Beautiful World
Foto di copertina tratta dal video di "Beautiful World", via grab su YouTube
Musica

Il cantante dei Devo è il padre della vaporwave

Oltre a essere tra i gruppi più iconici, provocatori e anarchici di sempre, i Devo avevano previsto il futuro del pop.

Buffo pensare come nel giro di pochi mesi siamo passati dal panico da contagio alla normalità e la mascherina sia diventata più una moda che una necessità. La maggior parte di quelle in circolazione non protegge infatti da un emerito cazzo.

Anche la fila al supermercato è diventata motivo di svago, nonostante si sia più assembrati che mai, e ci ritroviamo tutti a fare marcia indietro dal punto di vista comportamentale e intellettivo. In poche parole ormai parlare di follia non ha più senso, ci siamo già dentro, siamo direttamente devoluti.

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Ma non è una novità. A fine anni Settanta qualcuno aveva già previsto questo crollo verticale cognitivo, grazie a una filosofia di vita portata al parossismo con una coerenza invidiabile: i Devo.

C’è poco da ridere. È sotto gli occhi di tutti che il loro darwinismo al contrario, canzonato e deriso dai molti critici sapientoni che li definivano “clown fascisti”, è ora realtà.

Qualcuno aveva previsto il crollo verticale cognitivo di oggi: i Devo.

Ciò che invece a molti è sfuggito è che i Devo s’inserivano attivamente nel sistema cercando di sabotarlo dall’interno e portandolo all’implosione grazie alle sue stesse armi: gadget, campagne pubblicitarie, parodie e trovate che hanno la stessa consistenza di plastica del turbocapitalismo. Non a caso, nel recentissimo anniversario dei cappelli Energy Dome—quelli della copertina di Freedom of Choice e del video di "Whip It", ispirati agli ziggurat e alla “raccolta dell’energia mentale”—i nostri eroi hanno deciso di venderne una versione con tanto di visiera/scudo anti-Covid19, nonché una serie di mascherine griffate in stile “total Devo”.

Una presa per il culo dei paranoici e dei Trumpiani negazionisti, ovviamente, a sottolineare quanto la realtà si trovi altrove rispetto alla propaganda. Ma anche un cinico spunto di riflessione su quanto lontano si possa spingere il capitale, visto che neanche la morte lo ferma.

I Devo portano da sempre in superficie queste contraddizioni e partendo dall’underground hanno sempre giocato con quest’aspetto controverso della vita moderna, dell’economia e del costume. Vale in particolare per Mark Mothersbaugh, l’iconico cantante con gli occhiali a fondo di bottiglia, un fascio di nervi e performer pervaso da lucida follia in gioventù e oggi, da anziano, un imbolsito esemplare di una devoluzione abbracciata con nonchalance.

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Un personaggio del genere, un singolare anarchico che sguazza nella cultura americana più becera e malata— “felice come un maiale nella sua merda”, per citare uno dei migliori passi della biografia di Miles Davis—, merita di essere analizzato a dovere. Visto che il 18 maggio è stato il suo compleanno, quale migliore occasione?

I Devo hanno sempre giocato con gli aspetti controversi della vita moderna, dell’economia e del costume.

Il buon Mark è stato chiaramente uno dei padri fondatori della new wave e del post punk. Quando arriva nei Devo porta una svolta “umoristica” che permette al messaggio della devoluzione—una bislacca teoria nata da varie suggestioni, tra i quali gli scritti dell’antievoluzionista Shaddock—di essere reso più accessibile alla massa.

Le sue intuizioni sono fondamentali e Mark è praticamente un nerd cibernetico affamato di sapere, polistrumentista e pittore visionario, autore e artista visuale in grado di bucare le superfici con pochi dettagli. D'altronde, i video dei Devo parlano chiaro, i sensi sono costantemente deragliati come in un rollercoaster subliminale, dove il subconscio si trasforma in immagine parlando una lingua a sé stante.

Mothersbaugh progetta strumenti assurdi, come la chitarra che usa in “Too much paranoias”, assemblata con pezzi di sintetizzatore, o la singolare keytar fatta con una racchetta da tennis, la testa di paperino e una calcolatrice industriale. E, miope da sempre, persino i suoi stessi occhiali, tanto da creare un suo marchio per la fabbrica di occhiali Baumvision, un modello unisex chiamato Francesca dal nome del suo cane ermafrodita!

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Tanta esplosione di genialità lo porterà, a metà anni Ottanta, a diventare anche un autore di musiche per pubblicità e musiche per spettacoli televisivi, serie animate, film, videogames e chi più ne ha più ne metta. Una produzione sterminata nella quale la qualità e la quantità diventano la stessa cosa, nel bene e nel male, una medaglia con due facce.

L’idea dei Devo era sempre stata quella di sposare la causa multimediale che rende obsoleto il concerto classico.

Qui sta l’interesse nel percorso del nostro eroe, quella parte che ahinoi il più delle volte viene guardata con sospetto dai fans duri e puri. Perché l’intuizione più grande di Mark è stata quella di pensare sin dall’inizio di scavallare completamente la sua stessa creazione, la new wave.

L’idea dei Devo era sempre stata quella di sposare la causa multimediale che rende obsoleto il concerto classico, ragionando invece sui modi in cui annullare la distanza tra pubblico e artista, a favore dell’immaginazione esperienziale senza confini. Il tour di Oh No it’s Devo! nell’ 82 è un esempio perfetto, tra le prime volte in cui si sperimenta l’interattività tra gruppo e le proiezioni sincronizzate sullo sfondo, oltre al 3D.

Di fatto, i Devo anticipano YouTube e le sue dinamiche. È il Do-It-Yourself che compete con i grandi brand, giocando sul loro terreno come in una scommessa sul tappeto verde: chi vince deve comunque pagare, le parti in gioco sono alla pari.

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Per questo, in curriculum ci sono anche diverse scommesse perse, come quando il gruppo ha dovuto ingoiare il licenziamento da parte della Warner Bros. È il caso di Shout! del 1984, disco vissuto come crollo creativo della band, che però condurrà al riscatto di Something for Everybody del 2010.

I Devo hanno anticipato YouTube e le sue dinamiche, e previsto un suono prodotto digitalmente dalle macchine.

Un’operazione addirittura visibile in una serie tv curata proprio dai Devo, dove viene documentato il tentativo di rientrare nelle grazie Warner Bros. Il sistema è tanto semplice quanto geniale: si affida il marketing a un’agenzia pubblicitaria esterna all’etichetta e la produzione del disco avviene utilizzando i focus group, cioè direttamente il pubblico.

Nel suo concept, Shout! è già la previsione di una musica artificiale pre-HD. Un suono creato dalla gente per la gente, ma prodotto digitalmente dalle macchine, con la completa abolizione delle chitarre e della classica formazione rock—la devoluzione del canone moderno è compiuta per fare posto alle produzioni homemade di oggi.

È l’autocritica di un intero sistema di valori ma anche il tentativo di innalzarlo a un livello estetico e concettuale che lo trasformi in pura arte. Non a caso, si prendono spesso gioco del rock classico rubando riff e interi pezzi dall’inconscio musicale collettivo, come nel caso della storica “Satisfaction” degli Stones, per riadattarli ai loro fini.

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I Devo hanno sempre avuto ragione: se guardiamo al presente, le chitarre come le conoscevamo sono quasi sparite dalla musica di massa, salvate solo—proprio come Mark ha affermato in varie interviste—dai management e dalla spinta pubblicitaria. Motivo per il quale il nostro Mothersbaurg mette il piede sull’acceleratore, cavalcando la palla demolitrice.

I Devo hanno sempre avuto ragione.

E diventa così il principale assemblatore della serie E—Z Listening Disc, firmata Devo. Ovvero, versioni per “musica da ascensore” dei loro grandi classici, vera e propria muzak, improbabile plastica sonora da utilizzare per la filodiffusione degli aerei o ambienti simili—insomma, tutta la monnezza del capitalismo concentrata in un suono.

Le versioni presentate sono quasi irriconoscibili, shockanti e ignorantissime nella loro assoluta superficialità. Ma la cosa bella è che sono proprio i fan dei Devo le prime cavie del progetto.

La band comincia i suoi esperimenti durante il tour di Freedom of choice, quando hanno ormai raggiunto uno status di culto, ma anche di massa, grazie alla hit “Whip It”. Prima dell’inizio del concerto, i Nostri diffondono dalle casse queste versioni di elettronica scrausa e weird, depotenziando il loro stesso successo.

Come a dire, “Attenzione! Anche noi siamo un prodotto commerciale”. Ovviamente il fan rimane spiazzato, ma la pratica va avanti anche nei tour successivi e cominciano a circolare i bootleg di queste versioni, inizialmente disponibili solo per il fan club, fin quando nel 1987 i nostri eroi non decidono di registrare di nuovo tutto e pubblicare ufficialmente una raccolta.

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L’interesse per le musiche più artificiali possibili porta Mark Mothersbaugh al suo primo album solista.

Che, neanche a dirlo, inaugura la vaporwave nel mondo. A dire il vero, è Mark a inaugurarla ufficialmente, visto che, dall’uscita di Oh no! it’s Devo in poi, è solo lui a registrare queste strane versioni.

L’interesse per le musiche più artificiali possibili, la colonna sonora estrema e indigesta di un mondo in caduta libera, lo porta a scrivere il suo primo album solista. A essere precisi, si tratta di una serie, le Muzik for insomniaks vol. 1 and 2, che forse, insieme a Music for Supermarkets di Jean Michelle Jarre, rappresenta addirittura uno dei prodromi dell’esperienza PC music.

Quel tipo di musica talmente iperrealista da scardinare il prodotto pop a tavolino, tra la parodia dei grandi successi di classifica all’estremizzazione dell’estetica di consumo. Ancora meglio, Mark si prende gioco della New Age in voga all’epoca, succhiandone via la presunzione salvifica e svelando dietro alle tendenze “spiritualiste” una vera e propria schiavitù “felice” che può essere sciolta solo accelerando i processi di sottomissione all’idiozia.

Il disco è clamoroso e offre spunti sonori che non starebbero male in un lavoro di Sophie o dei Planet 1999, o in un qualsiasi numero di catalogo della Orange Milk, e addirittura di Grimes se abbandonasse le scorie rock ancora presenti. Mark concepisce questo lavoro come “carta da parati che incontra Escher”, e in effetti la sensazione di uno spazio che si ribalta, cambia prospettiva e diventa quasi anamorfico è palpabile.

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Mark prevede un futuro di revisioni del pop più plasticoso e contraffatto, una musica patinata per la generazione Instagram che ancora deve arrivare.

È un lavoro davvero ispirato, tra atmosfere sognanti e sequenze tanto “decerebrate” quanto romantiche, che tengono conto dell’eredità di Satie, del Raymond Scott di Soothing Sounds For Babies e dei facili esotismi sonori che anticipano le musiche per videogiochi dei Novanta. I titoli, poi, sembrano usciti da una previsione di upgrade di Windows o da un disco degli Autechre.

Mark estremizza ancora di più la questione nel 1987 con Muzik For The Gallery, una sonorizzazione di alcune sue mostre che si avvicina ai deliri della colonna sonora di Liquid Sky—ed ecco un altro interessante punto di riferimento per la vapor che verrà. Il salto di sonorità lo fa però nel 1999, con Joeyx mutato, in cui prevede un futuro di revisioni del pop più plasticoso e contraffatto in versione casalinga, con tanto di zanzare digitali e atmosfere alla Namasenda, una musica patinata per la generazione Instagram che ancora deve arrivare.

Se pensiamo alle continue mutazioni da deficit dell’attenzione delle sue installazioni visuali e dei fotoritocchi sempre fotonici, capiamo anche l’approccio geniale che Mothersbaugh dimostra nei confronti dei commercials, con i quali si sporca le mani per tirarle poi fuori immacolate.

In apparenza è una contraddizione, il personaggio antisistema che lavora per il sistema stesso, eppure viene risolta in maniera lucida e determinata. Mark, infatti, segue uno degli aspetti filosofici dei Devo, cioè lo “Slack”, un atteggiamento che si basa sullo svacco e sulla pigrizia applicata.

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Mark si lavora il sistema dall’interno, come un virus.

Si tratta di un principio da non confondere con gli Slacker dei Novanta. Qui si parla della parodistica Chiesa del Subgenio, cui aderivano anche David Byrne e Robert Crumb, che, sintetizzando, significa: il sistema ci obbliga a lavorare duramente per poter mangiare e ci sfrutta… e noi lavoriamo pigramente, diamo il minimo per il massimo risultato, sfruttiamo le crepe della macchina produttiva.

La questione è chiara: Mark si lavora il sistema dall’interno, come un virus. Già prima di fondare la sua Mutato Muzak, l’artista era solito infilare messaggi subliminali nelle pubblicità che gli commissionavano.

Ad esempio, nella pubblicità della bibita Hawaiian Punch introduce un “Lo zucchero fa male” nel background, senza che nessuno se ne accorga. E cosi, nella sua carriera, ha seminato di messaggi “contro” tutte le corporazioni con cui ha lavorato: BMW, Mercedes, Pepsi, McDonald's, Burger King, Taco Bell, etc.

Allo stesso tempo, introduce situazioni disturbanti che alzano il tasso di psichedelia e abbassano l’appeal rassicurante del prodotto, dando punti alla libertà creativa. Un esempio lampante è la serie semi animata sul famigerato Ronald Mc Donald, la mascotte dei famosi hamburger: bene, Mark studia una serie di canzoni che farebbero scoppiare le allucinazioni a chiunque, e la mascotte si trasforma in un pazzo schizofrenico che ti porta alla nausea.

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L’obiettivo di Mark è quello di sottolineare che il capitale vuole la merda e bisogna dargliela a secchi finché le fogne non esplodono.

Partecipa poi alla colonna sonora di programmi per bambini come Pee Wee’s Playhouse, in cui non c’è spazio per i compromessi ma è evidentemente fatto per fare esplodere le teste a tutti, in primis ai genitori. Insomma, l’obiettivo di Mark non è tanto quello di far calare il fatturato delle grandi corporate, quanto spostare il consenso del pubblico sull’espressione artistica senza compromessi, e sottolineare che il capitale vuole la merda e bisogna dargliela a secchi finché le fogne non esplodono.

In effetti personalmente, vedendo i commercials di McDonald’s con le sue musiche, ho smesso di mettere piede nei fast food alla tenera età di 14 anni…e ho incominciato a fare noise: posso dunque testimoniare che il suo metodo funziona.

Se poi qualcuno volesse dubitare della buonafede di Mark e dei suoi soci basterebbe ricordare che nel 2008 McDonald's fece uscire, d’accordo con American Idol, alcuni pupazzi praticamente clonati dai Devo, con tanto di Energy Dome rosso in testa, e i Devo protestarono subito per voce dell’altro storico membro, Gerald Casale: “Non ci hanno chiesto niente. Inoltre, non ci piace McDonald’s né American Idol, quindi siamo doppiamente offesi. Stiamo per citarli in guidizio”. Alla fine il fattaccio si concluse amichevolmente, il che vuol dire che McDonald’s avrà probabilmente scucito una cifra da capogiro: che il potere paghi caro e paghi tutto.

Non parliamo di certo di sprovveduti, l’intelligenza progettuale di Mark è senza confini e sentirlo parlare è sempre uno spettacolo, visto che alle a volte sfiora la pura veggenza, ma quella lucida e informata. Nel 2010, proprio sulle pagine di VICE, si espresse così sulla situazione mondiale: “A una certa la gente penserà, ‘Ma che stiamo facendo? Abbiamo aria limitata, acqua limitata, terra limitata.’ Sei miliardi di persone ci stanno, ma non tutte insieme! Sono troppe per il pianeta che abbiamo. O lo decidiamo noi, oppure ci penserà Madre Natura a intervenire. La possibilità di una pandemia è più realistica che mai, tutto è interconnesso.”

In un'intervista a VICE nel 2010 Mark disse: "La possibilità di una pandemia è più realistica che mai, tutto è interconnesso.”

È andata proprio come diceva lui: ci ritroviamo in un mondo inscatolato e programmato simile ai Sims di cui lui compose la fredda e inquietante colonna sonora, caratterizzata da una serenità sospetta e innaturale. E siamo tutti dei Lego che perdono i pezzi, di cui la colonna sonora del film The Lego Movie 2 è una delle cose più fiche mai scritte da Mark, tra IDM, Hi-Tech e orchestra classica.

L’introduzione di quest’articolo è quindi la conclusione, esattamente come il primo video dei Devo si chiamava In The Beginning Was The End: The Truth About De-Evolution, per parafrasare Gerald Casale e sgombrare il campo da ogni equivoco: “I Devo sono quello che è reale ora. I Devo non sono in anticipo sui tempi, non sono spaventosi o scioccanti… siamo la resident band sul Titanic, e siamo qui per intrattenere mentre precipitiamo tutti”. E allora tanti auguri al grande Mark, e mille di queste devoluzioni!

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