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Cibo

La cooperativa romana dove migranti e persone con disabilità fanno dell'ottimo formaggio

Agricoltura Nuova è una cooperativa, ex occupazione studentesca comunista, che oggi accoglie anche carcerati per dargli un lavoro dignitoso.
Andrea Strafile
Rome, IT

“Quando questi ragazzi arrivano non hanno un cazzo, nemmeno la dignità. Fargli avere un documento e uno stipendio per noi significa riconoscergli un’identità.”

Mentre nelle sale di tutto il mondo usciva per la prima volta Guerre Stellari e in Italia fiorivano manifestazioni drammatiche di aperta violenza, alle porte della Capitale un gruppo di studenti, disoccupati e militanti comunisti prendeva possesso di 320 ettari di terre abbandonate.

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Corre l’anno 1977. Sostenuti dallo scomparso PCI (Partito Comunista Italiano) questi ragazzi hanno dato vita a un’autogestione del territorio praticamente autosufficiente con coltivazioni e allevamenti. Era nata Agricoltura Nuova, all’interno di quella che poi sarà chiamata la Riserva Naturale di Decima Malafede.

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Foto dell'occupazione di Decima Malafede. Per gentile concessione di Davide Pastorelli.

“Queste terre -insieme a molte altre- erano proprietà del Conte Vaselli,” mi spiega Davide Pastorelli, che è un po’ il portavoce della cooperativa e mi ha fatto da Cicerone. Il conte Romolo Vaselli era un tizio che da maestro muratore si è fatto strada fino a essere insignito del titolo di conte nel 1941 da Re Vittorio Emanuele III e che ha collaborato con il regime fascista e nazista soprattutto costruendo strade in molte delle ex-colonie italiane.

Su una quarantina di ragazzi e ragazzi che attualmente lavorano qui, dodici sono rifugiati politici, migranti economici o persone con disabilità.

Oggi Agricoltura Nuova è una cooperativa che spazia dall’agricoltura all’allevamento passando per un caseificio, un birrificio, produzione di miele e diverse altre cose. I prodotti di punta, però, oltre alla frutta e la verdura di stagione - hanno anche alberi di avocado, se volete un’alternativa a km0 -, sono i formaggi. Quasi esclusivamente di pecora: ricotte, formaggi freschi e il pecorino sardo in tre stagionature. Fa ridere che il pecorino romano venga fatto in Sardegna e quello sardo in Lazio.

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Tornando a noi: Agricoltura Nuova si batte da decenni per l’inclusione sociale e il diritto al lavoro. Il che si traduce nell’accogliere e dare lavoro e possibilità a rifugiati politici, immigrati, persone con disabilità ed ex-carcerati. “Per un periodo venne a lavorare da noi anche Laura Proietti delle Nuove Brigate Rosse”.

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Il busto di Lenin istallato dai primi occupanti. Foto dell'autore.

“Io sono entrato a far parte di questo progetto grazie ai miei genitori: mio padre veniva qui a coltivare la sua passione per l’apicoltura a inizio anni ‘90,” mi racconta Davide. “Dopo aver studiato all’istituto tecnico agrario caricavo frutta e verdura coltivata qui e portavo tutto al mercato, dove i miei genitori la rivendevano. Oggi sto per diventare socio e mi occupo principalmente del caseificio.” Anche se quando sono arrivato stava costruendo la nuova sala mungitura.

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Dabbo, rifugiato dal Mali, lavora la ricotta.

Da Agricoltura Nuova tutti sono non solo ammessi, ma aiutati e sostenuti nel processo di inclusione. “Crediamo che tutti abbiano diritto alla dignità, animali compresi,” mi spiega ancora Davide. Su una quarantina di ragazzi e ragazzi che attualmente lavorano qui, dodici sono rifugiati politici, migranti economici o persone con disabilità. Il 30%. Ognuno ovviamente viene regolarizzato e stipendiato e ad alcuni è anche fornito un alloggio. Vi sembra scontato? Non lo è nella realtà paludosa di un sistema che, da Nord a Sud, è pieno di false cooperative e di sfruttamento nei campi. Basta cercare su Google “cooperativa sfruttamento” per farne uscire decine di pagine, tra cui una petizione ufficiale.

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“Una volta il Partito Comunista ci finanziava apertamente e direttamente. Oggi siamo staccati dalle logiche dei partiti, e dei loro finanziamenti”

“Molti dei ragazzi si portano dietro storie allucinanti,” mi racconta Davide mentre passeggiamo tra le oche che tentano di beccarci le gambe. “Dabbo, che fa il formaggio con me, è scappato dal Mali dopo aver rischiato perché non voleva sposarsi a 17 anni. Ha fatto un anno in Libia, poi è sbarcato a Lampedusa ed è risalito fino a Roma. Oppure Mamadou, operaio al maneggio, dove si fa Ippoterapia. Ha partecipato a una manifestazione antigovernativa in Guinea Equatoriale, l’hanno incarcerato e poi è riuscito a scappare. Questo per dire che quando questi ragazzi arrivano non hanno un cazzo, nemmeno la dignità. Fargli avere un documento e uno stipendio per noi significa riconoscergli un’identità.”

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Thambiaiyah Jayapalan Jayadipan invece, a dispetto del nome, è di Spinaceto. E fa la birra.

Il lavoro e i suoi orari e la manualità sono un’ottima terapia anche per chi ha disabilità e problemi di salute mentale: “Ludwig è arrivato qui traumatizzato dall’Est Europa per gli abusi subiti in orfanotrofio. Quasi non parlava, oggi parla anche troppo,” ride Davide. “Queste sono le soddisfazioni maggiori.” D’altronde il lavoro come fattore inclusivo per persone con disabilità è provato da numerosi studi e dimostrato in diverse realtà italiane.

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In uno spazio di 320 ettari (se non sapete quanti sono è parecchio grande) si coltivano frutta e verdura, tutto in biologico. Si allevano pecore, mucche, maiali. Si fa apicoltura. Ci sono un caseificio, un birrificio, un maneggio, un forno con mulino, filari di luppolo (molto difficili da trovare in Italia perché pianta abbastanza infestante), un laboratorio di tessitura, un ristorante pizzeria e, ovviamente, un negozietto dove comprare al dettaglio.

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Qualche vitellino, che ci sta sempre bene.

La cosa interessante è che, avendo a disposizione praticamente tutto, riescono allo stesso tempo a diversificare la produzione e a fare quasi zero scarti. Di fatto è un’azienda a ciclo chiuso dove lo scarto va a finire in pasto ai maiali o ci si fa il compost. “Una volta il Partito Comunista ci finanziava apertamente e direttamente. Oggi siamo staccati dalle logiche dei partiti, e dei loro finanziamenti” mi dice Davide Pastorelli. “Dagli anni 2000 abbiamo dato lo spazio a Roma Natura, l’ente regionale che si occupa di gestire le aree naturali da cui lo riaffioriamo. Questo perché la riserva è un bene pubblico, da condividere. E restituirla al Comune era la cosa più sociale da fare.”

Ma come sopravvive una cooperativa praticamente autogestita? Come si alimenta? Oltre a quello che si diceva sull’economia circolare e che incide non poco nel risparmio, ci sono dei bandi regionali per i finanziamenti e le agevolazioni, ma in massima parte quello che fa guadagnare è la vendita diretta - a un certo tipo di Grande Distribuzione, che sposa filosofie vicine a quelle dei produttori, e ai mercati rionali della città.

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Roma cooperativa agricoltura nuova.JPG

La prossima volta che vi capita, passate da lì. Prendete un po’ d’aria fresca, un pecorino sardo, magari sbirciate nei vari caseggiati che ospitano le produzioni e fatevi due chiacchiere con le persone che lavorano.

Attenti solo alle oche. Beccano forte.

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