tempo da soli
Fotografie per gentile concessione di Francesco Carta fotografo

via Getty. 

Salute

Quando non trascorriamo abbastanza tempo da soli ci sentiamo disconnessi

La "mancata solitudine" è quella sensazione associata all'assenza di tempo da dedicare ai tuoi bisogni, hobby e alla tua persona.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT

A un anno dall’inizio della pandemia, sono sempre più grata di avere degli orari diversi rispetto a quelli del mio ragazzo. Mi sveglio intorno alle 6 o alle 7 di mattina e cerco di andare a letto verso le 23. Lui invece va a letto alle 2 del mattino e torna al mondo verso le 10. Le nostre giornate sono strutturate in maniera tale da riuscire a mantenere un po’ di preziosissimo tempo libero per noi stessi, mentre l’altra persona sta dormendo.

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Prima del COVID-19, presi dall’intensa vita sociale, il lavoro e i viaggi, avevamo spesso bisogno di ritagliarci un po’ di tempo ad hoc per stare insieme a dovere. Ma ora, visto che praticamente non vediamo nessun altro di persona e che lavoriamo da casa in un piccolo appartamento di Brooklyn, il benessere del nostro rapporto dipende proprio dall’assicurarci di avere dei momenti da trascorrere separatamente.

Sappiamo di essere fortunati. La solitudine si è rivelata una problematica crescente durante questa pandemia: una ricerca del 2020 condotta su oltre 1.000 persone ha rivelato che il 65 percento si sente sempre più solo. Un altro studio afferma che i giovani adulti, compresi tra i 22 e i 29 anni, hanno recentemente provato un aumento di tale sensazione; le persone già a rischio si trovano in una situazione ancora più grave. A febbraio, il Primo Ministro del Giappone ha aggiunto un “ministero della solitudine” al suo consiglio dei ministri, per affrontare il problema con particolare attenzione, visto che è stato dimostrato a più riprese che la solitudine fa male sia sul versante psichico che su quello fisico.

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Eppure, benché molti si sentano soli, altre persone al contrario—o persino contemporaneamente—potrebbero soffrire di un qualcosa chiamato “aloneliness”, ovvero di mancata solitudine, una condizione così definita nel 2019 da Robert Coplan, uno psicologo della Carleton University in Canada, e dai suoi colleghi.

Questa solitudine mancata è l’immagine speculare della solitudine vera e propria, nonché quella sensazione che io e il mio compagno proviamo a scongiurare quando facciamo finta che l’altro non esista per un pugno d’ore al giorno. Se la solitudine si presenta quando c’è una discrepanza tra il numero di ore piacevoli che vorresti trascorrere con le altre persone e il numero che effettivamente riesci ad avere, sentirsi “non-soli” significa ritrovarsi con un’asimmetria tra il numero di momenti piacevoli che vorresti passare da solo e quelli che riesci davvero ad ottenere.

Molti di noi si sentono in questo modo, anche senza sapere che esiste una parola apposita per descrivere la sensazione. Nell’estate del 2020, Kate Morgan ha scritto su Elemental di come lo stare tutto il giorno insieme al proprio partner possa creare situazioni di conflitto. “Se tutto il tuo tempo libero, e anzi tutto il tuo tempo, lo spendete insieme, comincerete probabilmente a sentirvi disconnessi da voi stessi,” le ha confermato Veronica Monet, una coach per le relazioni. Nell’aprile del 2020, la MIT Tech Review ha scritto di quanto la pandemia abbia portato una caterva di eventi e attività virtuali, lasciando così poco tempo alle persone per rilassarsi un poco da sole. Uno studente di legge di New York si è sentito del tutto prosciugato dopo “tre lunghi giorni di lezioni su Zoom, di incontri virtuali extracurriculari, e chiamate notturne con amici e famigliari… Così, ha cominciato a smettere di rispondere alla telefonate degli amici. Aveva semplicemente bisogno di un po’ di tempo da passare da solo,” ha scritto Abby Ohlheiser.

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In effetti, la maggior parte del lavoro e delle ricerche dedicate allo stare da soli si è focalizzato soltanto su quello che accade se stiamo troppo da soli. “Il fatto di dedicare del tempo alla solitudine si porta dietro molti pregiudizi,” dice Coplan. “Storicamente, è sempre associato all’idea dell’isolamento, della disperazione e della depressione. Ma si tratta di questioni cruciali, che non devono essere sottostimate o considerate poco importanti.”

L’attenzione di Coplan e dei suoi colleghi è stata dunque focalizzata proprio sulla mancata solitudine e il rovescio della medaglia, cosa che ha permesso loro di scoprire che passare troppo poco tempo da soli può indurre anche in questo caso stress, depressione e pessimo umore. Si tratta di un tema che sta diventando sempre più importante in considerazione del persistente limbo sociale nel quale ci troviamo. “Devo ammetterlo, in effetti è un momento davvero interessante per chiunque studi l’isolamento sociale e la solitudine,” rimarca Coplan.

Molte persone sono state catapultate in circostanze nelle quali rimangono da sole la maggior parte del tempo e questo le fa sentire sole e malinconiche. “Eppure, altre persone, e penso in particolare ai giovani genitori che ora lavorano da casa e che devono fare didattica a distanza, improvvisamente non hanno più un secondo per loro,” dice Colpan.

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Gli esseri umani hanno bisogno di un senso di connessione verso gli altri e di interazioni sociali significative. Ciononostante, anche il tempo trascorso da soli può avere un effetto benefico e rendere in grado di gestire in maniera migliore le emozioni più complicate, quanto permettere di esplorare la propria creatività. Diversi studi hanno indicato che gli adolescenti che spendono circa il 25 o 30 per cento delle loro ore di veglia da soli hanno “punteggi” di valutazione della depressione più bassi, voti migliori a scuola e valutazioni comportamentali migliori da parte dei professori.

“Molte figure religiose, filosofi e psicologi hanno discusso a profusione del fatto che le persone ogni tanto, o spesso, hanno bisogno di un po’ di tempo da passare da sole per avere lo spazio e la libertà necessari per pensare a cose per loro importanti, per fare qualcosa di creativo o di spirituale, per ri-connettersi alla natura, oppure dedicarsi a qualsiasi altra cosa riesca loro difficile fare quando sono circondati da altri,” dice Christopher Long, un professore associato di psichiatria alla University of Arkansas for Medical Sciences.

Molti scrittori hanno declamato a più riprese i benefici del rimanere da soli, bramando questa condizione quando non ne avevano accesso. Come scrisse Virginia Woolf, “Perché ora non era più costretta a pensare a nessuno. Poteva essere se stessa e starsene da sola. E di questo ora sentiva spesso l’esigenza—di pensare; no, nemmeno di pensare. Di restare in silenzio; di restare sola.”

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Gli studiosi hanno descritto questa apparente contraddizione come il “paradosso della solitudine”: il tempo passato in solitaria può avere effetti benefici, ma anche impattare negativamente sulla nostra salute, se aumenta troppo.

All’inizio della carriera spesa a studiare l’evoluzione della timidezza e dell’ansia sociale nei bambini, Coplan e i suoi colleghi hanno studiato e osservato i bambini che giocavano durante la ricreazione, annotando quando i bambini se ne stavano da soli.

Alcuni di questi bambini erano davvero timidi, mentre altri sembravano semplicemente stare bene da soli; lo preferivano. “Sembravano piuttosto soddisfatti di giocare da soli e non sembravano mostrare quei segni di preoccupazione, ansia o disagio solitamente mostrati da un bambino timido,” dice Coplan.

La squadra ha poi compiuto studi ulteriori riguardanti studenti del college di età diverse e adolescenti compresi tra i 15 e i 17 anni, in una ricerca pubblicata a gennaio del 2021. Anche in questi gruppi hanno trovato persone che amano passare del tempo da sole e che, quando non ci riescono, fanno esperienza di questa sensazione di mancata solitudine. Per misurarla, Coplan e i suoi colleghi hanno sviluppato e fanno ricorso a una scala apposita, la “Solitude and Aloneliness Scale”, che chiede alle persone di confermare e di dirsi d’accordo con frasi del tipo, “Sarebbe bello se potessi spendere più tempo da solo ogni giorno.”

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La solitudine è in parole povere lo stato di chi è da solo, eppure le persone possono vivere la cosa in maniera estremamente diversa. Ci sono alcune differenze chiave tra il “sentirsi soli” e lo “stare da soli”, afferma Virginia Thomas, una professoressa associata di psicologia del Middlebury College. “La più importante è l’involontarietà dello stato,” dice Thomas.

Long concorda e dice di aver scoperto nelle sue ricerche che la differenza principale tra un’esperienza solitaria positiva e quella negativa sta nel margine di scelta esplicita della persona. Le persone con un’esperienza positiva sceglievano espressamente di stare da sole, e così facendo erano in grado di fare quello che davvero volevano.

“Chi invece ha avuto un’esperienza negativa—e si è sentito isolato, annoiato o ha avuto altre sensazioni spiacevoli—spesso avrebbe voluto stare con altri oppure non ha avuto modo di dedicarsi all’attività desiderata,” dice.

La motivazione è un altro fattore centrale, aggiunge Thomas. Quando le persone trascorrono del tempo da sole per qualche proposito costruttivo—come ad esempio per dedicarsi alla creatività o semplicemente per pensare—stanno meglio, soprattutto se contrapposte a chi invece decide di rimanere da solo a causa dell’ansia sociale o perché crede di essere rifiutato dagli altri. “In solitudine, ti ritiri intenzionalmente dal mondo e dall’interazione sociale per scopi specifici—magari per connetterti con te stesso, per ricaricarti dopo una giornata particolarmente impegnativa o per lavorare su un tuo progetto,” dice.

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L’ammontare di tempo da passare in solitaria di cui ogni persona ha bisogno è decisamente specifico per ogni individuo e, allo stesso modo, è molto variabile il momento in cui ognuno di noi comincia a sentire il peso di questa solitudine. “Nessuno riuscirà mai a dire, ‘Vi raccomandiamo tot ore da spendere da soli,” dice Coplan. “Non funziona così. Ognuno di noi ha una soglia diversa per soddisfare i propri bisogni.”

Benché sia un presunto tratto caratteriale degli introversi quello di voler stare da soli, Thomas sostiene non sia necessariamente vero per tutti gli introversi, e che ci sono anche molti estroversi per i quali la solitudine è preziosa.

“I fattori contingenti sono importanti, indipendentemente dalla tua personalità,” afferma. “Per esempio, facciamo tutti esperienza dello stress, e un chiaro effetto benefico della solitudine è il suo effetto rigenerante.” Non importa chi tu sia, sembra che la solitudine possa tranquillizzarti, in special modo se sei stressato. 

Detto questo, le persone con un’attitudine positiva nei confronti della solitudine, e che vogliono spendere più tempo da sole, è più probabile sviluppino questo senso di “mancata solitudine”. Ha senso, perché se ti piace spendere del tempo da solo ne vorrai ancora di più e rischierai quindi di vedere il tuo bisogno inappagato.

Quello che fai quando sei da solo può anche impattare sul sentirti o meno in questa condizione di mancata solitudine. Nel loro recente studio sugli adolescenti, Coplan e i suoi colleghi hanno constatato che quando il tempo in solitaria è dedicato agli hobby, alle letture fatte per piacere personale, alla tv, i video o i videogiochi, oppure a stare all’aperto, tende a soddisfare quel bisogno. Se le persone invece spendono la stessa quantità di tempo facendo compiti, commissioni o lavori domestici, allora continuano a provare quella sensazione di “mancata solitudine”. Questo significa che la qualità del proprio tempo trascorso da soli deriva da quanto è destinato davvero a te e alle tue esigenze—e non, piuttosto, al pagare le tasse o al mettersi a pulire casa.

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Coplan aggiunge poi che la sensazione di solitudine, in maniera simile, non riguarda solo l’essere isolati. Ci si può sentire soli persino quando si è circondati da altri perché è la qualità dell’interazione sociale la questione centrale. “Abbiamo incontrato adolescenti che ci hanno detto di sentirsi soli quando siedono a cena con la loro famiglia perché mancano loro gli amici,” ribadisce Coplan.

Ma è anche del tutto possibile sentire al tempo stesso la solitudine e la “mancata solitudine”—il che significa che non sei per niente soddisfatto della tua condizione e del tuo contesto sociale, su tutta la linea. Potrebbero mancarti interazioni sociali significative in un modo che ti fa sentire solo, eppure potresti comunque non riuscire a soddisfare il tuo desiderio di una solitudine di qualità.

Coplan dice che hanno iniziato a raccogliere dati duranti la pandemia e, benché non abbiano ancora alcun risultato definitivo, stanno ipotizzando che individueranno un aumento di entrambe le sensazioni: solitudine e mancata solitudine.

Coplan pensa che anche solo il diffondere la consapevolezza che la mancata solitudine può colpirti, proprio insieme alla solitudine, possa apportare dei benefici. “È qualcosa di cui le persone non sono molto consapevoli,” dice. “Una delle cose che abbiamo scoperto è che le persone possono sentirsi stressate o irritabili senza conoscerne il motivo.”

La soluzione per la mancata solitudine è, come è lecito attendersi, quella di passare un po’ di tempo da soli. Coplan tuttavia riconosce che non è sempre così facile farlo, in special modo ora. Incoraggia dunque le persone a dire ai propri partner o coinquilini che potrebbe far loro bene un po’ di tempo da soli, nonché a discutere che una simile richiesta non è un’indicazione del fatto che la relazione stia andando male, che siete annoiati o infastiditi da qualcuno in particolare.

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Coplan sostiene che è importante non prenderla sul personale quando una persona amata ci dice di aver bisogno di tempo da passare in solitudine—ma al contrario che gli state accordando un regalo psicologicamente molto ricco, come l’ha chiamato la psicologa Ester Buchholz, nel libro The Call of Solitude

“Quando ascolto i miei pazienti parlare dei loro amati, della famiglia o degli amici, sono colpita dalle espressioni di gratitudine quando ricevono del ‘tempo libero’ per dedicarsi ai loro obiettivi e passatempi,” ha scritto. “Quasi fossero dei prigionieri a cui venga concessa la libertà vigilata prima di meritarsela, la percepiscono come un regalo compassionevole. Pertanto, hanno grande difficoltà anche soltanto a suggerire la possibilità di trascorrere una giornata in solitudine a rilassarsi.”

Se i miei sentimenti vengono un poco feriti quando il mio partner chiude la porta per qualche ora, ricordo però la felicità che provo quando mi accomodo in una stanza silenziosa tutta da sola, con una tazza di tè, un libro e i calzettoni, con la certezza che nessuno irromperà in camera a disturbarmi.

“È un qualcosa su cui almeno ragionare, visto che a molte persone non verrebbe nemmeno in mente di accorgersene e provare a realizzarlo,” dice Coplan. “Nessuno dice che dovresti andare ogni giorno a passeggio nei boschi per due ore… fa bene ad alcune persone, ma non possiamo farlo tutti. Dunque, forse bisogna semplicemente afferrare quei micro momenti, riconoscere di aver bisogno di quel tempo e dare a noi stessi il permesso di goderne”

Inoltre, Coplan suggerisce anche di tenere un diario per tenere traccia del tempo speso con gli altri e da soli, per capire se corrisponde a quello che vogliamo o di cui abbiamo bisogno. Trovare il giusto bilanciamento è il modo migliore per evitare le ripercussioni negative sia della solitudine che della mancata solitudine.

“Nelle mie interviste effettuate sia con i giovani adulti che con chi ha raggiunto la mezza età, quanti hanno avuto le esperienze più positive mi hanno detto di essere riusciti a rilassarsi e goderne grazie al fatto che sapevano di poter uscire dalla solitudine in ogni momento e di ritrovare i contatti sociali quando lo volevano,” dice Thomas. “Avevano il meglio dei due mondi.”

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