Musica

Laila Al Habash ti sblocca un ricordo

Laila Al Habash ha pubblicato un EP, prodotto da Stabber e Niccolò Contessa, intitolato 'Moquette', una parola con poteri speciali.
Carlotta Sisti
Milan, IT
Laila Al Habash intervista
Laila Al Habash, foto di Tommaso Biagetti

Laila Al Habash è una persona che quando ti dice di “voler sempre cercare il bello nelle cose”, ti fa quasi venire voglia di provarci. Quella frase che di norma ammoscia un’intervista quanto il “sono una persona solare”, detta da lei, 22 anni, nata in un paesino della provincia romana che non nominerà mai da mamma italiana e papà palestinese, è del tutto priva di retorica. Perché Laila ha il super potere dell’ironia, che non è esattamente il tratto distintivo del mondo musicale tutto, e questa sua naturale distanza dall’elogio di sé, dall’enfasi, dalla drammatizzazione, fa sì che nel momento in cui ti dice una cosa seria, le credi.

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Nell’anno della pandemia globale, per la maggior parte di noi tragicamente immobile e paludoso, lei ha fatto un sacco di cose: è entrata in Undamento, si è ritrovata a lavorare con il suo mito, Niccolò Contessa de I Cani, e il 26 febbraio di quest’anno ha fatto uscire il suo primo EP, Moquette. Ma non è finita, perché lei, Contessa e il suo producer di sempre Stabber, sono a buon punto anche con il disco, ma questo è tutto ciò che sono riuscita ad ottenere sull’argomento. Prima di chiederle di Moquette, fatto di cinque tracce di un indie pop che è stato a stretto contatto con il rap, con le melodie già vicine al primo e la scrittura al secondo, devo partire chiedendo a Laila dell’ossessione che, per causa sua, mi ha invaso la vita.

Laila ha registrato una versione live del suo singolo “Brodo” nello studio di adidas, Cross Radio e Sfera Ebbasta a Cinisello Balsamo. Puoi vedere il video in anteprima sul profilo Instagram di Noisey.

Mi hai fatto scoprire la dabke, parlandone in un’intervista. Ora non riesco a smettere di guardare video su YouTube: come se ne esce?
La dabke è una bomba, altro che trap, ti credo che stai in fissa! Io la conosco da sempre, perché è un genere di musica e di danza tradizionale delle mie zone, del Medio Oriente ma in particolare di Libano e Palestina. Purtroppo non ti so dire molto della sua storia, se non che la parola dall’arabo significa battere i piedi a terra e che viene ballata ai matrimoni, soprattutto da uomini, ma ho visto che ora anche le donne stanno iniziando a farla. Chissà, magari il prossimo disco sarà tutto dabke, anzi dabke-pop. Niccolò (Contessa) ma ancora di più Stabber ne sarebbero felicissimi.

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Io pure. Il tuo EP, invece, si intitola Moquette, una parola che mi fa venire in mente i viaggi di quando ero piccola, i B&B inglesi dove c’era fissa la moquette, che era per me allo stesso tempo attraente e respingente. A te che cosa rievoca?
Mi trovi perfettamente in linea con queste tue sensazioni, anche se il primo motivo di questo titolo è che amo il suono della parola moquette: semplice, diretta, morbida. Se ci pensi, però, la moquette è sia qualcosa che attutisce, che ti protegge se cadi, che allo stesso tempo qualcosa di sporco, polveroso, totalmente anti igienico; è una parola che, come dicevi, fa venire in mente gli hotel o la casa, quindi un luogo confortevole, dove è bello stare, ma che ha anche un suo lato zozzo. Mi piaceva l’idea di mettere insieme tutti questi aspetti così contrastanti. E poi la moquette è super anni Ottanta. 

In questa esegesi della moquette, mi viene in mente anche il fatto che molto più di altri pavimenti, ti restituisce la sensazione del passaggio di altre persone.
Sì, è molto materica come parola, e soprattutto a molti rievoca un ricordo, perché non sei la prima a raccontarmi quale sia la “sua” moquette. Questo titolo m’ha fatto scoprire che è molto sottovalutata, mentre in realtà smuove tantissimi ricordi, ed è evidente che se avessi usato, chessò, marmo o legno non sarebbe successa la stessa cosa.

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Anche “Doppio Taglio” rievoca molte cose.
Soprattutto a chi è di Roma o comunque a chi la conosce. Il testo dice che il buttafuori del locale, quando nota il doppio taglio del ragazzo con cui sono, capisce al volo che significa guai. Quelli con il doppio taglio a Roma non li fanno mai entrare. Sono un po’ degli scugnizzi, ecco, e lo spiego perché anche se ho cercato di essere meno “Roma-riferita” possibile, forse qui la sono stata.

Laila Al Habash, Moquette

La copertina di 'Moquette' (foto Tommaso Biagetti, grafica Caterina Adele Michi). Cliccaci sopra per ascoltare l'EP su Spotify.

Quando ho intervistato Quentin40, ed era la sua prima intervista, mi ha detto “Roma è l’odio.” Che effetto ti fa una frase così forte?
Non la sento mia, anche se in qualche modo, diciamo da lontano, la posso capire. Io, poi, non sono proprio di Roma, vengo dalla provincia e in generale mi sento romana fino ad un certo punto, e non solo perché papà è palestinese, ma proprio per un senso d’appartenenza che non è così radicato. Tornando alla frase di Quentin, credo che in generale Roma abbia dentro di sé tanti mondi, alcuni molto molto duri, ma non sono le realtà che vivo, in cui mi muovo, per cui il mio sentimento è differente.  Anche se, comunque, non è di amore assoluto ed incondizionato, perché è una città complessa, che ti mette parecchio alla prova.

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A proposito di sentimenti, come vivi il fatto che l’Ep è fuori ma non lo puoi suonare live, davanti ad un pubblico?
Mi fa male. Ormai è un anno che siamo tutti fermi e la cosa che ora mi dà più fastidio è che se vai in giro per Milano, per Roma, sembra che tutto sia ripartito: c’è traffico, la gente si incontra, va per negozi, per fortuna adesso va anche al museo, ma la musica no, per la musica non s’è trovata una soluzione. Di conseguenza noi musicisti ci sentiamo messi da parte, irrilevanti.

Detto ciò, io sono una persona che cerca di trovare il bello in ogni cosa, per cui ti dico che sono davvero contenta d’aver fatto uscire le mie canzoni in un momento del genere, perché è proprio nei momenti di difficoltà che c’è bisogno di cose nuove, di un barlume di speranza, di freschezza. Immagina che cosa sarebbe stato e che cosa sarebbe il lockdown senza l’arte, la musica a sollevarci e portarci altrove, rispetto alle cose brutte del mondo. 

Riavvolgi il nastro: quando hai avuto piena consapevolezza del ruolo che avrebbe avuto la musica nella tua vita?
I primissimi passi li ho mossi grazie alla mia famiglia, che m’ha fatto iniziare a studiare pianoforte che avevo tre anni e mezzo. Ho studiato per più di dieci anni, ed ora, con la giusta distanza, mi rendo conto di quanto sia stato importante, non solo per l’orecchio ma anche mentalmente. Poi le mi due sorelle più grandi m’hanno sempre fatto ascoltare una valanga di musica, è grazie a loro che ho scoperto l’indie, I Cani, gli Afterhours, Baustelle, sono state la mia radio 24 su 24. 

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Parli d’amore in questo EP, ma più del romanticismo, più del pathos, metti molta ironia nel tuo racconto, sei divertita e anche tagliente, tanto che sembri più adulta della tua età.
Ho sempre avuto questo approccio, un po’ inusuale, all’amore, sarà che di carattere non sono una persona che tende al dramma, anzi, cerco sempre di ridere di me, di ridere di quello che mi succede. In “Flambé”, che è l’unica canzone non autobiografica ma che parla della storia di una mia amica, sono cattivissima, a questo ragazzo gli dico cose come “vieni, vieni che ti friggo il cuore, te lo brucio.” Questa del cattivo è un ruolo che mi ha sempre affascinata molto, forse perché è l’opposto di ciò che sono in realtà, e si sa che siamo affascinanti quanto impauriti dai mondi lontani da noi. 

Poi, però, c’è anche il pezzo molto dolce.
Sì, “Doppio Taglio” è la canzone più sentimentale che abbia mai scritto, è veramente una dichiarazione a cuore aperto, ricordo che l’ho scritta al telefono tutta d’un fiato mentre piangevo e non ho mai più ritoccato il testo. Come l’ho scritta, così è rimasta: un miracolo, una cosa che non mi succede mai. Lì dentro c’è quanto di più sincero e viscerale potessi dire su un amore finito, non c’è ironia, non c’è gioco, ma ci sta, sono anche una persona vulnerabile e avevo proprio bisogno di tirare fuori quella parte di me.

Laila Al Habash intervista

Laila Al Habash, foto di Tommaso Biagetti

Prima hai accennato all’amicizia ed è una cosa a cui ho pensato molto, in questo anno e un po’ di pandemia, a quanto sia, senza retorica, vitale. Chi sono i tuoi amici, le tue amiche?
Ho amiche che mi porto dietro dalle elementari, anche perché fino a sei mesi fa ho abitato in un paese, una realtà piccolina, che ti fa frequentare le persone un po’ per forza di cose, perché, che so, si andava a catechismo insieme. Parlando, invece, di rapporti più profondi, non sono stata molto fortunata in passato, ho avuto delle belle delusioni. Da qualche tempo, invece, ho imparato a selezionare molto bene e sono davvero contenta di chi ho accanto.

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Sono d’accordo con te sul fatto che è essenziale circondarsi di una seconda famiglia, quella che si sceglie, anche perché mi sono accorta che da quando ho iniziato a dare la giusta importanza a questo aspetto della vita, ho scritto tantissimo per le mie amiche e per i miei amici. Ho scritto delle canzoni (che non sono nell’EP, ma usciranno più avanti) che sono canzoni d’amore, perché alla fine di quello si parla. Questo mi fa pensare al fatto che ci educano a pensare che l’amore sia solo quello tra partner, dove di mezzo c’è anche la componente sessuale, e invece sarebbe bellissimo imparare a dedicare quello stesso slancio emotivo anche agli amici, senza avere paura di farlo. L’amore riguarda l’amicizia al cento per cento, ma bisogna essere educati al saperlo esprimere, al saperlo comunicare. Mi sta a cuore come argomento, spero di averlo reso bene.

Sì. Ora però ti devo chiedere di Niccolò.
Vai, vai. 

Gliel’hai chiesto se torneranno I Cani?
(Ride) Sì, ma non credo di poter condividere quest’informazione.

Ci ho provato. Comunque quando ho letto che, oltre al tuo producer storico che è Stabber, c’era anche Contessa, ho pensato “ammazza”.
La stessa cosa che ho pensato io. Niccolò lo conoscevo di vista da anni, ma semplicemente perché ci si vedeva ai concerti, però sapevo, perché me lo avevano detto, che mi stava tenendo d’occhio, quando ancora non avevo nemmeno un’etichetta ma solo un Bandcamp. Per quale strano viaggio del fato le mie cose fossero arrivate a lui, non lo so. Poi, maggio 2020, mi arriva un messaggio, che diceva “ciao Laila, sono Niccolò Contessa, ti va se lavoriamo insieme alle tue cose?” e io ho pensato subito che ci doveva essere la fregatura, perché era qualcosa di troppo bello. Alla fine la fregatura non c’è stata, io e Niccolò abbiamo lavorato tutta estate e stiamo lavorando ancora insieme, è una persona incredibile, mi sento molto fortunata. 

Stabber, il giorno in cui è uscito Moquette, ha scritto un post dove si dichiarava emozionato come un papà al primo giorno di scuole della figlia.
Un messaggio bellissimo, ma lui è così. Lui è la persona che ammiro follemente per la costanza con cui, ormai da sei anni, mi sta dietro, ma chi glielo faceva fare. Stabber è uno dei più bravi in Italia, ha una cultura musica pazzesca, ma per me è anche quella che mi ha sempre rimessa in riga, quando doveva farlo. 

Carlotta scrive tantissimo e quasi dappertutto. Seguila su Instagram.