Salute

Puoi indovinare il battito cardiaco di una persona solo guardandole il viso

Uno studio dimostra che è possibile collegare una persona alla sua frequenza cardiaca guardandola in video—con implicazioni importanti sulle nostre capacità empatiche.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT
Cuore su sfondo rosso

All’inizio di Blade Runner, il film del 1982, un personaggio di nome Leon viene sottoposto a un colloquio piuttosto teso per stabilire se sia un replicante, cioè un umanoide bioingegnerizzato, o un normale essere umano. Lo spettatore percepisce subito il nervosismo della scena attraverso il comportamento di Leon, ma soprattutto grazie a un sottile rumore di fondo: il suo battito cardiaco—più s’innervosisce, più il ritmo del cuore riflette la sua agitazione.

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Il rumore di un cuore pulsante viene spesso usato nei film per amplificare l’intensità emotiva di una sequenza, e ciò accade perché la frequenza cardiaca è direttamente collegata alle nostre sensazioni e ai sentimenti. Se il cuore ti batte a gran velocità, è probabile che tu stia vivendo un momento emotivamente molto intenso.

Nella vita reale, tuttavia, a meno che qualcuno non ti stia prendendo il battito al polso, la frequenza cardiaca viene percepita soltanto da te. Eppure, uno studio pubblicato sulla rivista Cortex indica che forse non è sempre così: alcune persone sono infatti riuscite a indovinare il battito cardiaco altrui semplicemente guardandone il volto in video per dieci secondi—e riescono a farlo talmente spesso da scongiurare il rischio che si tratti di pura fortuna.

Dato il collegamento tra il cuore e gli stati emotivi, ciò fa sorgere delle domande piuttosto intriganti relative al campo della sensibilità interocettiva—cioè l’abilità di percepire il proprio battito cardiaco e altre sensazioni fisiche interne al corpo (in opposizione alla sensibilità esterocettiva, quella rivolta ai segnali provenienti dal mondo esterno).

Per definizione, la consapevolezza interocettiva è di solito pensata nei termini della persona singola, ovvero tarata sulle sensazioni fisiche individuali. Ciononostante, questo nuovo studio rivela che è possibile percepire “visivamente” l’interocezione altrui, un fatto che potrebbe avere enormi implicazioni sul modo in cui ci relazioniamo agli altri e ne percepiamo lo stato d’animo.

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A un livello elementare, l’interocezione aiuta il cervello a mantenere in vita il corpo: è così che ci rendiamo conto di avere fame o freddo. Tuttavia, queste stesse sensazioni fisiche hanno delle interazioni complesse con i nostri pensieri ed emozioni.

Tendiamo infatti a utilizzare l’insieme dei segnali provenienti dal corpo come parte dell’impalcatura su cui costruiamo le emozioni, spiega James Kilner, un neuroscienziato dell’University College di Londra, nonché autore senior della ricerca. I nostri cuori, ad esempio, reagiscono in fretta a certi stati emotivi.

La neuroscienziata Sarah Garfinkel in particolare studia come il modo in cui percepiamo il battito cardiaco sia legato al nostro stato mentale, e ha scoperto che il battito del cuore può influenzare come e quanto intensamente proviamo le sensazioni. La precisione potenziale con la quale sentiamo—o pensiamo di sentire—il ritmo cardiaco può essere associata a diverse condizioni e patologie: se ad esempio interpretiamo male la nostra “accuratezza interocettiva” lo dobbiamo all’ansia (infatti durante gli attacchi di panico, nei disturbi alimentari o con la depressione sono stati osservati vari deficit interocettivi).

Visto che poi di solito le persone non si mettono a spiegare a ogni istante quello che provano, bisogna spesso intuire lo stato d’animo altrui a partire dagli “indizi” visivi a disposizione. Alex Galvez-Pol è un neuroscienziato cognitivista presso l’Università delle Isole Baleari, nonché primo firmatario e autore del paper su Cortex, e insieme a Kilner ha cominciato quindi a chiedersi se sia possibile ‘captare’ l’interocezione altrui, considerando che l’essere umano è un animale sociale. “Forse il battito cardiaco funziona come una specie di faro in grado di segnalare agli altri come ci sentiamo,” ragiona Galvez-Pol.

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Durante lo studio che ha dato vita al paper, 120 partecipanti hanno guardato 10 secondi di video di due persone l’una di fianco all’altra, abbinato alla rappresentazione visiva di uno dei due battiti cardiaci. Dopo è stato chiesto loro di scegliere la persona che pensavano fosse rappresentata dalla pulsazione cardiaca. Parecchi partecipanti sono riusciti ad associare correttamente la combinazione molte più volte di quanto ci si potesse aspettare.

Possiamo dunque ipotizzare che utilizziamo il nostro battito cardiaco, insieme ad altri segnali interni, per dare forma alle nostre emozioni e ai sentimenti. Forse è proprio la possibilità di “accedere” a questo stesso tipo di segnale nelle altre persone che ci permette di capire come si sentono, nonché di empatizzare con loro.

Manos Tsakiris, un professore di psicologia alla Royal Holloway University di Londra e direttore del Center for the Politics of Feelings, sostiene che in effetti conoscere la frequenza cardiaca di un’altra persona potrebbe giocare un ruolo nel riconoscere lo stato emotivo altrui. Chiamiamola pure lettura del corpo, invece che del pensiero: se riusciamo a indovinare quello che le altre persone sentono fisicamente, abbiamo degli indizi concreti su quello che provano in generale.

Sahib Khalsa, un neuroscienziato che non ha contribuito al paper ma che lavora presso il Laureate Institute for Brain Research in Oklahoma, afferma che i nuovi dati non cambiano le sue idee sull’interocezione, ma suggeriscono nuovi modi ed elementi su come usare quel tipo di segnale per interpretare la situazione emotiva delle altre persone.

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Gli autori dello studio ancora non sanno spiegare come i partecipanti abbiano indovinato la correlazione tra un volto e il suo battito cardiaco. Però hanno scoperto che questa abilità diminuisce quando la faccia della persona viene alterata—ad esempio, se viene messa sottosopra o se viene mostrata un’immagine statica invece di un video. Forse il motivo è che tendiamo a cogliere diversi e sottili stimoli visivi come i cambiamenti nel colore dell’incarnato di un volto, o i suoi movimenti. Può anche darsi che le ipotesi vengano formulate a partire dal genere di una persona, dalla percezione della sua salute o grado di forma fisica, oppure ancora dall’età.

Questo tipo di associazioni è interessante, sottolinea Kilner—ma da dove derivano e dove le abbiamo imparate? In ogni caso, tutto ciò evidenzia l’intima connessione tra quello che pensiamo accada in un corpo e come questo si relaziona alla persona nella sua interezza.

Un paper preparatorio precedente alla pubblicazione e andato online il 29 marzo ha riprodotto questi risultati ma ha anche aggiunto rilevazioni ulteriori. I ricercatori e la prima autrice Irena Arslanova hanno indagato anche quanto le persone fossero in grado di stimare o determinare il proprio battito cardiaco personale—l’“accuratezza interocettiva.” Il procedimento viene spesso realizzato chiedendo semplicemente di contare le proprie pulsazioni senza prenderle dal polso, per poi paragonare il risultato con una misurazione effettiva.

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In questo modo si è scoperto che chi sovrastima la propria accuratezza interocettiva di solito è anche meno abile nell’indovinare il battito cardiaco altrui. Chi invece tende a sottovalutare le proprie abilità interocettive non mostra la stessa correlazione. Trattandosi comunque di una versione antecedente alla pubblicazione e alla peer-review, bisogna considerare questi risultati solo come scoperte preliminari, che potrebbero poi subire dei cambiamenti. Tuttavia, si tratta di dati in linea con i lavori precedenti, secondo i quali una bassa accuratezza interocettiva potrebbe provocare effetti a cascata.

Tsakiris, autore senior dello studio, conferma che queste considerazioni vanno a sommarsi a un numero crescente di ricerche che dimostrano quanto la metacognizione—ovvero la coscienza critica delle proprie abilità e capacità—sia fondamentale. “Indipendentemente dal fatto che tu sia in grado di fare o meno una cosa, è importante esserne consapevoli,” spiega. Pensare di poter fare qualcosa potrebbe condurre a ipotesi errate e a non ragionare a dovere. Mentre sapere di non essere in grado di realizzare un dato compito potrebbe portare a prestare maggiore attenzione e prudenza, a cercare altre informazioni prima di formulare un giudizio.

Sappiamo già che le persone con un’accuratezza interocettiva molto alta possono fare esperienza delle proprie emozioni più intensamente. Nel 2018, Tsakiris e Clare Palmer hanno scritto un paper scientifico che suggeriva che l’accuratezza interocettiva potrebbe essere associata alle competenze cognitive di tipo sociale, come ad esempio il riconoscere le emozioni altrui e l’indovinare lo stato d’animo delle altre persone.

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Chi ha un disturbo d’ansia generalizzato, come confermato da un recente studio di Khalsa pubblicato su JAMA Psychiatry, di solito ha anche una bassa abilità interocettiva. “Se soffri di ansia potresti pensare di percepire molto bene i segnali del tuo corpo,” spiega Garfinkel, “ma una volta fatti i test in laboratorio è probabile che tu venga smentito.”

Secondo Kilner, ha senso che chi riesce meglio a percepire i propri stati interiori sia una persona maggiormente equipaggiata per percepire quelli altrui. “Sarebbe molto strano trovare una persona scarsa a interpretare i propri segnali ma brillante nel leggere quelli degli altri, è controintuitivo.”

In ultima analisi, l’interocezione serve sia a mantenere in vita i nostri corpi che a comprendere come le altre persone e le relazioni sociali ci fanno sentire. Ovviamente il battito cardiaco rimane un indizio molto sottile, che probabilmente non serve davvero a stabilire se una persona è spaventata o molto arrabbiata. Anche per questo, sottolinea Khalsa, bisognerà stabilire l’affidabilità di questo segnale con una serie ulteriore di esperimenti.

Per ora, la ricerca dimostra semplicemente che è possibile dedurre gli stati d’animo degli altri, ma sollecita anche altre domande sul modo in cui le persone utilizzano questa abilità e se davvero chi la sa usare al meglio sia una persona particolarmente dotata nel riconoscere le emozioni altrui. “Sarebbe davvero interessante stabilire se gli individui maggiormente abili hanno anche delle capacità relazionali ed empatiche maggiori,” chiosa Kilner. “Non sappiamo se è così, ma esistono di certo delle persone che possono svolgere questi tipo di compiti al meglio.”

Tanto più che sarebbe anche stimolante interrogarsi su quei momenti in cui vogliamo nascondere le nostre emozioni: “Quando vuoi presentarti come una persona sicura di sé, ma in realtà sei in piena ansia,” specifica Kilner. A suo dire, ci sono state volte in cui, incontrando una nuova persona, ha pensato che ci fosse qualcosa di strano. “Ora mi chiedo se era dovuto alla differenza tra lo stato interiore e la facciata che cercavano di presentare,” si chiede.

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