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Uno schifo: come cambia il tuo weekend quando cominci a lavorare

Non so voi, ma di solito l'ansia per come gestisco male il tempo libero mi assale nel momento in cui saccheggio la dispensa della coinquilina.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT
weekend

Se avete aperto questo articolo, probabilmente è perché già all'università la fretta di stagionare sulla poltrona di un posto di lavoro qualunque vi attanagliava—come è successo a me. Di quel periodo, infatti, ricordo soprattutto il paradosso esistenziale: diluivamo il cazzeggio in weekend di durate quadrimestrali, per poi vivere di evidenziatori e sensi di colpa nel poco tempo che ci rimaneva durante gli esami.

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La consapevolezza che il fine settimana non dura quattro mesi, ma è un arco temporale che va dal venerdì sera alla domenica, è giunta solo dopo aver ricevuto il famoso pezzo di carta, cumulato 30 mesi di lavoro e scoperto che non portarsi il pranzo da casa incide drasticamente sul budget che potresti spendere nelle gite fuori porta che alla fine, pur avendo risparmiato sul pranzo, non organizzi mai.

Credo che chiunque inizi a lavorare sia più o meno conscio che passerà la maggior parte della sua esistenza a sottostare a dettami tayloristici, ma nessuno mi aveva avvertito che i miei giorni feriali sarebbero trascorsi pompando come un palloncino le aspettative sul fine settimana—aspettative che esplodono ciclicamente allo scoccare dell'ultimo minuto di lavoro al venerdì.

È proprio in quel momento che, lanciata l'ultima occhiata di biasimo alla tua postazione, sei pronto a varcare la soglia della libertà. Ti sei appena scrollato altri cinque giorni lavorativi, 40 ore più discussioni sul condizionamento dell'ambiente. Il pendolo che oscilla tra dolore e noia all'improvviso si stabilizza sullo zenit della felicità. La voce che rimbomba nella tua testa ti dice che potrai fare finalmente ciò che hai atteso per cinque giorni di mail in cui dimentichi di mettere gli altri in CC e consumi merendine delle macchinette. Ma è una sensazione che scema.

Non volendo tediarvi con il racconto dettagliato dei miei drammi, ho deciso di delineare lo svolgimento di un fine settimana medio di un giovane lavoratore medio—esclusi quelli in cui lavori, quelli in cui è festa e quelli in cui fai sesso. Per prepararvi alla settimana che verrà e, soprattutto, per spirito cameratesco nel caso cercaste ancora, come me, di trovare un senso nell'infinito circolo di mestizia in cui galleggiamo.

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Questo circolo parte di solito con una gigantesca macchina organizzativa per "andare a ballare" il venerdì sera, perché il venerdì sera hai ancora voglia di impiegare bene il tuo tempo libero, e questa voglia ti spinge a desiderare di dimenarti consapevolmente.

Nel frattempo hai dimenticato di nuovo, però, che in un dizionario moderno il primo sinonimo di "discoteca" è "fila". Ed è già alla prima fila, quella che avanza di un centimetro ogni 10 minuti e conduce all'ingresso del locale, che comincia a calarti la palpebra. Ma sarà solo cinque file e quattro drink dopo che, ormai sbronzo, in un frangente di lucidità ti renderai conto che l'adrenalina di metà pomeriggio ha definitivamente lasciato spazio al rimorso per non esserti barricato in casa a finire Westworld. Ed è roso da questo rimorso che ti dirigi all'uscita a fine serata, non prima di aver a stento trattenuto le lacrime alla—appunto—fila per i cappotti, in mezzo a protese ascelle sudate.

Il mattino dopo comincia con la musica a palla della coinquilina che ha impiegato meglio il suo venerdì e/o quel refolo di luce che ti illumina la faccia perché eri troppo devastato per abbassare la tapparella—e così ti svegli almeno cinque ore prima della sveglia che avevi puntato. Vorresti tornare a dormire dopo aver maledetto la coinquilina e/o la rotazione del pianeta, ma nessuna posizione ti è possibile: a ogni tentativo delle fitte pervadono il tuo corpo, per culminare in un dolore lancinante alla testa.

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Per quanto infastidito, pensi però che non tutto è perduto: hai ancora quasi 48 ore di libertà da goderti. Quindi fai un bel respiro profondo, ti riprometti che non berrai mai più e cerchi di rimediare al danno con una moka intera e del ketoprofene sale di lisina. Dopodiché torni a letto e cominci a recuperare coscienza del mondo (o di quello che pensi esserlo) scrollando la home di Facebook. E ci trovi persone che si lamentano di essere in hangover come te. Questo un po' ti rincuora: pensi che almeno non sei l'unico a essersi ridotto uno schifo agli albori del weekend che, intanto, continua a scorrere senza che tu te ne accorga.

Una volta appagato il tuo voyeruismo, arriva il momento di abbandonare la tua camera che odora di morte e dare ascolto ai crampi allo stomaco. Ma sai senza bisogno di andare a controllare che il frigo è vuoto perché lavori, quindi non hai tempo di fare la spesa, perciò dovrai coprirti fino all'anonimato per andare a comprare cibo senza farti riconoscere. Ma ecco, non hai nemmeno voglia di rischiare, e poi per la spesa c'è sempre la domenica.

Non so voi, ma di solito l'ansia per come gestisco male il tempo libero mi assale nel momento in cui saccheggio la dispensa della coinquilina più fornita. Come chiunque, vivo nel weekend delle illuminazioni in cui decido che è arrivato il momento di prendere in mano la mia vita e trasformarla in un'esistenza equilibrata. Mi riprometto che mangerò cibo sano (mio), mi porterò il pranzo in ufficio e chiamerò mia madre di mia spontanea iniziativa. Solo che nel frattempo si è fatto buio, mi sento meglio e accetto un invito per un aperitivo.

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Quando ti rendi conto di aver sprecato l'intero sabato, l'unica cosa possibile è ricominciare come se fosse venerdì—ovvero a bere. E tutti i commensali concorderanno con te, per consolarsi a vicenda con variazioni sul tema "Domani è un altro giorno."

Ecco, invece domani è domenica, e sei bolso come ieri. Sai che hai promesso a te stesso e alla coinquilina che saresti andato al supermercato, ma il portatile è ormai acceso e decidi di procrastinare ancora un po' con la navigazione in incognito. Momento in cui tua madre ti chiama e rimette in riga il tuo superego: alla chiamata seguono doccia, piatti lavati, due lavatrici, bollette pagate al tabacchi, e una toccata al supermercato dove il concetto di cibo sano si espleta in burger preconfezionati di quinoa e tre pomodori a febbraio.

Ed è così che alla domenica sera ti ritrovi infine più stanco di quando il weekend è iniziato, senza aver avuto ancora una volta il tempo di capire perché alcuni—mia madre—si ostinano a chiamarli "giorni di riposo". Io non mi riposo affatto: svilisco anzi le aspettative che avevo creato nei cinque giorni precedenti, per poi pentirmene. Prima procrastinando ciò che vorrei fare—ma che non so mai cosa sia, di preciso—poi accorgendomi che mi è rimasto a stento il tempo di fare le faccende che per tutta settimana ho rimandato.

L'unica cosa che ho imparato da tutta questa storia è che non importa come vada il weekend, a ogni domenica seguono sempre cinque giorni lavorativi in cui l'unica incentivo che ti dà la forza di continuare ad alienarti davanti a uno schermo è la prospettiva del weekend. Che già sai sarà un weekend di merda. Ma oh, non si può mai dire.

Thumbnail via Flickr. Segui Vincenzo su Instagram.