pecorino con argilla sardo
Tutte le foto di Diego Marmi
Cibo

Questo pecorino nell'argilla racconta la storia pagana della Sardegna

Nel cuore della Sardegna si produce l'Axridda, un pecorino stagionato nell'argilla, che parla di riti antichi e della forza di volontà di un giovane produttore.
Alla ricerca di piatti e ricette dimenticate in giro per l'Italia.

“Dopo essere stati pagani qui vogliono continuare ad essere pastori. Fare formaggio continua ad essere un rituale, un simbolo”

Mentre guardo le mani di Rino Farci che impastano d'argilla il pecorino, mi torna in mente la scena a cui ho assistito poche ore prima: uomini che intingevano le mani nelle ceneri bagnate di un grande pezzo di sughero e, con questo intruglio nero si impastavano braccia e viso, tramutandosi in esseri mitologici.

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Ma facciamo un passo indietro: mi trovo a Escalaplano, nelle selvagge terre a cavallo tra il Gerrei e l'Ogliastra, Sardegna centro-orientale. Terre di pastori, birre Ichnusa e pick-up che sfrecciano tra strade sterrate e vicoletti paesani. Da tempo immemore qui si produce il formaggio Arxidda — in sardo vuol dire argilla e la “x” si legge come la “j” in francese — e si continuano a praticare arcaici rituali.

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Tutte le foto di Diego Marmi

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“Su Boi” (il bue) e “S'Ommadore” (il domatore) sono le maschere pagane sopravvissute alla modernità e alla censura ecclesiastica, grazie alla libertà del carnevale di sovvertire le regole sociali. Sono rimasto scioccato nel vedere quelle persone, con cui parlavo fino a qualche minuto prima, scomparire sotto i loro costumi. In particolare la maschera di Su Boi s'impadronisce del partecipante e lo trasfigura nel bue, nella bestia, in quell'animalità che annichilisce i problemi umani.

Mascherarsi è un rito di purificazione di una società legata in modo indissolubile con il mondo animale. Qui il bestiame ha un valore simbolico, affettivo, culturale e identitario. 

L’argilla, estratta da cave locali, ha il potere di conservare le forme anche a temperatura ambiente. Grazie al rivestimento in argilla il pecorino può continuare il suo processo di evoluzione in una lenta stagionatura.

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Rino e le sue pecore

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Incontro Rino Farci al bar nella grande piazza nel centro di Escalaplano, accompagnato da Stefania Olloi e Giorgio Mellis del GAL SGT (Sarrabus Gerrei Trexenta): un gruppo di azione locale che, attraverso fondi e progetti, supporta la crescita territoriale. Rino è un allevatore di pecore che ha saputo, attraverso il suo formaggio Axridda, uscire dai confini del suo territorio. Quando gli chiedo il perché della sua scelta di allevare pecore, la risposta è molto semplice e diretta: “è quello che mi piace fare”. Poi aggiunge pensoso: “per la libertà di non avere padroni.” 

“Essere senza padroni” spesso significa dover lottare contro qualcosa e lo scopro attraverso la diffidente accoglienza di Rino. Iniziamo a parlare e subito emergono storie di faide paesane (dipinte meravigliosamente nella canzone Zirichiltaggia di Fabrizio De André) che in Sardegna hanno in un certo senso una loro tradizione storica. Ben presto Rino si scioglie e comincia a raccontarci la sua storia e quella dell'Axridda, ma soltanto dopo aver ordinato dell'Ichnusa – che nei bar sardi servono con un tovagliolino avvolto sul collo della bottiglia.

“Si avvicinano spontaneamente le pecore. Il nostro incontro ha scombussolato i piani della giornata e la mungitura mattutina è stata rimandata”

Dopo aver terminato gli studi superiori e aver tentato il percorso universitario, Rino ha deciso di continuare il lavoro di suo padre: il pastore. Fin da subito ha creduto che il formaggio Axridda, prodotto unico del territorio di Escalaplano, potesse andare lontano e grazie alla valorizzazione dell’Axridda potesse fare altrettanto anche il suo lavoro di allevatore: la trasformazione diretta infatti permette di valorizzare al massimo il proprio lavoro e la propria passione. Oggi la maggioranza del latte di pecora sardo viene venduto a pochi centesimi al litro per diventare pecorino romano. L’allevamento sardo viene mantenuto a galla da finanziamenti e premi, che spesso si rivelano essere un freno allo sviluppo del piccolo artigianato caseario locale. 

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Stufo di essere costretto a sottostare al sistema dei grandi consorzi, mentre imparava i segreti del mestiere, Rino ha arricchito il suo percorso con un corso di assaggiatore ONAF e si è avvicinato al mondo di Slow Food, fino a dare vita al presidio del formaggio Axridda e a ricevere il premio di Resistenza Casearia all’evento di Slow Cheese nel 2019.

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Rino

Le chiacchiere si dilungano e arriva l’ora di pranzo: quale migliore occasione per degustare l’Axridda? A bordo del suo pick-up ci avventuriamo quindi per strade sterrate verso Sa Trona, il luogo in cui pascolano le sue greggi. Ad accoglierci ci sono bianchissimi cani pastore che salutano Rino; poco dopo, si avvicinano spontaneamente anche le pecore, in attesa di essere munte - il nostro incontro ha scombussolato i piani della giornata e la mungitura mattutina è stata rimandata. 

“Il pecorino lascia trapelare i profumi delle piante che abbondano in questo territorio: mirto, lentisco ed elicriso”

Merenda Sarda Formaggio Axridda.jpg

Il Formaggio Axridda

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Lasciamo le macchine e ci piazziamo sopra a un enorme pietrone sospeso nel vuoto che dà il nome a questa zona - “Sa Trona”, che significa “il trono”. Rino estrae da una busta diverse forme di pecorino, un grande pezzo di pancetta e, ovviamente, delle bottiglie di Ichnusa. Mentre con il suo coltello da pastore imbandisce un tagliere di tutto rispetto, comincia a  raccontare i segreti dei suoi formaggi. “Ogni forma è differente”, dice, “il lavoro artigianale mi regala ogni giorno una nuova sorpresa, una nuova scoperta e una nuova sfida”. Da sempre la lavorazione del latte di pecora (di razza sarda) viene fatta a crudo con la sola aggiunta di caglio e sale. Assaggio tre stagionature diverse: uno di pochi mesi, una media stagionatura di sei e l’ultimo di un anno e mezzo. Il pecorino, per essere trasformato in Arxidda, deve avere una stagionatura di due o tre mesi per potersi stabilizzare, per poi essere trattato con l’argilla. 

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Mi godo il panorama, i sapori intensi del pecorino mi travolgono mentre i cuccioli di cane pastore si avvicinano furtivi al nostro banchetto. Il pecorino più fresco è morbido, con una lieve occhiatura (i forellini tipici di alcuni formaggi) e un sapore deciso, lascia trapelare i profumi delle piante che abbondano in questo territorio: mirto, lentisco ed elicriso. Il secondo formaggio, già trattato con l’argilla, è stranamente privo di occhiatura - Rino comincia a elucubrare sulle possibilità di una lunga stagionatura per forme simili. Il sapore cresce di intensità, il gusto amaro-acidulo lascia in bocca un retrogusto morbido che a sorpresa ricorda i cavoletti di Bruxelles. È sicuramente nelle lunghe stagionature che l’Axridda esprime a pieno le sue caratteristiche: la piccantezza si fa persistente ma non eccessiva, gli aromi sono più netti e il formaggio continua a conservare un’inaspettata freschezza, nonostante la pasta sia decisamente più dura.

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Lascio Rino alla sua giornata lavorativa mentre resta fermo a contemplare le sue montagne: un’immagine di pace che sintetizza alla perfezione il suo “essere senza padroni”. Lo incontro nuovamente soltanto a tarda serata, dopo aver assistito al rituale di Su Boi e S’Ommadore. Ha appena finito di mungere le sue pecore e il latte è già nel paiolo, pronto per la cagliata. Aspettiamo insieme che il caglio di capretto agisca sul latte e separi le parti grasse dal siero.

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Rino mi mostra il suo laboratorio e mi spiega che, in questo periodo di inizio estate, le pecore producono meno latte ma con una resa maggiore - le piante infatti sono ancora ricche di germogli. Le stanze per la stagionatura sono piene di forme, il lavoro è tanto e Rino è continuamente preso da nuove idee da sperimentare. Dopo aver realizzato la forma del giorno, finalmente arriva il momento di assistere alla trasformazione del  pecorino in Axridda.

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Sopra un tavolinetto traballante c’è una forma di tre mesi, una ciotola di argilla e dell’olio di lentisco. Il lentisco, chiamato anche lentischio, è una pianta selvatica (della stessa famiglia del pistacchio) che produce delle piccole bacche da cui si ricava un olio molto profumato. Un tempo le famiglie più povere usavano quest’olio in cucina perché quello di oliva era molto più raro e costoso. Oggi l’olio di lentisco arriva a costare fino a duecento euro al litro e le sue proprietà benefiche (anche in campo dermatologico) sono ricercatissime.

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Massaggiatura Formaggio Axridda.jpg
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La forma di pecorino viene massaggiata con l’olio di lentisco per poi subire una prima spolverata di argilla. Rino si bagna le mani e comincia a impastare: inizia la trasformazione e il pecorino, sotto un leggero strato d’argilla, diventa un tesoro prezioso. L’argilla, estratta da cave locali, ha il potere di conservare le forme anche a temperatura ambiente - un aspetto fondamentale in un luogo in cui le temperature sono tutt’altro che miti. Grazie al rivestimento in argilla il pecorino può continuare il suo processo di evoluzione in una lenta stagionatura.

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Formaggio Axridda Pecorino Sardo.jpg

Terminata l’operazione, Rino sfoggia orgoglioso gli attestati di qualità ricevuti: il premio di resistenza casearia di Cheese e l’attestato di eccellenza gastronomica ricevuto a Montecarlo. Prima di andare via e concludere questa lunga giornata, noto che il simbolo dell'azienda di Rino è l’osso del bacino del bue, ovvero la maschera “du S'Ommadori”. Ed ecco che tutto torna: anche l'Axridda è un rito che continua ad essere tramandato, proprio come quello delle maschere. Dopo essere stati pagani qui vogliono continuare ad essere pastori. Nonostante le difficoltà del mestiere, fare formaggio continua ad essere un rituale, un simbolo: è la sincretizzazione di questo territorio. Gli infiniti profumi e sapori dell’Axridda di Rino mi rimangono impressi tuttora: il gusto si fa rito e riesce a trascendere tempo e spazio, riportandomi in un attimo sopra quel roccione sospeso nel vuoto.


Va' sentiero è un progetto sperimentale di documentazione del Sentiero Italia, l'alta Via più lunga al mondo. Da maggio 2019 un team di ragazzi e ragazze sta percorrendo a piedi tutte le montagne italiane, fotografando, filmando e raccontando i paesaggi, i territori e le persone che vivono lungo la spina dorsale del nostro paese.

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