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Tecnologia

Il più antico antenato comune di Neanderthal e Sapiens è stato ritrovato in Italia

La nuova ricostruzione in 3D del cranio dell'Uomo di Ceprano getta luce sulla sua reale natura.
Immagini per gentile concessione degli autori dello studio.

Il fossile umano noto come Uomo di Ceprano è stato scoperto in Lazio nel 1994, ma la sua classificazione tassonomica è stato dibattuta a lungo. Ora, un team guidato da Giorgio Manzi dell'università La Sapienza di Roma ha proposto una nuova identificazione grazie alla tomografia computerizzata. Avevamo parlato di una tecnica simile usata per studiare i papiri di Ercolano senza aprirli ma, a quanto pare, è ottima anche per i crani preistorici rotti in decine di pezzi e tenuti assieme con il gesso — almeno queste erano le tecniche di recupero all'epoca del rilevamento.

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Secondo il team, l'Uomo di Ceprano appartiene a una variante arcaica di Homo Heidelbergensis il più antico antenato comune di Neanderthal e Sapiens. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature Scientific Reports. Ho contattato via mail un membro del team, Fabio Di Vincenzo, per fare luce sullo studio e capirne le conseguenze.

Il cranio di Ceprano fu ricostruito a partire da circa 50 frammenti a cui si aggiungono altri 200 piccoli elementi che non è stato possibile inserire nella ricostruzione. Immagine per gentile concessione degli autori dello studio.

"Tra tutti i reperti provenienti dalla penisola italiana, il cranio di Ceprano è in assoluto il più completo di cui disponiamo, risalente a un'epoca cruciale per l'evoluzione dell'uomo — il Pleistocene Medio. In quel periodo, è avvenuta la divergenza evolutiva che porterà, da un lato alla nascita della nostra specie Homo sapiens in Africa e, dall'altro ad altre specie come l'uomo di Neanderthal e probabilmente agli uomini di Denisova, in Eurasia," mi ha spiegato Di Vincenzo.

Considerati reperti provenienti dall'Africa e dall'Europa risalenti a un periodo che va dai 600 ai 400mila anni fa, che riguardano proprio quel momento fondamentale, quello di Ceprano presenta i caratteri anatomici più arcaici e quindi più vicini alla forma ancestrale dell'ultimo antenato condiviso da tutte queste specie, anche se ha una datazione relativamente recente — 400mila anni.

"Lo studio offre degli importanti indizi a conferma del fatto che, in base alla sua morfologia, Ceprano non rappresenta una nuova specie ma la forma meno derivata all'interno della specie Homo Heidelbergensis," ha aggiunto Di Vincenzo. "Apparteneva a una popolazione sopravvissuta fino a 400mila anni fa in un territorio isolato come doveva essere il Lazio meridionale durante l'alternanza di fasi glaciali e interglaciali del Pleistocene Medio."

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Le tre precedenti ricostruzioni del cranio di Ceprano furono eseguite sui frammenti originali uniti tramite gesso. Immagine per gentile concessione degli autori dello studio.

Il team ha svolto una rivalutazione della morfologia cranica del fossile umano di Ceprano grazie un restauro eseguito interamente in digitale. In effetti, nelle fasi iniziali del processo di fossilizzazione, il peso dei sedimenti in cui era custodito ha deformato e rotto in più parti il cranio. Così, l'identificazione del reperto ha sempre risentito delle sue cattive condizioni "durante la fossilizzazione si sono verificati lo schiacciamento e la deformazione bilaterale delle ossa della volta, e altre rotture più estese avvenute dopo il rinvenimento accidentale del cranio: una pala meccanica, tagliando i sedimenti in cui era custodito, ne causò la rottura in più di 40 frammenti grandi e più di 200 più piccoli — oltre a causare forse la perdita delle porzioni relative alla faccia e alla base del cranio." Questa era la condizione difficile di partenza che mi ha illustrato il paleontologo.

"All'epoca," ha aggiunto Di Vincenzo, "i frammenti recuperati dall'archeologo Italo Biddittu furono sottoposti a un paziente lavoro di ricomposizione facendo ricorso ad abbondanti ponti di gesso per tenerli uniti e completare le porzioni craniche mancanti," ma ciò ha solo reso più difficile effettuare delle modifiche successive, così, a seguito della necessità di comprendere meglio i dettagli dell’anatomia di questo importante reperto e fare chiarezza attorno alla sua attribuzione tassonomica, si è reso necessario rimuovere in primo luogo le aggiunte in gesso.

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I singoli frammenti del cranio di Ceprano sono stati separati grazie alla rimozione virtuale del gesso utilizzato nelle precedenti ricostruzioni del reperto. Immagine per gentile concessione degli autori dello studio.

"Per evitare ogni possibile danneggiamento, l'operazione di pulizia è stata eseguita interamente in digitale dopo che l'intero reperto è stato sottoposto a una dettagliatissima microtomografia a 40micron di risoluzione presso il Centro Internazionale di fisica Teorica Abdus Salam di Trieste. I frammenti ripuliti e separati digitalmente sono stati quindi rimontati andando a correggere alcuni errori di posizionamento preesistenti, e questa nuova ricostruzione è stata utilizzata per recuperare la morfologia originaria del cranio tramite un'operazione di deformazione inversa rispetto a quella che aveva agito durante la fossilizzazione," mi ha spiegato Di Vincenzo.

"Grazie a un'analisi simile a quella usata nell'industria per testare la resistenza di materiali per l'edilizia o l'ingegneria, è stato simulato l'effetto che il peso dei sedimenti di argilla ha avuto sul cranio di Ceprano," Di Vincenzo mi ha spiegato il procedimento: "abbiamo potuto chiarire che la deformazione aveva interessato entrambi i lati del cranio, e che allo schiacciamento registrato sul lato sinistro corrispondeva un'analoga traslazione delle ossa della volta sul lato destro ma in direzione opposta." Questi dati sono stati utilizzati per eseguire sulla ricostruzione in 3D del cranio l'operazione esattamente inversa a quella di deformazione, recuperando la morfologia originale del reperto."

La retrodeformazione del cranio di Ceprano è stata effettuata tramite acquisizione di micro-tomografia computerizzata. Immagine per gentile concessione degli autori dello studio.

L'approccio digitale allo studio dei reperti fossili ha dei grandi vantaggi: eseguire indagini approfondite in condizioni di totale sicurezza senza maneggiare fisicamente i reperti e, soprattutto, l'opportunità di eseguire diverse modellizzazioni e test per quantificare gli effetti di vari processi nel determinare le caratteristiche osservabili. Il team ha in programma di studiare altri reperti con questo metodo. Come mi ha preannunciato Di Vincenzo, infatti, "i progetti in cui siamo coinvolti sono tanti — in Europa come in Africa — uno fra tutti riguarda lo straordinario reperto neandertaliano di Lamalunga, noto come Uomo di Altamura. In questo caso l'applicazione di tecniche di indagine virtuale è assolutamente necessaria per la sua piena conservazione e valorizzazione."

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