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Com'è iniziare a seguire il calcio dopo i 25 anni

Dopo secoli passati a snobbarlo a differenza della stragrande maggioranza dei miei coetanei italiani, a 26 anni ho scoperto il calcio.
L'autore mentre legge La Gazzetta. Foto di Vincenzo Ligresti.

Non ho alcun ricordo sportivo nitido legato alla mia infanzia. So di aver simpatizzato per l'Inter, per qualche anno: era la squadra di mio nonno, scomparso troppo presto per trasmettermi qualcosa che assomigliasse al concetto di "tifo" e non abbastanza attaccato alla squadra cittadina—la Cremonese—da farmi desiderare di essere portato allo stadio ogni settimana.

All'epoca mi limitavo a fare le figurine dei calciatori e a guardare qualche gol la domenica a 90° Minuto—non prendevamo Italia 1, zero Studio Sport per me—finché, complice il bruciore della sconfitta dell'Inter nella stagione 97/98, il me undicenne decise senza troppi rimpianti di lasciar perdere il calcio. Il fatto che quell'anno altre mie simpatie sportive come la Ferrari e Schumacher persero il mondiale F1 all'ultimo gran premio non aiutò, convincendomi anzi a disinteressarmi del tutto allo sport.

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Il pomeriggio di quest'ultimo 28 maggio invece ero davanti al portatile a guardare uno stream di Diretta Gol. Volevo vedere che cosa sarebbe successo al Crotone, considerato cadavere da mesi e mesi e poi improvvisamente rinato, uscito a calci da una bara in cui era stato seppellito vivo dalla sfiga e dalle pressioni mediatiche. Si giocava la salvezza all'ultima di campionato contro una Lazio in annata di grazia, sperando in una sconfitta del diretto avversario Empoli da parte del Palermo ormai retrocesso.

Come potete vedere dal video qui sopra, alla fine gli è andata bene: un'ora e 30 e tre gol più tardi il Crotone era salvo, l'Empoli tornava in Serie B, Davide Nicola cominciava a pensare ai chilometri che avrebbe dovuto farsi col culo sul sellino e io provavo una certa soddisfazione. Perché mi stavo rendendo conto che, dopo 26 anni di vita, il calcio aveva cominciato a darmi qualcosa in cambio della mia ritrovata attenzione. -

Un tifoso guarda le partite perché prova passione seguendo l'andamento della sua squadra: è coinvolto sia mentalmente che fisicamente in ciò che vede. Se seguite il calcio da quando siete infanti e vedete la vostra squadra dominare tutta la partita solo per essere rimontata in sette minuti, probabilmente cadete in un burrone di rifiuto, ripugnanza e disperazione—insomma, quello che provate se siete milanisti e vi dico le parole "finale di Istanbul" (sadomasochisti, cliccate pure sul video qui sotto).

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Anch'io fruisco della materia-calcio tramite un filtro emotivo, ma rispetto a un tifoso la mia è partecipazione: mi interessa vedere che cosa succede, seguire variabili che di giornata in giornata diventano fatti. Quindi rimonte inaspettate e goleade sofferte non fanno che intrattenermi. Certo, ci ho messo un po' a come godermi al meglio la narrazione di ogni singola partita: all'inizio, guardarne una significava cazzeggiare con amici e aspettare il gol. Con il tempo, l'abitudine e la lettura è diventato impegnarmi a capire come funzionano le azioni e gli schemi, imparare a riconoscere giocatori, allenatori e giornalisti per le loro qualità e i loro difetti, e infine mettere insieme decine di storie interconnesse che compongono la macro-narrazione del campionato.

È più o meno dalla metà della stagione 2015/2016 che ho cominciato a rendermi conto che trovavo davvero piacevole guardare le partite. Stavo a Londra e condividevo la camera con un amico milanista, e sotto allo schermo della TV c'era una PS3 con una copia di FIFA 16. A tutto questo unite molta erba e una situazione piuttosto fluida di coinquilini provenienti da mezzo mondo, tutti con un bagaglio calcistico da usare come terreno comune per iniziare a chiacchierare. Nel mio cominciare a seguire il calcio c'è stato quindi anche un elemento sociale: nell'anno dell'incredibile, assurdo miracolo del Leicester non ho neanche dovuto fare troppa fatica a trovare una trama avvincente da seguire. È stato più o meno come seguire la prima stagione di una serie TV della madonna: è solo naturale voler vedere la seconda, e la terza, e la quarta, all'infinito, con la rassicurante certezza che non ce ne sarà mai un'ultima e la garanzia di caterve di sottotrame ogni anno.

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Trovo molto interessante anche come la materia calcistica viene raccontata. Ho sempre letto di ciò che mi piaceva—non voglio chiedere ai miei genitori quanti soldi gli ho fatto spendere in riviste che parlavano di metal e videogiochi—e il calcio non fa eccezione. Fin dall'inizio la visione del calcio si è accompagnata, in me, a un tentativo di avere un'infarinatura storico-tattica del gioco, così da non sembrare un babbo quando i miei amici usano il termine "salida lavolpiana". Per farlo non ho potuto certo affidarmi alla stampa generalista nostrana, ma fortunatamente ormai esistono canali perfetti per far approcciare allo sport quasi-adulti che non hanno mai toccato un pallone in vita loro se non perché obbligati al liceo, durante una lezione di educazione fisica. Probabilmente se fate partitelle dalle elementari non provate il bisogno di leggervi, chessò, una narrazione dell'anno di Luis Enrique ad allenare la Roma o spiegazioni tecniche della terminologia calcistica: per me, invece, è parte fondamentale della fruizione sportiva.

Il che non significa che non mi piaccia anche seguire l'informazione generalista. È davvero curioso come le principali testate italiane decostruiscono gesti e frasi, affibbiano significati arbitrari a dichiarazioni innocue. Trovo piacevole guardare le interviste post-partita dei calciatori e degli allenatori e il loro canovaccio retorico: il pensiero è sempre alla prossima partita, che è sempre difficile, anche se contro la Juve Stabia. E adoro il modo in cui un gruppo ristretto di opinionisti costruisce quasi dal nulla grandi epiche giornalistiche creando un enorme campo comunicativo a cui milioni di persone attingono per riempire le proprie conversazioni. Nei mesi scorsi, per dire, si è parlato di Conte e Simeone all'Inter per ore e ore senza che ci fosse mai un vero segnale che avrebbero potuto cambiare squadra.

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Personalmente, nel calcio adoro la ricerca ossessiva della favola come del bel gioco, e so apprezzare sia le sorprese che le riconferme: mi possono esaltare in ugual modo l'irripetibile parabola del Leicester come una partita perfetta del Napoli di Sarri, il Sassuolo che batte l'Athletic Bilbao come Ronaldo che tutti asfalta e tutto vince spezzando tanti cuori quanti ne fa battere. Finché succede qualcosa che poi merita di essere raccontato, io sono felice. E il calcio è uno sport che ti dà sempre qualcosa di cui parlare, tra arbitri cornuti e falli inesistenti e rigori non dati e gol clamorosi e truffe e scandali e voci e dichiarazioni.

A intensificare definitivamente il mio interesse nei confronti del calcio, però, è stata l'elezione di Trump. Sono piuttosto fatalista per quanto riguarda le cose del mondo, ma il flusso ininterrotto di brutte notizie arrivate nell'ultimo anno mi ha portato a cercare una forma di isolamento mediatico. A un certo punto ho nascosto dal mio feed di Facebook tutte le pagine di news a cui avevo messo like, deciso a sapere quello che succedeva nel mondo solo quando volevo davvero farlo. E così invece di spararmi longform sulla minaccia nucleare nordcoreana mi sono trovato sempre più spesso a leggere di sport e a trarne un certo senso di pace. Passare tempo a informarmi sul calcio, per me, è un palliativo contro la consapevolezza che il mondo in cui vivo sta andando a scatafascio.

Quando qualcuno ha messo una bomba sul tragitto del pullman del Borussia Dortmund, lo scorso aprile, ho provato un misto di resa e delusione—ma è stato anche un modo per rendermi conto che costruirmi attorno una camera di deprivazione sensoriale a forma di pallone non poteva essere una soluzione sana alle mie paure. Inoltre, mi ha fatto capire che quel senso di unione e condivisione e promozione di valori progressisti che dovrebbe essere la base dello sport non è una cazzata, anzi. Quando vieni a sapere di cose-del-calcio solo per argomenti come Calciopoli o Sepp Blatter, come è stato per anni per me, viene facile costruirsi l'immagine di un mondo corrotto, violento e retrogrado. Guardandolo ogni settimana ti rendi conto che è vero, lo è—ma anche che può non essere così.

Al momento mi sto divertendo col mio primo, vero calciomercato: ho seguito con gioia il tradimento-non-tradimento di Donnarumma e le recenti infamate a Bonucci, il ritorno di Rooney all'Everton che lo aveva generato, le frustrazioni di Conte che si vede fregare Lukaku da Mourinho, le improbabili valutazioni della Premier League. A inizio agosto sarò a San Siro con amici milanisti a guardare il primo turno preliminare di Europa League contro i romeni dell'Universitatea Craiova.

Ieri mattina sono andato a fare colazione con la mia ragazza, che negli ultimi mesi è stata ben felice di essere tirata dentro a questa giostra del calcio assieme a me (facciamo schedine tra di noi con in palio merende, cose così). Siamo entrati nel bar e, mentre ordinavo i caffè, lei si è seduta al tavolino con su i giornali. Mentre il ragazzo li portava via, convinto che ci avrebbero dato fastidio, gli è arrivata una voce: "No, La Gazzetta la legge!"