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Un anno dopo l'annunciata chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari non è cambiato quasi nulla

A un anno dalla legge che stabiliva loro chiusura, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) sono sopravvissuti alla legge Basaglia e continuano a essere fin troppo simili ai vecchi manicomi.
Ex manicomio G. Antonini di Mombello (Limbiate) - Foto di Matteo Paciotti/Flickr

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Il 31 marzo del 2015 è un giorno simbolicamente importante: quello che avrebbe dovuto sancire la chiusura definitiva – dopo diversi rinvii – degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), sopravvissuti alla legge Basaglia e fin troppo simili ai vecchi manicomi.

Con la chiusura degli OPG, l'Italia si trovava a completare il percorso cominciato nel 1978 con la legge Basaglia, che vedeva il nostro paese compiere una rivoluzione civile all'avanguardia nel mondo sul tema, e che cambiava per sempre il nostro approccio alla salute mentale.

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Ma al di là di ciò che era stato stabilito dalla legge, in Italia gli OPG - a un anno dalla loro chiusura - rimangono ancora una realtà.

Un anno fa

Gli OPG sono strutture detentive e riabilitative, che a metà degli anni Settanta hanno sostituito le strutture manicomiali criminali: in realtà, tuttavia, si trattava di veri e propri manicomi, immuni alla legge Basaglia e alle nozioni moderne della psichiatria — come dimostra il fatto che ancora vi venga praticata la contenzione meccanica.

In queste - situate a Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Reggio Emilia, Barcellona Pozzo di Gotto e Castiglione di Stiviere - venivano internate tutte quelle persone che commettevano un reato e che venivano dichiarate parzialmente o totalmente incapaci di intendere e di volere.

Il 31 marzo 2015 gli internati negli OPG - secondo quanto emerge dalla relazione al Parlamento dello scorso febbraio - erano 689, un dato ancora alto ma significativamente inferiore alle circa mille persone registrate negli anni precedenti.

"Con la legge 180 veniva definita la chiusura dei manicomi, ma continuavano a esistere, con tutti gli aspetti di quei luoghi e con dei meccanismi per cui non c'era neanche la certezza della fine della pena," spiega a VICE News Denise Amerini, portavoce dell'associazione Stopopg.

"In assenza di strutture pubbliche di salute mentale in grado - o con la volontà - di accogliere queste persone, una volta superato il massimo della pena per il reato commesso, queste persone - di proroga in proroga - restavano lì, fino a diventare dei veri ergastoli bianchi."

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Quello dell'ergastolo bianco, per cui a una data di entrata nella struttura detentiva non necessariamente corrispondeva una data di rilascio, non era l'unico né il più assurdo problema degli OPG. A questo, infatti, bisogna aggiungere le condizioni disumane in cui gli internat erano costretti a vivere.

Le ha messe nero su bianco, nel 2011, una commissione d'inchiesta parlamentare presieduta da Ignazio Marino: dopo aver visitato sei strutture, la commissione ha denunciato le "condizioni disumane" degli internati, e dall'indagine ha tratto un documentario in cui viene mostrato - tra urina, fili elettrici scoperti e letti metallici arrugginiti - l'inferno degli OPG.

A dar maggior risonanza politica alla questione, ha poi contribuito l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che lo stesso anno ha definito gli OPG un "estremo orrore," inconcepibile "in qualsiasi paese appena civile."

È in questo contesto che si è arrivati, nel 2013, alla legge che sanciva la chiusura delle strutture. Le due proroghe, che l'hanno fatta slittare di due anni, non sono state sufficienti ad assicurare che le regioni si preparassero a svolgere il passaggio dagli OPG alle REMS —o Residenze per l'Esecuzione delle Misure di Sicurezza, le nuove strutture che avrebbero dovuto sostituirle.

Il mancato adempimento ha portato a fine febbraio alla nomina di Franco Corleone come Commissario Speciale per il superamento degli OPG e il completamento delle strutture alternative.

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Oggi

"A un anno alla data prevista per la chiusura degli OPG, purtroppo ne è stato chiuso solo uno — quello di Secondigliano. Gli altri sono ancora aperti," spiega a VICE News lo stesso Corleone.

"La mia previsione è che a breve possa essere chiuso quello di Reggio Emilia, dove ci sono solo sei ospiti, e che nel giro di sei mesi si possa arrivare alla loro chiusura definitiva. Ma non è corretto dire che non ci sono stati dei miglioramenti, in quanto gli ospiti ad oggi sono circa 90," conclude Corleone.

Dai dati relativi al 15 dicembre, sempre secondo l'ultima relazione al Parlamento, negli OPG risultano presenti – a quella data - ancora 164 persone. Delle altre, 455 sono state trasferite nelle REMS, 98 quelle messe in stato di libertà.

Il ritardo sarebbe da attribuire alla mancata attivazione delle REMS da parte delle regioni: sebbene per legge sarebbero dovuti essere pronti di pari passo con la chiusura degli OPG, le nuove strutture rimangono ancora una realtà limitata a qualche eccezione, e ancora non in grado di garantire tutti i posti letto.

Le REMS, si legge nella relazione al parlamento, "sono lontane dall'essere totalmente in funzione." Al numero limitato di quelle già aperte, spiega a VICE News Denise Amerini, c'è poi da aggiungere il caso di Castiglione delle Stiverie (Mantova).

La struttura lombarda - alla quale si appoggiano ufficialmente anche Val d'Aosta, Liguria e Veneto pagando una convenzione per ogni paziente - a giugno dello scorso anno registrava il tutto esaurito con ospiti proveniente da ogni regione, e ospita al suo interno circa 220 persone — un numero nettamente superiore a quello di strutture pensate per essere di piccola dimensione.

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"Oltre a questi ritardi," continua Amorini, "il problema vero è che i fondi destinati dal governo centrale alle regioni sono stati usati nella stragrande maggioranza – se non esclusivamente – nella costruzione delle REMS, mentre andavano utilizzati per la presa in carico individuale di ogni singola persona."

Cosa cambia

Proprio l'identità di queste nuove strutture, una volta che saranno attive, è il punto focale della questione

Le REMS sono strutture residenziali gestite dalla Sanità regionale con la collaborazione del ministero della Giustizia, e si tratta di entità adibite per ospitare in media 20 persone.

Nonostante - stando a quanto stabilito dalla legge - il loro compito comprenda anche la messa in sicurezza, l'internamento proviene da un giudizio di preventività e non di responsabilità, facendo delle REMS una struttura a scopo unicamente rieducativo —e non retributivo.

È proprio dell'attuazione alla lettera della legge nella sua totalità che dipendono entità e funzionalità delle REMS.

"Si deve fare attenzione anche e soprattutto alla parte più nobile della legge, cioè che il ricovero nelle REMS dovrebbe essere residuale, l'estrema ratio," spiega Amorini. "Andrebbero privilegiati i processi terapeutici riabilitativi individuali, le persone dovrebbero essere riportate nel territorio di appartenenza, prese in carico dalle ASL di appartenenza, con percorsi individuali — cosa che per adesso non viene fatta."

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In assenza di questa prerogativa, spiega, le strutture diventerebbero dei "mini OPG," ovvero luoghi con condizioni abitative più umane ma altrettanto isolanti e controproducenti per il paziente, che non porterebbero a un'evoluzione nel modo in cui si approccia alla salute mentale, ma ad un arroccamento su vecchi metodi.

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Quanto al paragone tra gli OPG e le REMS, Corleone è deciso nel ribadire le differenze.

"Queste strutture costituirebbero una diversità rispetto agli OPG per un punto fondamentale: il fatto che ci sia una data di entrata e una data di uscita," spiega. "Ho già verificato l'elenco delle persone internate in alcune strutture: quando parliamo di 10/20 persone, parliamo di una logica totalmente diversa dall'averne 100 — e comunque nelle loro schede c'è la data di uscita."

Nonostante questo, il lavoro da fare - ammette Corleone - è ancora molto, e il giudizio su queste strutture è intrinsecamente legato alla loro gestione.

"La prospettiva di questa autentica rivoluzione copernicana sarà solo all'inizio. Dobbiamo impedire una riproposizione della logica manicomiale — anche in piccolo: occorre fare un continuo monitoraggio, verificare costantemente il trattamento riservato alle persone," spiega. "I problemi sono tanti, ma l'Italia conquista un posto di civiltà in Europa."

Controlli, monitoraggi e civiltà valgono a zero se non si parte con questi progetti. E un ritardo di un anno - pensando all'anticipo con il quale l'Italia era arrivata sul tema 40 anni fa - non è il migliore inizio.


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Foto di Matteo Paciotti/Flickr rilasciata su licenza Creative Commons