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reportage

Due giorni 'fuori dal mondo', nel villaggio ultracattolico di Nomadelfia

Siamo stati a Nomadelfia, una comunità organizzata come una cittadella del tutto autonoma, dove la religione occupa ogni ambito della vita.
Tutte le foto dell'autore.

"Ma perché, esiste ancora?"

Sono queste le prime parole di Franco, un amico di vecchia data, quando gli parlo del nostro imminente viaggio a Nomadelfia. Lui, come molte altre persone nate negli anni Cinquanta, si ricorda bene di questo posto—che definisce come "un villaggio di integralisti cattolici dallo spirito sessantottino."

Nomadelfia nasce da un'idea di Zeno Saltini, un presbitero nato nel 1900 a Carpi: don Saltini intravede fin da giovane una certa incoerenza alla base del movimento cristiano, e decide di costruire un modello di civiltà nuovo, fondato sì sulla religione cristiano-cattolica, ma anche su regole di convivenza radicalmente diverse da quelle della società.

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Nel 1947 nasce Nomadelfia, una comunità organizzata come una cittadella del tutto autonoma rispetto al mondo esterno, e osteggiata dalle stesse gerarchie ecclesiastiche malgrado la chiara e dichiarata vocazione cattolica.

È un'esperienza breve, che si conclude nel 1952 con lo scioglimento della comunità e l'allontanamento di Saltini dalla Chiesa stessa. Nel 1954, però, Nomadelfia si ricostituisce nella Maremma grossetana, dove sopravvive ancora oggi ed è abitata da trecento persone, cinquanta famiglie, in quattro chilometri quadrati di terra.

È un mondo a sé, un'isola, un modello sociale alternativo a quello classico, dove la religione occupa ogni ambito della vita. Non a caso, Nomadelfia si definisce come una proposta di "cattolici che vivono insieme con lo scopo di costruire una nuova civiltà fondata sul Vangelo."

Nel villaggio non esiste proprietà privata: le risorse sono collettive e non si fa uso di denaro. Uomini e donne lavorano nelle cooperative, nelle case e nelle scuole interne senza ricevere una paga. Le famiglie accolgono figli in affido, purché cattolici, e vivono insieme ad altre quattro o cinque famiglie nei cosiddetti "gruppi familiari."

I bambini e i ragazzi non vanno nelle scuole cittadine, ma frequentano la cosiddetta "scuola familiare" del villaggio, gestita dagli stessi genitori. Tutta la vita di Nomadelfia, insomma, si svolge dentro Nomadelfia—il lavoro, la scuola, l'intrattenimento.

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VICE News ha passato due giorni in questa comunità per capire come funziona davvero la vita al suo interno.

Nano, nato nel '48, ha passato i primi due mesi della sua vita in un orfanotrofio di Bologna. A due mesi è stato preso in affido da una mamma di vocazione di Nomadelfia e da quel giorno ha sempre vissuto qui

A ospitarci è Paolo, un ragazzo di 28 anni nato e cresciuto a Nomadelfia. La casa dove veniamo sistemati è un casolare in legno, composto da due camere e un bagno. La vita dentro Nomadelfia si divide tra questi casolari - dove si dorme - e la casa centrale, un edificio più grande composto da cucina, sala da pranzo, aree comuni e angolo preghiera.

Ci sono undici quartieri, ciascuno composto da cinque-sei casolari per la notte ed una casa centrale. Ogni gruppo familiare, formato da 25-30 persone, è assegnato ad un quartiere. Per mantenere un legame forte tra tutte le persone del villaggio, ogni tre anni si procede ad una scomposizione dei gruppi familiari che vengono poi riassemblati in modo casuale.

Per questi due giorni, VICE News è stata assegnata al gruppo Betlem Basso.

L'ingresso di Betlem basso, il quartiere dove siamo stati ospitati (Luigi Mastrodonato/VICE News)

La prima cosa che ci colpisce all'inizio è la totale assenza di mezzi di comunicazione di massa nelle camere e nella casa centrale. In realtà un televisore c'è, in una delle sale comuni. Ma è sempre spento.

"Noi la tv la guardiamo davvero poco" racconta a VICE News Paolo, spiegandoci si tratta di una regola della comunità. "Può essere accesa solo dopo le otto di sera, e trasmette solo cinque canali:" i tre della Rai, Tv2000 - "fanno spesso programmi incentrati sulla religione" - e RTN.

RTN è un canale interno, gestito dalla stessa comunità di Nomadelfia. Nico ne è il responsabile: "La tv oggi è un mezzo utile ma è diventata anche molto diseducativa" racconta a VICE News, "viene trasmessa troppa violenza, troppa banalità, troppo sesso."

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La croce-antenna di Nomadelfia

A Nomadelfia vogliono difendersi da tutto questo facendo una selezione di quello che c'è di meglio - secondo loro - alla tv, registrandolo, e creando un palinsesto serale. Esiste una commissione apposita, formata da cinque persone, che si riunisce settimanalmente e sceglie i programmi che verranno trasmessi nelle tv del villaggio.

"Noi registriamo e togliamo la pubblicità, che consideriamo una grossa violenza, ed è diseducativa: ti educa al consumismo e ti mostra spesso una vita che non è reale," continua Nico. Per lo stesso motivo, i bambini fino ai 14 anni non possono guardare la tv, cartoni animati compresi.

Nico ci spiega che si tratta di una forma di narrazione che altera la realtà, con animali che parlano, robot ed altre creature strane. "Le cose si possono raccontare in maniera diversa."

Il locale dove è gestita RTN, la tv via cavo interna. Nico ne è il responsabile

Un altro semisconosciuto a Nomadelfia è Internet. Tanto le camere quanto le case centrali sono sprovviste di pc e wifi. "Internet c'è solo negli uffici, non esiste un accesso personale in casa" racconta a VICE News Federica, 28 anni.

"Esiste una certa libertà di utilizzo, ma fino ad un certo punto." Ci viene spiegato che un minorenne, quando si connette, deve essere sorvegliato dagli adulti. Inoltre, da poco è stata introdotta la regola di non iscriversi a Facebook, per evitare che i nomadelfi possano esprimere pubblicamente idee ed opinioni in contrasto con lo spirito della comunità.

Abbiamo chiesto a Francesco, attuale presidente di Nomadelfia, se non considera queste limitazioni una forma di censura. "L'educazione deve dire dei no per essere davvero educativa" ha risposto: "ciascuno di noi dovrebbe fare autonomamente una censura in questo mondo di immagini."

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A sostegno della sua tesi, Francesco cita l'emendamento da poco approvato dall'UE che vieta l'accesso libero a Facebook per i minori di 16 anni. "Vedi, non succede solo a Nomadelfia" continua, "se arrivano a certe decisioni a livello internazionale, vuol dire che il problema è grave."

Francesco, presidente di Nomadelfia dal 2009. Dopo un trascorso in seminario a Padova, si è trasferito a Nomadelfia alla ricerca di un'esperienza più "totale" nell'82. Non se n'è mai più andato

All'ora di cena ci trasferiamo nella casa centrale del Betlem Basso. La televisione, in effetti, è accesa: viene trasmesso un approfondimento sul Giubileo in onda su RTN. Prima di sedersi, è necessario fare cinque minuti di preghiere di gruppo nella piccola cappella ricavata in fondo alla sala da pranzo.

Ci sono due grandi tavolate, per un totale di circa trenta persone: la cena è a base di zuppa di porri, poi polenta, uova e cavolo nero. Paolo ci racconta si cucina a turni, e che oggi toccava a sua moglie. Tutti i prodotti alimentari consumati provengono da Nomadelfia stessa, che è totalmente autosufficiente.

L'economia nomadelfa, infatti, ruota attorno alle cooperative agricole. C'è un caseificio, una cantina dove si produce il vino, un oleificio, una stalla con manzi, polli, maiali e perfino struzzi. E poi frutteti, campi di frumento e grandi orti per le verdure.

Il caseificio di Nomadelfia (Luigi Mastrodonato/VICE News)

Ciascun gruppo familiare gestisce poi un suo orto 'domestico' e può lanciarsi in nuove forme di allevamento. Samuel, 26 anni, ci spiega come funziona la distribuzione del cibo: "Ogni gruppo familiare scrive una lista settimanale degli alimenti di cui ha bisogno e questi gli vengono consegnati."

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A Nomadelfia non esiste denaro, non c'è proprietà privata e le risorse sono tutte interamente della collettività. I prodotti delle cooperative e dei campi vengono quindi distribuiti gratuitamente, così come gratuito è il lavoro che gli stessi abitanti prestano al loro interno, mentre per quanto riguarda gli orti 'domestici', i proventi vengono anch'essi ripartiti in modo equo tra tutte le famiglie.

L'orto 'domestico' del Betlem Basso. In primo piano, le coltivazioni di cavolo nero

La dimensione autarchica del centro si rivede anche per altri aspetti. C'è una falegnameria, un'acciaieria, un'officina, una tipografia, una lavanderia, una farmacia e un ambulatorio. Anche qui, ovviamente, si lavora in modo del tutto gratuito.

"In realtà noi percepiamo uno stipendio, ma poi lo versiamo alla comunità" racconta Federica. I soldi della comunità vengono poi usati per tutte le necessità, come ad esempio per aiutare chi decidesse di allontanarsi da Nomadelfia. Se si vuole lasciare il centro, le strade sono due: andarsene perché non ci si sente più in sintonia con lo spirito di Nomadelfia, o andare a frequentare l'università.

Lo scuolabus di Nomadelfia. La mattina raccoglie tutti i bambini negli 11 quartieri e li porta nelle scuole interne al villaggio

È la strada che hanno scelto Paolo, Samuel e Damiano. Scienze politiche a Firenze il primo, fisioterapia a Roma il secondo, fisica sempre a Roma il terzo, alla fine degli studi hanno poi deciso di tornare a casa.

Quando si ritorna a Nomadelfia, però, bisogna affrontare un periodo di prova di tre anni, in cui si dimostra di essere pronti a tornare a vivere in comunità. Ed è una commissione composta da presidente, vice-presidenti e sacerdote a stabilire se ci sono poi le condizioni per la riammissione definitiva.

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Sefora, 28 anni, è nata a Nomadelfia ma a 19 anni ha deciso di andarsene sei mesi in Brasile a fare volontariato. Poi si è iscritta all'università a Roma. Le abbiamo chiesto come fa un nomadelfo a pagarsi tutte queste esperienze, venendo da un contesto dove non è concesso l'utilizzo e l'accumulazione personale del denaro.

Lo stagno di Nomadelfia. Ce n'è anche un altro, più grande, in cui è stata costruita una diga rudimentale per la gestione delle acque per l'irrigazione

"Per l'università riusciamo sempre ad ottenere borse di studio, visto che in fin dei conti le famiglie hanno un reddito minimo di cui peraltro non dispongono." Per quanto riguarda la sua esperienza in Brasile, è stata Nomadelfia stessa a pagargliela: "Tu chiedi al presidente se c'è la possibilità di fare un'esperienza fuori e loro ti danno una risposta anche sulla base della disponibilità di soldi [nella cassa della comunità]."

Sefora sostiene che vivere a Nomadelfia sia una vocazione, una scelta libera e che la comunità non imprigiona nessuno. "Certo ci sono episodi di ribellione, soprattutto in età adolescenziale" racconta, ma sottolinea quanto sia lasciata libertà di andarsene a chiunque quando si vuole - una volta raggiunta la maggiore età - e che spesso viene data anche una mano nei primi periodi di inserimento nella società esterna.

La croce-antenna in cima alla collina di Nomadelfia. Sotto la croce sorge uno degli 11 quartieri del villaggio

Ma qual è il rapporto fra la comunità nomadelfa e la stringente attualità che agita il resto del mondo? E in particolare, qual è il punto di vista sul fondamentalismo, visto dalla prospettiva tutta particolare di una comunità chiusa e a forte trazione religiosa?

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A rispondere è ancora Sefora, che ci spiega che secondo lei "Non è tanto un problema di Islam, quanto di fanatismo—d'altronde anche la religione cristiana ha avuto i suoi momenti storici oscuri, ecco perché non si può puntare il dito contro le religioni in sé. Il problema è la radicalizzazione."

"Noi proponiamo un modello sociale ispirato alla religione - continua - ma siamo i primi a voler combattere il fanatismo. Se qualcuno dentro Nomadelfia si radicalizzasse in modo estremo, cercheremmo di fargli cambiare idea."

I cartelli all'interno del villaggio. Dietro, i campi della comunità

Finita la cena, alcuni anziani rimangono a guardare l'approfondimento sul Giubileo, mentre i bambini e gran parte degli adulti tornano nelle rispettive camere. Uscendo dall'edificio, l'unica cosa che si vede tra il buio dei boschi è la grande croce illuminata in cima alla collina di Nomadelfia, che scopriamo poi essere anche l'antenna che capta il segnale televisivo.

La mattina dopo la vita si attiva molto presto. C'è chi va a lavorare nei campi, chi nelle cooperative. Uno scuolabus raccoglie i bambini e ragazzini per portarli a scuola.

Come tutto il resto, anche la scuola è interna al villaggio ed è gestita dai cosiddetti coordinatori, che poi non sono altro che genitori trasformati per l'occasione in insegnanti. Incontriamo di nuovo Paolo e ci facciamo spiegare come funziona il sistema d'istruzione di Nomadelfia.

"La materna, le elementari e le medie sono comuni, mentre per le superiori vengono creati vari gruppi in base all'indirizzo scelto." Questi indirizzi possono variare in base alle richieste, ma solitamente comprendono un liceo, un istituto tecnico ed uno professionale.

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Il parco giochi fuori dalla Scuola materna

Caratteristica del sistema scolastico di Nomadelfia è l'assenza di voti, "per evitare la competizione tra i ragazzi ed aiutarli a camminare insieme." Terminato il ciclo, gli studenti vanno a sostenere l'esame di maturità presso le scuole di Grosseto, con cui esistono accordi decennali.

Quello che colpisce nel vedere i ragazzini che vanno a scuola, però, è l'abbigliamento. Vans, Nike, felpe Stussy. A Nomadelfia c'è un magazzino di vestiti, che è anche un punto di smercio per la Caritas. "La gente ci porta le cose usate, noi le giriamo alla Caritas e ne teniamo una piccola parte per noi" racconta a VICE News Federica.

La stanza degli ospiti

"I vestiti alla moda dei ragazzini possono arrivare così, anche se non ci credo molto." Federica sospetta ci possa essere un intervento di parenti esterni che regalano ai nipoti queste cose, anche se non lo trova giusto, "non rispetta i principi di Nomadelfia."

I bambini di Nomadelfia sono spesso in affido, un pilastro della comunità ancora da prima che essa nascesse. Nel 1933 don Zeno creò, in provincia di Modena, l'Opera Piccoli Apostoli: famiglie a cui venivano assegnati bambini abbandonati e che costituirono l'embrione della futura Nomadelfia.

Le vie dell'affido sono due. Il bambino viene accolto da una delle famiglie di Nomadelfia, oppure da una cosiddetta mamma di vocazione.

Si tratta - queste ultime - di donne che scelgono di restare nubili a vita e che ricevono in affido un numero variabile di bambini abbandonati. VICE News ha parlato con Edda, una mamma di vocazione che oggi ha 72 anni, di cui gli ultimi quaranta passati a Nomadelfia.

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Edda, mamma di vocazione. Vive a Nomadelfia dal '75, ha avuto 16 figli in affido. Oggi ha 72 anni

"Ho avuto sedici figli in affido che però adesso sono andati tutti via" racconta. Man mano che i figli in affido crescono, ne vengono presi altri. "Sono arrivata ad averne dodici tutti insieme in casa" aggiunge Edda, che in realtà ne ha avuti anche pochi: Norina, nomadelfa deceduta nel 2012, ha avuto nel complesso 74 figli in affido, e non è stata la sola a raggiungere cifre simili.

Tuttavia, quella delle mamme di vocazione è ormai una pratica in forte declino a Nomadelfia, come ci racconta Paolo: "Quasi più nessuno delle nuove generazioni prende questa strada, le uniche mamme di vocazione rimaste nella comunità sono ormai anziane."

Uno degli aspetti più peculiari della comunità, tuttavia, riguarda quello del voto politico. La procedura è molto particolare: nelle settimane precedenti alle elezioni nazionali, si svolgono dei confronti tra i maggiorenni della comunità, con il fine di scambiarsi le idee ed analizzare i diversi programmi elettorali.

Attraverso vari round di discussione si arriva poi alla scelta di un candidato comune, o di un partito, che la popolazione di Nomadelfia voterà poi in massa. Si tratta insomma di una sorta di voto collettivo, piuttosto che personale e segreto.

"Abbiamo votato di tutto, dalla destra alla sinistra" racconta a VICE News Paolo, sottolineando come a loro interessino i temi dell'equità sociale, della famiglia e della protezione dei più deboli.

Paolo afferma che Nomadelfia è un modello sociale a sé, una proposta alternativa al mondo esterno. Ma questo non vuol dire che a loro non interessi quello che succede al di fuori. Al contrario, il loro obiettivo è diffondere quanto più i loro principi e i loro valori al di là dei confini della loro comunità. Ecco perché per loro votare è importante.

Il cimitero di Nomadelfia. Nato nel 2000, attualmente ospita circa una trentina di tombe, sulle quali non ci sono i cognomi: a Nomadelfia non si usano

Malgrado la tradizione bipartisan ormai consolidata, per lungo tempo è stato azzardato un parallelo politico tra l'organizzazione burocratico-economica socialista, e il modello di società che sta alla base di Nomadelfia.

Da qualcuno, infatti, don Zeno è considerato un 'sacerdote rosso'. Furono proprio questi suoi ideali a causargli le antipatie delle gerarchie ecclesiastiche e delle istituzioni italiane. In Dizionario del Novecento, Enzo Biagi ne parla così: "Non tutti capivano il piccolo mondo di questo strano sacerdote che pensava da cristiano e fu perseguitato come comunista."

Prima di andarcene, Paolo in parte respinge e rivede questo paragone con il catto-socialismo: secondo lui, è il socialismo stesso che in alcuni aspetti si è ispirato al Vangelo. "Se io ho venti, mi tengo dieci e ne dò dieci al mio vicino, perché è il Vangelo che ce lo dice: e poi lo ha detto anche Marx che Gesù fu il primo comunista della storia."

L'articolo era apparso originariamente su VICE News.