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Che cos'è la 'neve rossa' e cosa ci racconta del nostro mondo attuale

I ricercatori hanno analizzato la "neve di sangue" per indagare le complesse interazioni tra alcuni microrganismi e il cambiamento climatico.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT
Neve rossa
Fotografia di copertina di Jean-Gabriel/ VALAY/ JARDIN DU LAUTARET/UGA/CNRS

Frasi come “ghiacciaio di sangue” o “neve insanguinata” sembrano provenire da un film dell’orrore. Eppure, si riferiscono a un fenomeno legato alla fioritura di una nuova vita, prodotta da minuscoli organismi che hanno colonizzato diversi habitat montani: si tratta di un’alga verde che induce nelle nevi una strana tinta rossastra.

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Le alghe sono tra le forme di vita più diversificate e diffuse sulla faccia della Terra, dunque non sorprende scoprire che abbiano raggiunto alcune delle vette più alte al mondo. Tuttavia, la crisi climatica sta accelerando lo scioglimento dei ghiacciai di questi habitat e potrebbe stravolgere le colonie di alghe e i più ampi ecosistemi che fanno affidamento su di loro.

Per questa ragione, alcuni scienziati europei hanno formato ALPALGA, un progetto collaborativo per studiare e comprendere meglio le alghe alpine che, secondo uno studio pubblicato su Frontiers in Plant Science, svolgono il ruolo di “produttori primari,” specie pioniere e “indicatori potenziali del cambiamento climatico.”

“Ho visto scomparire interi ecosistemi. Non in un secolo, ma in dieci anni,” racconta l’autore dello studio, Eric Maréchal, direttore del laboratorio di fisiologia cellulare e vegetale, un’unità congiunta di CNRS, CEA, INRA e Università di Grenoble. “Questo, in particolare, è molto fragile.”

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In un certo senso, la fragilità di questi ecosistemi risulta controintuitiva, visto che la proliferazione di queste alghe sfumate di rosso, porpora e arancione indica in realtà la presenza di una vita rigogliosa. In ogni caso, questo fenomeno è comune sulle cime delle montagne e nei ghiacciai di tutto il mondo: dalla Sierra Nevada alla catena dell’Himalaya, passando per le distese ghiacciate della Groenlandia—tanto che per diversi secoli ha scatenato mille diverse congetture tra gli appassionati di montagna, i naturalisti e gli esploratori dei poli.

Ora però gli scienziati hanno scoperto che l’effetto è dovuto a una strategia adattativa determinata dall’arrivo dell’estate, che porta con sé il disgelo e intense radiazioni solari comprendenti i raggi ultravioletti. Come si desume dal nome, le alghe verdi sono proprio di questo colore, però la stagione calda innesca la produzione di un rosso pigmento carotenoide che in pratica le protegge dal Sole.

In più, il pigmento abbassa il potere riflettente della neve e accelera così il disgelo che garantisce alle alghe l’acqua necessaria per prosperare. In questo modo, le microalghe assumono un ruolo importante nei processi del cambiamento climatico, visto che accentuano il tasso di perdita delle nevi alle altitudini più elevate. Inoltre, l’inquinamento causato dalla specie umana ha raggiunto anche le vette più alte e stimolato ulteriormente la crescita di questi organismi, allo stesso modo in cui ne ha acuito la fioritura all’interno degli ambienti marini e d’acqua dolce.

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Per tutte queste ragioni, non è improbabile che sul breve termine le colonie d’alghe traggano beneficio dall’aumento delle temperature, dall’inquinamento e dall’incremento del diossido di carbonio (o anidride carbonica) nell’atmosfera. Tuttavia, sul lungo termine l’impatto del cambiamento climatico potrebbe risultare devastante anche per loro.

Maréchal ha sottolineato che negli ultimi decenni sono ormai moltissimi i racconti che ne suggeriscono una maggior presenza sulle Alpi. Dunque, il progetto ALPALGA è impaziente di contenerle, in quanto fattore potenziale del cambiamento climatico—al tempo stesso sia vittime che beneficiarie. “Sospetto siano aumentate perché le ho viste crescere,” sostiene Maréchal. “Ma abbiano bisogno di procurarci i dati.”

A questo scopo, Maréchal e i suoi colleghi hanno fornito nel nuovo studio una panoramica esaustiva delle alghe alpine, analizzando meticolosamente 158 campioni del suolo raccolti nel 2016 da cinque diversi siti, posti a un’altezza compresa tra i 1.250 e i 3.000 metri—Chamrousse, Loriaz, Anterne, Ristolas e Vieux Chaillol, tutti nelle Alpi francesi.

La squadra ha individuato il DNA ambientale dei campioni, composto dai frammenti genetici persi dagli organismi. Ciò ha permesso di ricostruire un assortimento di dozzine di specie di microalghe a diverse altitudini, con livelli differenti di pH e varie condizioni ambientali. I risultati hanno rivelato che alcuni gruppi di alghe, come ad esempio i Sanguina, sono più abbondanti sopra i 2.000 metri, mentre altri come i Symbiochloris vivono esclusivamente sotto i 1.500 metri.

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Uno dei fattori chiave emersi per i Sanguina è la dipendenza da un ambiente stabile dal punto di vista delle temperature, garantito dal manto nevoso per tutto l’inverno. Dunque, se la stagione nevosa dovesse accorciarsi ancora di più, potrebbe compromettere il ciclo vitale degli organismi in questione. Il che sarebbe particolarmente preoccupante, visto che si tratta della base ecologica che fornisce gli elementi nutritivi a molte altre forme di vita.

Se consideriamo le alghe come motori fotosintetici di questi ecosistemi, ne deriva che costituiscono “le basi della rete trofica, o alimentare,” rilancia Maréchal. “Dunque, se i ‘produttori primari’ si distaccheranno dalle altre specie, ci saranno delle conseguenze. Non si tratterà necessariamente d’un impatto nocivo per l’ecosistema, ma di sicuro comporterà un cambiamento. Forse l’ecosistema si riorganizzerà in nuove comunità.”

La nuova ricerca fornisce un censimento iniziale delle microalghe nelle Alpi, insieme a un po’ di indizi—riguardanti la diffusione e il funzionamento—sui quali ALPALGA ha intenzione di costruire il lavoro futuro. Un tale lavoro potrà aiutare a prevedere il modo in cui queste specie chiave, e gli ecosistemi che supportano, reagiranno all’aumento delle temperature globali nei decenni a venire.

“Ci stiamo lasciando alle spalle il vecchio mondo,” sostiene Maréchal. “Per me è un fatto molto triste, visto che adoro le montagne innevate. È come se fossi nostalgico in anticipo, perché sono ormai già in corso di sparizione e durante l’arco della mia vita le vedrò scomparire del tutto. Cerco quindi di immortalarle nei miei ricordi con quanti più particolari possibili.”

“Ma è anche un momento molto affascinante per uno studioso, considerando che testimonieremo l’arrivo di un nuovo mondo,” conclude. “Non sappiamo come sarà, ma sappiamo che la vita sopravvivrà. Verranno a crearsi nuove comunità, nuove intese tra organismi e assetti organizzativi.”