sindrome da post-COVID-19
Foto di Yaroslav Olieinikov via Alamy Stock Photo.
Salute

Ho vent'anni e il 'COVID lungo' mi sta devastando

Si ha la sindrome da post-COVID-19 quando la condizione persiste per mesi dopo il contagio, con perdita di gusto e olfatto o danni al sistema nervoso.
Răzvan Filip
Bucharest, RO
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT

Come potrà dirvi chiunque l’abbia avuto, il cosiddetto “Long COVID” (o “COVID lungo”) può essere persino peggio delle prime fasi dell’infezione.

Tendenzialmente si parla di “sindrome da post-COVID-19” o “sequela post-acuta di infezione da Sars-Cov-2”—come l’ha chiamata l’immunologo Anthony Fauci—in caso persista per più di tre mesi dopo il contagio iniziale. I suoi sintomi variano dalla perdita del gusto e dell’olfatto a danni al sistema nervoso o agli organi interni. Tutti questi possono persino comparire nelle persone che hanno sofferto una forma lieve del virus.

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Bogdan Mincu, un pneumologo di Cluj-Napoca in Romania, ha detto di aver incontrato decine di casi di “long COVID” nell’ultimo anno, e ha notato che i pazienti più giovani faticano a fare i conti con questi problemi di salute: “I giovani, in linea di massima, non sono abituati a restare con sintomi dopo una malattia in forma moderata.”

Abbiamo parlato con alcuni giovani romeni per capire come il COVID lungo ha influito sulle loro vite.

“Ho 30 anni e non mi sono mai sentito così male in vita mia”

Quando Robert ha preso il COVID a gennaio del 2020, i primi ad andarsene sono stati il gusto e l’olfatto. Poi è arrivato il vomito, ogni mattina per nove giorni, i dolori muscolari e la febbre. Nei momenti peggiori, Robert usciva dal letto solo per andare in bagno, e aveva bisogno di aiuto per riuscirci.

In aggiunta a tutto questo, un’insonnia estrema: Robert riusciva a dormire al massimo tre ore a notte. Un test negativo aveva poi confermato che il virus aveva lasciato il suo corpo, ma l’insonnia era rimasta. Ha provato a prendere pillole di melatonina, ma non sono servite a niente. Nemmeno l’olfatto e il gusto sono tornati.

Mincu sostiene che l’insonnia post COVID potrebbe indicare un disturbo post traumatico da stress, identificato sia nei sopravvissuti al COVID che nel personale medico durante questa pandemia.

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“Prima di ammalarmi non credevo davvero nel virus,” ammette Robert. “Non ho sempre seguito le regole e qualche volta ho indossato la mascherina solo sul mento, perché non conoscevo nessuno che si fosse preso il virus. Ho 30 anni e non mi sono mai sentito così male in vita mia.”

“La mia mente ne è rimasta condizionata per un mese e mezzo”

Due settimane dopo essersi ripresa dal COVID nel 2020, Alexandra, 26 anni, si è ritrovata con un mal di testa cronico e debilitante. Per lei è diventato difficile fare qualsiasi cosa, figurarsi lavorare. I mal di testa sono continuati per circa un mese e tornano ancora oggi, ogni volta che non riesce a dormire abbastanza.

“Sono giovane, per cui sono rimasta scioccata dal sentirmi così male. Non avevo mai avuto emicranie, prima. In più, ero sempre stanchissima. Anche le vertigini e la spossatezza sono rimasti per circa un mese. Diventa difficile capire cosa li sta causando, dopo un po’. È ‘COVID lungo’, è una forma di esaurimento?” chiede.

Col tempo, è diventato sempre più difficile per Alexandra spiegare al suo capo perché non è tornata al massimo delle sue capacità. I suoi colleghi evitavano l’argomento e lei non sapeva come spiegare di non sentirsi meglio.

“Era difficile riuscire a concentrarmi. Le mie mansioni mi sembravano impossibili, benché in realtà fossero decisamente facili, compiti di routine,” dice. “Dopo essermi ripresa, sono tornata a occuparmene in dieci minuti. Ma la mia mente ne è rimasta condizionata per un mese e mezzo.”

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Alla fine, Alexandra si è sottoposta ad alcuni esami per capire se aveva o meno subito danni neurologici. Le scansioni cerebrali non hanno mostrato niente, e lo stesso si può dire per gli esami del sangue e le TAC ai polmoni. Gli specialisti hanno concluso che aveva semplicemente bisogno di riposarsi il più possibile. Così ha fatto, e ora si sente decisamente meglio.

“Non sono riuscito a dormire per giorni”

Dragos, 32 anni, è stato un caso debole o moderato e non ha avuto bisogno di andare in ospedale. Durante il periodo d’infezione, è persino riuscito a prendersi cura della sua ragazza, che aveva anche lei contratto il virus. Tutto sembrava essere sotto controllo, fino a quando la coppia non è uscita dalla quarantena e si è sottoposta ad analisi del sangue. Dragos ha così scoperto di avere gravi problemi al fegato, con valori raddoppiati rispetto alla media, nonostante non fumi, beva raramente e non abbia un quadro clinico con precedenti patologie. La sua ragazza, d’altra parte, non ha problemi, nonostante il suo sia stato un caso di COVID più acuto.

Dragos è tornato al lavoro. Ma ha cominciato a sentirsi sempre più stanco, soprattutto dopo pranzo Ha fatto altri esami al fegato, con risultati persino peggiori: i suoi valori erano tre volte più alti rispetto alla norma. Preoccupato, ha prenotato una scansione a raggi X, ultrasuoni e visite con uno specialista, che gli ha diagnosticato un’epatite cronica. Ha poi cominciato a soffrire di dolori al fegato così violenti da impedirgli di dormire, tanto da costringerlo ad assentarsi nuovamente dal lavoro per malattia.

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Tutto questo è accaduto nonostante il virus avesse già lasciato il suo corpo. Il suo dottore sostiene che queste ripercussioni negative possano essere messe in relazione a diverse cose, compreso l’antibiotico assunto durante l’infezione da COVID. L’Azithromicina viene usata per trattare le infezioni toraciche o nasali, ma la sua efficacia riguardo il trattamento del COVID è stata messa in discussione da alcuni studi recenti. Il dottore suggerisce che il suo problema potrebbe anche essere messo in relazione a un’altra infezione, non ancora identificata, nel suo corpo, oppure che potrebbe essere un effetto collaterale del COVID, benché ancora da confermare.

Il dottor Mincu sostiene che i danni epatici dovuti al COVID—e in effetti vale per tutti i danni esibiti da qualsiasi altro organo rispetto ai polmoni—siano difficili da spiegare: “Non è per niente comune, è un fenomeno al quale non siamo abituati. Probabilmente, la somiglianza maggiore è quella con i sopravvissuti all’Ebola.”

“Mi sento come se fossi invecchiata di vent’anni”

Andreea, 41 anni, ha combattuto contro il COVID due volte. La prima è stata a marzo del 2020, quando ha avuto soprattutto sintomi respiratori e gastrointestinali. Due mesi più tardi, i suoi capelli hanno cominciato a cadere a manciate. A novembre, ha preso il virus per la seconda volta. Durante le prime due settimane dopo la guarigione, si è sentita molto bene.

“Pulivo la casa, mi prendevo cura dei miei due bambini anche loro ammalati, passavo l’aspirapolvere, cucinavo,” dice. Per questo Andreea è rimasta sorpresa dallo scoprire, il quindicesimo giorno, di aver contratto la vitiligine, una condizione che colpisce i pigmenti della pelle, e la tiroidite autoimmune, altresì nota come la malattia di Hashimoto. “Sono andata da un neurologo in un ospedale a Bucarest e lo specialista mi ha detto che molti pazienti hanno questi sintomi, e che ero fortunata, perché non ero arrivata da lui in carrozzella, come è capitato ad altri.”

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Le patologie di Andreea sono in entrambi i casi neuropatie—malattie dei nervi periferici che causano diversi sintomi, dalla caduta dei capelli alla perdita di memoria e sensazioni di bruciore. Ci sono già diversi studi che stanno indagando la correlazione tra il COVID-19 e le malattie legate al sistema nervoso, ma per ora non è chiaro se siano una conseguenza diretta del virus o se siano collegate ad altre patologie croniche o autoimmuni nei pazienti.

I capelli di Andreea hanno smesso di cadere a gennaio del 2021, dopo essersi sottoposta a un trattamento raccomandato dal neurologo, ma altri sintomi sono rimasti. La perdita della memoria, i mal di testa e i problemi alla vista hanno complicato la vita quotidiana. “Nascondo spesso i cellulari dei miei figli perché ci passano sopra troppo tempo,” dice. “Ma poi mi dimentico dove li ho messi. Mi sembra di essere invecchiata di vent’anni.”

Quanto dura il “long COVID”?

Secondo Mincu, nell’ultimo anno circa il 30 percento dei pazienti ha sofferto di problemi continui dopo essersi ristabilito dal COVID. Il dottore dice che è poco realistico credere di poter sbarazzarsi dei sintomi immediatamente.

Ha citato la NICE guide britannica come il manuale “più completo” per la gestione degli effetti collaterali a lungo termine. La guida raccomanda di aspettare quattro settimane dalla data dell’infezione prima di consultare un dottore per parlare di sintomi che continuano nel tempo.

Mincu ha citato anche i dati raccolti dal NHS, che mostrano che il 50 percento delle persone mostra ancora diversi sintomi 14 giorni dopo l’insorgenza della malattia. Quella percentuale cala al 4 percento dopo tre mesi. “Ho avuto un solo paziente con sintomi persistenti dopo più di sei mesi, e anche in quel caso sono scomparsi arrivati a sette o otto mesi,” ha confermato.

In un mondo ideale, Mincu sostiene che dottori specializzati in diversi campi starebbero già collaborando per stilare una guida ufficiale al COVID lungo. Il problema è che molti sono ancora piuttosto impegnati a gestire i casi di COVID più urgenti. Nel frattempo, il governo britannico ha annunciato che investirà più di 20 milioni di euro nella ricerca sul long COVID.

“Passeranno ancora un po’ di anni, probabilmente, prima di capire davvero la malattia e le sue conseguenze,” avvisa Mincu.