibilità preventive.

Era una pratica che neanche ai tempi aveva basi scientifiche, che trovava forza nel fatto che non ci fossero i vaccini e che era diffusa perché le famiglie erano numerose. Il contesto faceva molto: non c'era la possibilità di isolare il malato, di conseguenza i bambini restavano probabilmente nella stessa stanza e si diceva, "Eh, in caso si prenderanno la malattia anche loro." Si faceva perché non vi era altro modo di poter agire e si dava una giustificazione di questo tipo. Ma oggi questo discorso non ha nessun senso.