Una mattina di novembre guidavo per le campagne intorno al lago di Bolsena e cercavo di ricostruire il momento in cui ho iniziato a interessarmi delle persone che vivono a indirizzi raggiungibili solo con le specifiche indicazioni di chi ci abita, poiché ancora nessun colosso del digitale è al corrente delle strade per arrivarci.L’ambizione, parafrasando le sue parole, è creare un museo vivente del vegetale, un luogo dove si conservano verdure, comprese quelle rare o quasi estinte
“Non è virtuosismo o snobismo, è una questione di ricerca, di ascolto delle piante. Lavorare con la diversità è essenziale anche per abituarsi alla diversità in altri ambiti dell’esistenza”
Raccogliamo qualcosa per il pranzo: cavolo nero, un antico broccolo leccese che si chiama mugnolo, una cipolla conosciuta come rossa lunga fiorentina, qualche melanzana paccia di Rofrano del Cilento, tonda e arancione
Mentre iniziava a raccontarmi della sua nuova vita, mi sforzavo di sovrapporre la mia idea di Nossiter – americano, brasiliano, forse anche po’ francese, che ha vissuto in cento posti del mondo e ha fatto tre film con la divina Charlotte Rampling – alla persona che avevo davanti e che mi stava offrendo un tè. Mi sono trasferito qua nel 2015, mi dice, nonostante il coro degli amici cittadini che mi davano del pazzo: c’era ancora da aprire la strada in un bosco di rovi, ci voleva un’ora per arrivare dal paese più vicino che è Castel Giorgio, duemila anime sul confine tra Umbria e Lazio.
Nell’orto – è autunno inoltrato quando gli faccio visita – resiste eroico qualche pomodoro, ma a dominare sono ovviamente i cavoli. Raccogliamo qualcosa per il pranzo: cavolo nero, un antico broccolo leccese che si chiama mugnolo, una cipolla conosciuta come rossa lunga fiorentina, qualche melanzana paccia di Rofrano del Cilento, tonda e arancione. Sono tutte varietà locali (cioè varietà di diversi territori, adattate in campo nel corso del tempo, attraverso il lavoro dei contadini), oggi difficili da trovare perché soppiantate dagli ibridi – varietà ibridate nell’ottica di massimizzare uniformità e rese. Nossiter coltiva senza alcun concime, diserbante o pesticida di sintesi chimica, e tenendo le diverse varietà a contatto ravvicinato tra loro, anzi mi dice che vorrebbe mischiarle sempre di più.“Nossiter coltiva senza alcun concime, diserbante o pesticida di sintesi chimica, tenendo le diverse varietà a contatto ravvicinato tra loro. Anzi vorrebbe mischiarle sempre di più”
L’entità dell’operazione diventa ancora più lampante quando entriamo nella stanza-archivio dei semi, che ospita vari armadi pieni di bustine; su ognuna è scritto a mano il nome della varietà e la data di raccolta. La collezione più vasta è quella dei pomodori, da cui pescando a caso saltano fuori il gigante di Torino, il giallo di Capaccio, la tigrella bicolore, il rosa di Rofrano, la Grosse Hative d’Orléans e lo scatolone di Bolsena, una varietà abbastanza nota eppure poco coltivata – Nossiter mi dice di averla cercata a lungo prima di scovarne i semi da un contadino della zona.
“Una riscoperta delle verdure, della ricchezza orticola che abbiamo e che rischiamo di perdere è importante, ma per gli agricoltori oggi non ci sono riconoscimenti, non c’è glamour”
Parlare di lotta politica in agricoltura è oggi una componente essenziale nel più ampio percorso di attivismo climatico, anzi credo ne sia uno dei nodi centrali.