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Musica

Perché gran parte della musica nelle province italiane fa schifo

Per quanto faccia schifo riferirsi alle "province" italiane con un'accezione negativa, è comunque mortificante che certi cliché su di esse non possano essere smentiti.
Sonia Garcia
Milan, IT

Foto dell'autrice.

Quando un cliché, o un luogo comune, o qualsiasi forma di stereotipo relativo alla realtà che mi circonda, si palesa ai miei occhi come VERO, ecco, per me è un momento di profonda sconfitta. Me la vivo proprio di merda. Ad esempio, la volta che sono stata derubata proprio sotto casa mia, cioè in zona Loreto a Milano, la reazione di tutti coloro a cui raccontavo l'episodio era "Eh sì, è proprio una zona di merda." o "Be', con Via Padova lì vicino e tutti gli extracomunitari…". Ho avuto orrore di me stessa nel vedermi costretta ad ammettere che certe convinzioni e dicerie abusate dalle peggiori categorie di persone—quelle che "Loreto è una zona di merda perché ci sono gli extracomunitari"—si erano rivelate vere a partire da fatti vissuti sulla mia stessa pelle. Un senso di impotenza rapidamente incanalato in frustrazione.

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Il motivo per cui sento il bisogno di profilare il seguente spiegone, come prevedibile, è lo shock derivato da un'epifania analoga a quella appena descritta. Settimana scorsa sono tornata a casa dei miei, in una poco interessante provincia toscana di cui non farò il nome perché l'ho già fatto troppe volte in passato, e perché poco rilevante per il fenomeno di cui mi interessa parlare. Con amici vari mi sono ritrovata a un festival in campagna di stampo garage/psych rock/indie, con una line up a cui ero in parte interessata—più no che sì, ma non ha importanza. Era già sera, e come arrivo, noto la tipica e confortevole atmosfera da sagra con stand, luci e gente radiosa che parlotta e scherza amabilmente, ammassata su tutto lo spiazzo davanti al palco. Stiamo lì pure noi a raccontarcela per svariati minuti, fino a quando il particolare che a diversi metri da me una band—quattro cristiani con degli strumenti—sta effettivamente suonando, inizia a farsi strada tra i miei pensieri. Provo a chiedere a dei tizi lì accanto: "Chi sono questi che suonano?" "Boh."

Evidentemente ero l'unica con questo tarlo in testa, vista la noia assoluta negli occhi dei miei interlocutori in reazione alla mia proposta di avvicinarci al palco e gli innumerevoli sguardi di sconcerto—pur non avendo idea di chi stesse suonando—verso l'area in cui si stava esibendo il gruppo. Mi è sembrato scortese fuggirmene più avanti e abbandonare i miei amici, che comunque vedo una volta a stagione, e perciò ho continuato ad intrattenermi con la ben più gettonata attività del mostrarsi socievoli in pubblico. Attività che normalmente mi fa accapponare la pelle, ma in quel momento ero di buonumore, il livello di tolleranza era massimo, quindi no problem.

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Presto mi sarebbe stato chiaro che più la serata andava avanti più sarebbero aumentate le disdette musicali, ma come dicevo, la voglia di essere Birsa con i miei piccoli amici, a poco più di ventiquattro ore dal mio ritorno a casa era meno che nulla. Non aveva senso. Dopo la fine dei live è ragionevolmente partito, con grande scalpore dello stesso pubblico che fino a poco prima pogava sui viaggioni psych garage della band, un dj set. E per come la vedo io, la questione dei dj set di provincia è annosa e delicata.

Cielo di provincia. Foto dell'autrice.

Partiamo dalla premessa che mi fa vomitare usare il complemento di specificazione "di provincia" o l'aggettivo "provinciale" con questa cadenza e frequenza, perché quale idilliaca vita metropolitana credo di avere per assegnare alla parola PROVINCIA un'accezione così disgraziatamente negativa? Milano è per caso un locus amoenus così inarrivabile a confronto? Anche se fosse, non ci posso fare niente, è un tipo di retorica che mi fa cacare. Detto ciò non posso che riallacciarmi a quanto scritto a inizio articolo, cioè alla sofferenza provata ogni qualvolta mi trovo faccia a faccia con la riconferma di un qualsiasi luogo comune, in questo caso riguardante appunto la fantomatica VITA DI PROVINCIA. Questo dolore è dato nel momento in cui constato che in effetti è vero, nei posti piccoli, dovesiconosconotutti, durante gli eventi legati alla musica, alla gente frega un beato nulla della musica.

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La premura più grande è, come ho potuto osservare con i miei occhi, socializzare e relazionarsi con gli altri membri della comunità, occasionalmente sballarsi e in alternativa perpetuare un'esistenza del tutto analoga a quella perpetuata in qualunque piazza/vicolo/bar del centro, solo con un sottofondo musicale aggiuntivo. E sempre secondo la logica del "tanto basta irrorare i timpani non importa di cosa", torniamo all'argomento dj set.

Il set post-concerto era, e voglio ribadire la fatica provata nel doverlo affermare, esattamente come uno se lo aspettava: tremendo. Non è stata tanto l'aridità contenutistica dell'elemento trash-revival dominante, caratteristico di qualsiasi dj set ignorante internazionale, ad avermi colpito. È stato il modo in cui questa veniva accettata e metabolizzata come consuetudine, sì, un po' discutibile dal punto di vista qualitativo, ma godibile in quanto normale. A dire il vero tutti lì hanno ritenuto il passaggio da "Bandoleiro", "Mambo N. 5", "Para Bailar La Bamba", "Twist and Shout" a "Surfin' USA" ben più che normale, direi quasi estatico. E visto che il contesto in sé non era propriamente quello del festone trash/caciara—sinonimo di successo assicurato nel 98% dei casi—ma quello di un festival con una minima ricercatezza musicale, una tale lobotomizzazione del pubblico mi è sembrata un controsenso.

Non importa, infatti, se questo è realmente affine alla proposta musicale dominante, in provincia e nei famigerati postipiccoli gli stigmi sono chiari e decisivi: spesso ci si ritrova ad aderire a una realtà il cui fattore aggregante non è la dimensione culturale ma quella estetica. Ecco quindi che si fa volentierissimo a meno di sensibilità e preferenze personali, forse troppo esigenti se prese singolarmente, per prediligere un modello ben più sicuro, in grado di garantire successo e accettazione da parte di tutti. Perché è quello l'indispensabile, essere benvisti e adorati dal resto della comunità, a differenza—forse—dei luoghi in cui il giudizio di quest'ultima non è così decisivo.

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D'altra parte qui le "scene" musicali, e quindi coloro che se ne interessano e che le alimentano, nascono e crescono all'interno di un circuito sociale e culturale di per sé addestrato a metabolizzare solo ciò con cui è più facile entrare in contatto. L'accessibilità di quella comfort zone è molto alta: locali e organizzazioni di eventi, proprio come questo festival, sono obbligati ad aderire a far parte di questo circuito, perché in caso contrario si perderebbe parte di quel consenso che lo rende stabile. Chi piega le proprie scelte e proposte artistiche al gusto dominante, molto spesso inerme dal punto di vista della ricerca e della qualità, ha la meglio, e ciò vale soprattutto per le clubnight locali. Un'altra cara amica mi ha confermato quanto temuto, semplicemente illustrandomi il decorso musicale di una delle più famose della zona: "Il primo dj set è durante la cena, con xxx che mette la musica italiana, Morandi, Venditti, revival tendenti al trash in pratica. Segue uno stacchetto di yyy, cioè MDM, Musica Di Merda. È tutta musica di merda, però quella particolarmente. Dopodiché arriva un terzo DJ che pensa bene a tormentoni tipo "212", giustamente e "Babylon" di Congorock, alternate alle solite hit indie electro nu rave dei tempi di Myspace. Finito lui, il quarto parte con le robe negre: Kelis, Beyoncé, Sean Paul, Jay-Z, etc. Per finire riappare quello di prima della MDM appaiato con un altro ancora, e insieme, finalmente, ci rifilano l'indie: Arctic Monkeys, Oasis, e similari. Tutto finisce così. E tu rimani lì, che ti dici 'Cazzo, dove sono finita?'. Boh."

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Evviva

Mi pare di capire che quindi dal 2010, anno in cui ho smesso di vivere in questa città, la qualità del clubbing locale non è cambiata proprio per un cazzo. Questo ristagno è anche comprensibile. Se in una città dal tessuto più articolato c'è un ricambio naturale e costante di proposta musicale (che sia perlomeno conscia di ciò che sta davvero offrendo, per quanto riguarda il clubbing), nelle province, la comunità si autocompiace automaticamente di ciò che "prende" di più, e non si chiede neanche se può davvero esistere una condizione in cui l'intrattenimento va oltre la perifrasi dell' "andare a ballare".

Alcune eccezioni però esistono, nella mia provincia come in tante altre ed è giusto prenderne atto. L'esistenza in sé del festival, e la recente nascita di associazioni e circoli, in città, dove vengono chiamati artisti con un maggiore grado di sperimentazione e ricerca sonora, è rassicurante e forse una delle migliori armi contro la miseria culturale di cui sopra. Si tratta pur sempre di una minoranza che si autosostenta, non ripone fiducia nel consenso collettivo, ma in quello di un angolino di comunità che spesso si rifiuta di mostrarsi passiva di fronte alla piaga della mediocrità. Allo stesso modo, a fruirne sono un insieme eterogeneo di masse più o meno accondiscendenti a questa scelta. In quanto agenti passivi non si pongono minimamente il problema di aspirare a uno scenario migliorato, ma anche qui si lasciano trainare dall'entusiasmo di pochi, con risultati che in fin dei conti lasciano sperare in bene. Basti pensare all'altissimo numero di eventi, festival, clubnight, circoli vari che negli ultimi anni hanno radicato in determinate province italiane scene e realtà musicali assolutamente affini, e spesso pure migliori, di quelle delle grandi città. Fare nomi è superfluo, avete capito a cosa mi riferisco.

A molti continuerà a fregare cazzi delle alternative alle solite nullità musicali riempipista/riempipiazze che possono fiorire nei substrati culturali delle province, in primis a chi ci abita, e quanto visto venerdì sera ne è una prova lancinante. Spero solo si sradichi la convinzione che è sempre tutto destinato a rimanere fossilizzato su se stesso, e soprattutto che si inizi a beneficiare della musica in modo più consapevole. Altrimenti fatevi le canzoncine lagnose sul male provinciale tipo L'Orso o Dente e continuate a fare male all'arte.

Segui Sonia su Twitter—@acideyes