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Il PD ha perso le primarie del PD

Renzi ha vinto le primarie, su twitter tutti celebrano la grande festa della democrazia e l’atmosfera generale dei circoli è quella di una terapia collettiva decennale conclusasi con il suicidio dello psichiatra.

Foto di Federico Tribbioli.

È passata circa mezz'ora dalla chiusura dei seggi per l'elezione del nuovo segretario del PD, Mentana si sta fissando nello specchio del suo camerino, Salvini sta scandendo il suo nome a uno stagista di qualche ufficio stampa dell’entroterra lombardo e tutti stanno ancora scrivendo su twitter che è stata una grande festa della democrazia. Renzi ha già vinto. L’affluenza alle urne è stata calcolata intorno ai tre milioni di votanti, una cifra notevole, considerato il fatto che tutti sapevano che partecipando avrebbero dato un dispiacere a D’Alema e hanno comunque deciso di farlo.

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Non si tratta neanche di una di quelle “vittorie” del PD, Renzi ha preso più di un milione di preferenze, più del 70 percento fra i non iscritti al partito.

Un golpe armato di frigoriferi Smeg e ritornelli di Jovanotti.

Fra gli iscritti al partito la maggioranza è meno intimidatoria, ma comunque definitiva. La vittoria è così chiara che Epifani proclama il nuovo segretario prima delle nove. Con l’incontenibile entusiasmo di una suora tisica annuncia che “il risultato che si sta profilando è di una vittoria molto forte” e riesce anche a trattenere la bestemmia alla fine della frase.

Questa è una costante dell’intera serata: nei vari collegamenti televisivi dai circoli è una processione di volti scavati, occhi gonfi e mascelle contratte che si dicono felicissime per una vittoria che dimostra la grande vitalità del partito. La Berlinguer in un picco di delirio passivo aggressivo decide di invitare Veltroni nel suo segmento di approfondimento.

L’atmosfera generale è quella di una terapia collettiva decennale conclusasi con il suicidio dello psichiatra. Fassina si aggira per la stanza con la barba lunga e l’occhio vitreo, Orfini reagisce a malapena agli stimoli.

Dal confronto su SKY.

Il discorso di Cuperlo è un lungo inno alla sospensione dell’incredulità, pieno di verbi coniugati al futuro e metafore sul tema di lunghe strade ancora da percorrere, ma tutti riescono a sentire distintamente il fantasma del pianto di Occhetto che riecheggia fra le colonne della sala e questo rende il tutto vagamente imbarazzante e doloroso da guardare. Strano a dirsi, nessuno ha deciso di proiettare alle spalle di Cuperlo il video della statua di Lenin che viene abbattuta a Kiev.

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Il senso da ultimo atto non è artificioso. Il dato più pesante non è neanche quello degli iscritti, ma quello di tutti gli altri. Il fallimento dell’approccio programmatico e ideologico del partito è da oggi comodamente consultabile da casa, sotto forma di una panoramica precisa e numerata di quanti voti siano stati persi negli anni per fedeltà a un sistema valoriale che—sorpresa!—la maggior parte dei propri potenziali elettori detesta. Il dato non è neanche bilanciato da una coesione interna al partito: Civati e Renzi, insieme, hanno ottenuto l’82 percento delle preferenze totali. Un’ecatombe.

Da Renzi a Firenze intanto, i dj spingono le Icone Pop e i membri della dirigenza PD non eccessivamente compromessi nei suoi confronti cercano le telecamere con occhi spiritati e cancellano il numero della Camusso dalla rubrica. La folla in delirio sventola bandiere dell’Italia e brucia effigi dalemiane, mentre attende che il prescelto si mostri. L’aria è sospettosamente fresca e festosa, per una stanza che contiene così tanti tesserati del PD, e tutto sembra essere progettato perché i giornalisti possano scrivere che sembra una convention americana, con i palloncini, la scenografia semovente, la felicità e il candidato con ancora i capelli.

Lui stesso appena prende la parola dice “non vorrei fare un’americanata” e fedele al proposito appena espresso ringrazia i suoi figli e sua moglie, riservandosi di menzionare Dio, suppongo, per il discorso d’accettazione della carica di premier.

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L’intervento è articolato e ambizioso. Si concede addirittura i riferimenti alla politica internazionale e all’Onu, che integrano l’idea della sua alterità rispetto al panorama politico casalingo e provinciale, e fa anche un altro passaggio importante, parlando del Movimento 5 Stelle. Paragona il V Day organizzato recentemente dal M5S alla giornata delle primarie, anzi paragona i concetti che ne sono alla base: il rifiuto demagogico del Movimento 5 Stelle e la forza propositiva che sembra invece essere accessibile ad un partito sano.

Naturalmente non manca lo spazio per la narrativa sentimentale che è il suo core business: il cuore, le lacrime, il sole che splende sull’Italia, l’ottimismo, i bambini nelle scuole, non si fa mancare nulla. Fortunatamente per lui in quegli stessi momenti le reazioni alle primarie del Movimento 5 Stelle cominciano ad affiorare sull’internet, fornendo un termine di paragone così desolante da asciugare istantaneamente qualsiasi dubbio ci si fosse sentiti colare nel cervelletto ascoltando le metafore calcistiche del nuovo segretario.

Due dei miei preferiti sono Nicola Virzì—o Nik il Nero videomaker del Movimento—e Donatella Agostinelli—onorevole capolista nelle Marche—, che riescono entrambi ad autoconvincersi, con notevole disprezzo di ogni cautela suggerita dalla logica, che l’elevata partecipazione alla tornata elettorale interna al PD non possa che significare che il partito è visibilmente in punto di morte.

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Questi appunti vengono da un movimento che ha totalizzato, fra quirinarie e parlamentarie, 68.544 voti espressi dai suoi aderenti. Nella giornata di oggi, la partecipazione si stima intorno ai tre milioni di votanti.

Il discorso di Renzi esprime una visione, condivisibile o meno, e questa è una novità assoluta, che basta da sola a polverizzare i vaffanculo grillini e la “lega da guerriglia” di Salvini. Chiaramente non per questo Renzi rinuncia ad aprire ogni frase con un “pensiamo all’Italia prima.” D’Alema, dopo essersi vantato per anni di non aver mai perso un congresso neanche quando stava al PCI, chiude ermeticamente una grossa valigia, infila il trench e preparara il rilascio di gas nervino nel comitato elettorale di Cuperlo.

Insomma l’investitura popolare è plenaria, l’apparato dirigente del PD ha perso le primarie del PD e un mondo nuovo di cuccioli e arcobaleni si profila all’orizzonte. Naturalmente non ho seguito l’intero discorso dell’insediamento perché, come tutti sanno, è statisticamente impossibile ascoltare un intero ragionamento di Renzi sull’essenza della Sinistra senza riportare gravi danni, quindi me ne guardo bene.

Tuttavia bisogna riconoscere che ha de facto introdotto un cambiamento sostanziale, ontologico, nel partito e che questo cambiamento era discretamente ineluttabile nonostante fosse ostacolato dall’interno con lo stesso autismo ossessivo con cui io mi rifiuto di pronunciare correttamente la parola “essay” .

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L’unica cosa che desta preoccupazione è la possibilità di Renzi di muoversi con efficacia in un partito che si è piegato, ma chiaramente non ha ancora mollato. La consapevolezza che non basterà la legittima elezione a garantirgli libertà di movimento è inquietante, ma certa. Il fatto è che quando si parla di partito democratico non ci si deve mai lasciar sfuggire il punto di vista fondamentale, la stele di Rosetta della strategia politica di partito: chiedere al PD di accettare e incoraggiare un nuovo schema di pensiero avulso dalle meccaniche ex PCI, come sta per fare Renzi, è più o meno come chiedere a un tossico se per favore può tenerti da parte per un paio d’ore una busta piena di contanti.

La risposta è no.

Segui Laura su Twitter: @Lautonini

Intanto altrove:

Il V-Day non è più quello di una volta