Guarda le foto dei luoghi abbandonati della NASA

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Guarda le foto dei luoghi abbandonati della NASA

Un incredibile progetto fotografico che vuole preservare la storia dell’esplorazione spaziale statunitense grazie agli scatti di luoghi ormai abbandonati.

In questo mondo non c'è più nulla da esplorare: abbiamo scoperto tutto e l'esplorazione, per come l'abbiamo intesa sui libri di storia, è ormai impossibile. L'unica soluzione a questo problema è caricare su una nave bella solida un sacco di provviste e cominciare a girovagare per gli oceani, nella speranza di incrociare qualche isoletta dimenticata dai cartografi.

Ciò non significa, però, che dovremmo smettere di esplorare. Infatti il termine ha ormai cambiato il suo significato: l'esplorazione è diventata urbana o industriale, e ultimamente a noi esseri umani orfani della solitudine ci è preso il pallino dei luoghi abbandonati. Chernobyl, per esempio.

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Abandoned in Place: Preserving America's Space History è un progetto fotografico che si prefigge l'obiettivo di 'Preservare la storia dell'esplorazione spaziale statunitense." Il fotoreportage, raccolto in un libro e pubblicato dalla University of Mexico Press, è una vera e propria operazione di esplorazione fotografica delle strutture di lancio e di ricerca della prima era spaziale americana.

Il lavoro svolto da Roland Miller (beccatevi questa mappa fotografica interattiva di Cape Canaveral), autore e fotografo, non è meramente documentaristico: infatti la sua intenzione è quella di raccontare una storia, e per farlo ha sfruttato non solo le fotografie ma anche l'impaginazione delle stesse. Il risultato è un ibrido astratto tra giornalismo e arte.

"Le strutture fotografate ritraggono una delle avventure più storicamente e tecnologicamente importanti dello scorso secolo—Dal nostro primo volo nello spazio senza equipaggio, fino allo sbarco sulla Luna," si legge sul sito ufficiale della pubblicazione. "In molte immagini si percepisce quanto, in quel periodo, l'urgenza della corsa allo spazio fosse sentita."

Per Roland, il progetto ha come scopo quello di conservare e ritrarre questi luoghi abbandonati attraverso lo strumento fotografico con un approccio che superi quello della documentazione governativa, facendo trasparire, nel mentre, il valore sociale, storico e e artistico di queste strutture.

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"Questo progetto mi ha ricordato la natura temporanea della vita: tutto evolve."

"Ho fotografato la Cape Canaveral Air Force Station e molti centri spaziali della NASA come lo Stennis Space Center, in Mississippi, il Johnson Space Center in Texas, il Marshall Space Flight Center in Alabama, il Wallops Island Flight Facility e il Langley Research Center, entrambi in Virginia," mi spiega Roland Miller per email.

"Ci ho messo due anni prima di riuscire a contattare qualcuno che mi potesse aiutare nel progetto e che fosse interessato a vedere che tipo di fotografie avevo intenzione di fare," continua parlandomi di come sia riuscito a ottenere l'accesso a questo strutture. "Dopo aver effettuato degli scatti preliminari e averli mostrati alle autorità della NASA e dell'Aviazione, sono riuscito a far comprendere l'importanza di questo tipo di documenti, e mi hanno lasciato procedere," mi spiega.

Gli scatti di Roland sono un viaggio incredibile negli occhi e nel cuore di chi quel periodo l'ha vissuto davvero: tra tagli più concettuali che ben rappresentano l'impeto esplorativo che guidava chiunque lavorasse nell'ambito, e ritratti delle titaniche strutture in cui si consumava la magia di un lancio spaziale, l'intero reportage è capace di regalare nuova vita a questi edifici, "Personalmente, mi piace molto lo scatto 'Launch Ring Restored', che mostra il piedistallo di lancio dell'Apollo Saturn Launch Complex 34 di Cape Canaveral," mi confessa Roland. "La fotografia è stata scattata poco dopo una nuova tinteggiatura e sabbiatura della piattaforma, nel tentativo di conservarla. Il Launch Complex 34 è la struttura del primo lancio della missione Apollo, ovvero l'Apollo 7," continua.

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"È lo stesso sito dell'incendio dell'Apollo 1, quello che nel 1967 uccise gli astronauti Gus Grissom, Ed White e Roger Chafeee—Per molti anni ho cercato di ritrarre questo sito, cercando di donargli un'atmosfera quieta e paciosa. La luce del tramonto, assieme alle nuvole presenti nello scatto, mi ha permesso di catturare proprio quella sensazione che stavo cercando."

"Too solid for any known method of demolition."

Il progetto fotografico solleva, tra le righe, anche questioni piuttosto importanti. Proprio come nel caso di attualità delle trivelle nel Mar Adriatico, le strutture costruite per ospitare questo tipo di operazione sono tanto maestose quanto possenti.

Nel sito del libro, in particolare, si può leggere una frase decisamente chiara. Parlando proprio delle strutture, l'autore le definisce "too solid for any known method of demolition," troppo massicce per qualsiasi tecnica di demolizione sconosciuta." L'idea che l'uomo avvii la costruzione di edifici che non sa se potrà poi effettivamente demolire, è quantomeno curiosa, "Le torri di lancio erano alte circa 60 metri, anche se ne era rimasta solo una quando ho cominciato questo progetto, l'altra invece era stata demolita," puntualizza Roland.

"Le superstrutture di cemento erano alte poco meno di 10 metri—Queste sono le strutture difficili da demolire perché erano state progettate per sopportare le tremende esplosioni causate dall'eventuale fallimento dei lanci nei primi secondo dopo l'avvio," continua Roland. "Osservare questi edifici mi ha procurato tante, diverse, sensazioni. Era triste vedere questi luoghi che un tempo raccoglievano le attenzioni di tutto il mondo, essere abbandnati e lasciati decadere," mi spiega.

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"Questo progetto mi ha ricordato la natura temporanea della vita: tutto evolve, e per me è stato un onore poter rappresentare attraverso il filtro del mio occhio fotografico dei luoghi così preziosi per la mia infanzia," conclude.

Abandoned in Place: Preserving America's Space History è stato pubblicato l'1 marzo e non riesco a pensare a una buona ragione per cui non dovreste acquistarlo.

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