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2014: fuga dall'Euro

Mancano poco meno di due mesi alle elezioni europee, e a dodici anni dall’adozione della moneta unica e a sei dall’inizio della crisi, il sentimento antieuropeista in Italia sembra davvero sul punto di dilagare. Ma cosa succederebbe veramente se l...
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Roma, manifestazione del comitato 9 dicembre. Foto di Federico Tribbioli.

Mancano poco meno di due mesi alle elezioni europee, e a dodici anni dall’adozione della moneta unica e a sei dall’inizio della crisi, il sentimento antieuropeista in Italia sembra davvero sul punto di dilagare, con una parte sempre più numerosa del paese che individua nell’Euro la Causa Di Tutti I Mali. Pochi giorni fa è uscito un sondaggio di Datamedia secondo il quale il 58,1 percento degli italiani è favorevole all’uscita dall’Euro. Il dato è in aumento rispetto a un altro sondaggio di Demopolis, che all’inizio di marzo aveva rilevato come il 33 percento dei nostri concittadini non vedesse l’ora di tornare alla Lira.

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La svolta No Euro di Vittorio Sgarbi: “L’euro l’hanno voluto Ciampi e Prodi, vaffanculo! Io voglio la lira, sono per la lira!”

Nel corso degli ultimi anni il fronte No Euro si è considerevolmente allargato. La pattuglia più nutrita è rappresentata da Beppe Grillo e il suo Movimento 5 Stelle, che da diverso tempo propongono un “referendum sull’Euro” o quantomeno un euro-bis per i paesi del Sud Europa, inneggiano alla sovranità monetaria e si scagliano contro i vari complotti orditi da Bilderberg e dai finanzieri assetati di Sangue Del Popolo.

La Lega Nord, dopo la nomina a segretario di Matteo Salvini, ha posto in cima all’agenda di queste europee proprio l’uscita dall’euro, considerato uno “strumento criminale messo in mano ai banchieri.” Da poco, inoltre, il neo-segretario è impegnato nel “Basta Euro Tour” insieme all’economista Claudio Borghi, che oltre a essere professore presso la Cattolica di Milano è uno dei più agguerriti combattenti anti-euro.

Gli strali contro la moneta unica vanno per la maggior anche nell’area di Forza Italia, dove le posizioni sono leggermente meno radicali della Lega Nord. Tanto per fare un esempio, Silvio Berlusconi ha dichiarato che “uscire dall’euro non è una bestemmia.” Recentemente il giornalista Mario Giordano ha pubblicato un libro (Non vale una lira. Euro, sprechi, follie: così l’Europa ci affama) in cui la tesi di fondo è piuttosto chiara: “Bisogna uscire dall’euro. Subito. Da quando è entrata in vigore, la moneta unica non ha fatto che disastri.”

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Per restare a destra, anche Fratelli d’Italia ha deciso di buttarsi anima e corpo nella distruzione dell’Euro. Per Giorgia Meloni la priorità è uscire al più presto dall’Euro, “a meno che Angela Merkel non ci preghi in ginocchio di restare.” Anche Fabrizio Bracconeri (che pare pronto a buttarsi in politica proprio con FdI) ha mostrato di avere le idee piuttosto chiare in merito.

Ci hanno fatto credere ch € ci avrebbe fatti ricchi!ora ci vogliono far credere che uscirne sarebbe sbaglia !la realtà e che siamo disperati

— Fabrizio Bracconeri (@FabriBracco64) March 26, 2014

Fuori dall’ambito strettamente politico, che include anche l’estremismo sia di destra che di sinistra, alcuni economisti anti-euro sono riusciti a imporsi all’attenzione dell’opinione pubblica a forza di libri, post e ospitate televisive (quasi sempre a La Gabbia di Gianluigi Paragone). I più conosciuti sono sicuramente il già citato Borghi, Alberto Bagnai (professore di politica economica all’università “Gabriele d’Annunzio” di Pescara) e Antonio Maria Rinaldi (anche lui professore alla “Gabriele d’Annunzio”). Le loro teorie, oltre a rifornire di cartucce accademiche i caricatori dei vari populisti, girano alla follia su Internet e social network.

E probabilmente è proprio Internet il punto d’osservazione migliore per capire l’estensione del risentimento anti-euro e la sua terrificante saldatura con complottismo, fobia teutonica, sciovinismo e suggestioni militaresche—come riassume alla perfezione questa immagine presa da Facebook.(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = "//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1"; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs); }(document, 'script', 'facebook-jssdk'));

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Pubblicazione di Piovegovernoladro.

Se da un lato questo sentimento anti-euro è comprensibile (è innegabile che qualcosa sia andato terribilmente storto nell’architettura dell’Eurozona), dall’altro le questioni centrali rimango avvolte nella nebbia: si può veramente uscire dall’Euro? È una soluzione auspicabile? Cosa comporta in concreto? Un ritorno alla lira coinciderebbe con il ritorno alla prosperità economica? Oppure ci farebbe sprofondare ancora di più nel baratro?

È opportuno partire da un semplice dato di fatto: entrare nell’Euro è un processo piuttosto semplice e gestibile; il percorso inverso, invece, è un inferno lastricato di caos e incertezze, contrariamente a quanto dicono i No Euro nostrani.

Proviamo comunque a immaginare uno scenario in cui s’insedi un Governissimo No Euro (GNE) alla guida del nostro paese. Il GNE si troverebbe subito di fronte a un semplice, insormontabile ostacolo. Ovvero:

NON ESISTE ALCUN MECCANISMO LEGALE PER USCIRE DALL’EURO.

Già, nei trattati europei non si parla da nessuna parte della possibilità di uscire dall’euro. Il Trattato di Lisbona, all’articolo 50, contempla solo la “secessione” (chiamata “clausola di recesso”) dall’Unione Europea, ma non dall’Unione Monetaria—e i pareri degli esperti divergono sul fatto che l’abbandono dell’UE includa anche quello dall’Eurozona.

A questo punto, l’unica via legale sarebbe quella di ricorrere a una “procedura di revisione semplificata” dei trattati, una via decisamente lunga e impervia che richiede un’impossibile unanimità dei paesi europei, terrorizzati dagli effetti a catena dell’uscita di un paese come l’Italia.

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A quel punto il GNE potrebbe però dire:

D’ACCORDO, ALLORA PROVO A FARE UN BEL REFERENDUM; DOPOTUTTO, ME LO CHIEDE LA GENTE.

Purtroppo, anche il fantomatico “referendum sull’euro”, oltre che essere illegittimo poiché riguarda trattati internazionali, è assolutamente impraticabile. Secondo il blogger economico Andrea Boda, autore di Pianoinclinato, “nel momento in cui comunichi la concreta volontà di uscire dall’euro, la comunità internazionale e i mercati finanziari si attivano di conseguenza e agiscono mettendoti in difficolta come se tu fossi già uscito dall’euro. Nel dubbio, piuttosto che comprare un Btp col rischio che venga denominato in una valuta debole, gli investitori sceglierebbero ad esempio i bonos spagnoli. A quel punto vedremmo salire gli spread.”

Roma, manifestazione del comitato 9 dicembre. Foto di Federico Tribbioli.

Il Governissimo, che vuole a tutti i costi riconquistare all’agognata sovranità economica, decide comunque di ignorare questi trascurabili problemi e di adottare la Nuova Lira. Come fare?

SEMPLICE: CAMBIO TUTTO DALLA SERA ALLA MATTINA, SENZA DIRE NIENTE A NESSUNO.

Stando al paper vincitore di un contest organizzato nel 2012 (il Wolfson Prize, una specie di gara per la migliore fuoriuscita “ordinata” dall’Euro), l’abbandono dalla moneta unica dovrebbe essere decisa in un incontro segreto tra alti funzionari del paese e comunicata pochissimi giorni prima dell’Evento ai partner dell’Eurozona.

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La procedura di changeover, cioè di conversione da una valuta a un'altra, l’ha spiegata in maniera molto lineare Bruno Maria Parigi, docente di economia politica all’Università di Padova: “Un venerdì sera, a mercati chiusi, sarebbero bloccati tutti i sistemi di pagamento, a parte i contanti: conti correnti, anche online, bancomat e carte di credito. Tutti i conti bloccati sarebbero poi ridenominati nella nuova moneta: nel weekend lo stato sostituirebbe le banconote, oppure apporrebbe un timbro indelebile che sancirebbe il passaggio alla nuova moneta.” La nuova valuta, secondo gli analisti, sarebbe svalutata dal 30 percento al 50 percento rispetto all’euro.

Pubblicazione di Piovegovernoladro.

Tutto pulito e ordinato, no? Non proprio. Qualche serpe in seno al GNE, oppure qualche ministro o parlamentare particolarmente sbadato, potrebbe lasciarsi sfuggire qualche parolina di troppo prima del changeover. La domanda, quindi, è:

COSA SUCCEDE SE TRAPELA LA NOTIZIA DELL’USCITA DALL’EURO DELL’ITALIA?

Be’, sono cazzi amari. Seguendo la simulazione fatta dall’economista Barry Eichengreen (nel lontano 2007) proprio sulla fuoriuscita dell’Italia dall’Euro, a quel punto si scatenerebbe il panico: “famiglie e imprese sposterebbero i propri depositi in altre banche dell’Eurozona, scatenando una corsa agli sportelli del sistema bancario nazionale, che finirebbe rapidamente in dissesto.”

Lo stesso farebbero gli investitori, che “si sposterebbero verso crediti di altri governi della zona, portando a una crisi del mercato obbligazionario.” La circostanza che il fattore scatenante sia l’abbandono della moneta unica, continua l’economista, renderebbe “improbabile ottenere il soccorso della Banca Centrale Europea come prestatore di ultima istanza. E un governo che si trovasse già in una posizione fiscale debole non sarebbe in grado di indebitarsi per salvare le banche e riacquistare il proprio debito.” La conclusione di Eichengreen è abbastanza netta: “Questa sarebbe la madre di tutte le crisi finanziarie.”

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Pubblicazione di Catena Umana Attorno Al Parlamento Italiano.

Ma poniamo il caso che il GNE, adottando ferocissimi controlli sui movimenti di capitale e impedendo che gli spalloni arrivino in Germania con i sacchi pieni di euro, riesca ad evitare la catastrofe e a dotarsi della Nuova Lira in poco meno di una settimana. A questo punto il Governissimo potrebbe annunciare trionfalmente che:

FINALMENTE LO STATO, LE FAMIGLIE E LE AZIENDE ITALIANE SONO LIBERE DAL GIOGO DELL’EURO.

Sì, ma a quali costi? Per Claudio Borghi, le uniche controindicazioni all’uscita dall’euro sarebbero queste: “a qualche italiano costerà di più fare le vacanze all’estero o comprare prodotti stranieri.”

Altri, invece, tratteggiano uno scenario nettamente più cupo. Per quando riguarda le famiglie, uno studio del 2011 della banca d’investimento UBS ha stimato che, nel corso del primo anno della nuova moneta, il reddito di ogni cittadino di uno Stato secessionista “debole” (come sarebbe l’Italia) potrebbe crollare di 9.500-11.500 euro.

Il Sole 24 Ore ha compilato un elenco sulle altre conseguenze a breve termine del break-up: “il default almeno parziale del nostro debito pubblico […], il congelamento dei crediti alle aziende più indebitate e internazionalizzate, l'esplosione dei costi energetici e, infine, il ritorno di un'inflazione a doppia cifra.”

Di fronte a un contesto del genere, dunque, a ben poco servirebbe quella che negli ambienti anti-euro è considerata, insieme alla stampante magica della moneta, la panacea di tutti i mali:

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CON IL RITORNO ALLA LIRA POSSIAMO RILANCIARE L’EXPORT, TORNARE A CRESCERE ED EVITARE QUALSIASI SCENARIO DA INCUBO

Ora, nessuno mette in dubbio che con la possibilità di svalutare la propria moneta possa esserci un beneficio per le esportazioni. Il punto, però, è un altro: a quanto può ammontare questo beneficio?

L’Italia, insieme al resto del mondo, è profondamente cambiata rispetto all’epoca delle svalutazioni della Prima Repubblica. Come mi spiega Andrea Boda, “oggi siamo un paese fortemente deindustrializzato e orientato ai servizi. Inoltre molte imprese, quelle fortemente interessate ai mercati esteri, sono di una dimensione tale per cui spesso hanno anche la produzione all’estero. Neutralizzano la questione della svalutazione andando anche a produrre dove vendono.”

Inoltre, svalutare per competere non è affatto una via priva di costi: “Diversi Paesi stanno combattendo contro la svalutazione delle loro monete nazionali, che provoca inflazione importata e pressioni sui redditi. Lo fanno alzando i tassi, a danno delle condizioni di credito e della competitività economica. Tra questi anche il Brasile, che ha un PIL nominale ormai del 10 percento superiore a quello dell'Italia: non sono problemi da Repubbliche Centroafricane o da dittature mediorientali, insomma.”

Via.

Tornare a un modello di trent’anni fa, dunque, potrebbe non essere l’idea migliore in un quadro globale completamente mutato. Ed infatti, sempre secondo Boda, l’ondata No Euro esplosa negli ultimi tempi ha una “spinta estremamente conservatrice” e “un forte sottofondo di nazionalismo che finirebbe per spingerci verso un atteggiamento di autarchia..”

Purtroppo, le teorie dei vari alfieri anti-euro “fanno molta presa” sull’opinione pubblica, poiché sono praticamente prive di controindicazioni e “presentano una soluzione facile, tangibile, immediata e anche un po’ nostalgica a problemi di difficile comprensione che sono quelli che viviamo oggi.” Del resto è molto più facile rifugiarsi nella retorica della Gloria Perduta e dei Bei Tempi Andati, piuttosto che fare i conti con la realtà.

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