Cibo

Dinner Club è l'unico programma italiano di cucina per cui vale la pena stare a casa

La produzione Amazon Prime Video con Carlo Cracco e i soliti attori famosi iriesce a essere sia informativa che divertente. E non ce lo aspettavamo.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT
Dinner Club Amazon Prime
Foto via Amazon Prime

“Per me Cracco era irrigidito nel ruolo di giudice cattivo, severo e irreprensibile, mentre in Dinner Club si rivela davvero piacevole”

Ogni volta che leggo l’annuncio di un nuovo programma di cucina italiano la mia prima reazione è “Oh no, ancora?”. Dopo il successo di Masterchef ha spopolato il formato dei talent come Bake Off, in cui cuochi famosi giudicano, con più o meno cattiveria, aspiranti cuochi, o addirittura cuochi veri e propri. 4 Ristoranti fa storia sé: anche in questo caso sono arrivati degli epigoni, ma la mancanza di Alessandro Borghese si fa sentire in ognuno di essi. E poi c’è il filone Cortesie per gli Ospiti, quello del “guarda cosa cucina la gente a casa propria”, che per motivi a me ignoti non passa mai di moda. Non parlerò della televisione di Stato o Mediaset, perché sono gentile.

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L’ultimo programma di cucina per me interessante — nel senso di informativo, con una bella regia e una bella fotografia, protagonisti convincenti e la giusta dose di retorica — è stato Chef’s Table su Netflix. Quando ho visto che Prime Video stava producendo un programma di cucina chiamato Dinner Club non avevo grandi aspettative. Soprattutto guardando i nomi dei protagonisti: Fabio De Luigi, Luciana Littizzetto, Sabrina Ferilli, Diego Abatantuono, Pierfrancesco Favino, Valerio Mastandrea e Carlo Cracco. Mi sembrava tutto già visto e ampiamente prevedibile.

Poi ho iniziato a leggere recensioni ultra-positive, anche da addetti del settore, e mi sono detta vabbè, proviamo pure questo.

Dinner Club, come funziona

Certo, c’è la manfrina iniziale in cui parla delle regole del Dinner Club con voce semi-minacciosa, ma potete saltarla

Il format di Dinner Club è il seguente: Carlo Cracco porta sei attori famosi in viaggio, uno alla volta, in sei diversi territori d’Italia per scoprirne le tradizioni enogastronomiche. Dopo aver assaggiato prodotti e piatti di quella zona, ogni attore li ripropone a una cena con gli altri, impegnandosi anche a preparare ricette un po’ più complesse con l’aiuto dello chef. Così semplice da sembrare quasi noioso sulla carta e risultare invece convincente sullo schermo.

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Prima di tutto, Cracco. Nonostante non vedessi Masterchef da anni per me lui era rimasto irrigidito nel ruolo di giudice cattivo, severo e irreprensibile, mentre in Dinner Club si rivela una persona anche piacevole, estremamente informato su ogni territorio che visita — quindi un plauso agli autori. Certo, c’è la manfrina iniziale in cui parla delle regole del Dinner Club con voce semi-minacciosa, ma potete saltarla. Gli altri co-protagonisti non lo prendono sul serio e questo aiuta ad affezionarsi al personaggio e alle sue dinamiche. E poi sa fare tutto. Letteralmente. Guida le barche e i camper con la stessa facilità con cui taglia un prosciutto a mano, si arrampica in bicicletta su per salite impervie, cavalca un cavallo in mezzo alle vacche.

“Emergono interessanti discorsi intorno al cibo, come chi non sa ‘mangiare per goderne’, o le difficoltà di ingrassare per i ruoli nei film”

La scelta dei territori e dei luoghi che si visitano non è scontata: a Monopoli si assaggia il fegato del polpo, la malandra; in Sicilia si passa all’Eurobar di Dattilo dove si mangia il cannolo; si conoscono pescatori e contadini, si visitano monasteri e saline, si naviga sul Delta del Po. Al netto di qualche rappresentazione forse esageratamente macchiettistica di osti e cuochi, e un po’ di battute scontate tipo quella sul cazzomarro, mi è sembrato che gli autori abbiano fatto un eccellente lavoro di ricerca: chi conosceva la via Silente? E la pignata di pecora (ho notato una certa insistenza verso le frattaglie, che non so se rubricare a loro sdoganamento positivo, o soltanto a una ricerca esagerata dell’effetto splatter)?

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Anche l’interazione tra i protagonisti è estremamente piacevole. Sono attori, ok, ma le conversazioni risultano poco sforzate e costruite ed emergono interessanti discorsi intorno al cibo, come Mastandrea che non mangia cose bianche e non sa come “mangiare per goderne”, o le difficoltà di ingrassare per i ruoli nei film. Una cosa che ho particolarmente apprezzato è quanto spesso prendano in giro l’ossessione per il cibo di Cracco e in generale degli italiani. Molto bello il monologo Gola, dello sceneggiatore scomparso Mattia Torre, letto da Mastandrea, in cui si parla della fissazione per la provenienza dei prodotti enogastronomici in “questo paese a forma di spuntatura di maiale”.

C’è anche qualche escursione nel fine dining: a ogni puntata si visita un ristorante di alta cucina dove lo chef insegna all’attore di turno preparare un piatto. Credo che il punto fondamentale sia che alla fine del programma ti rimane addosso la spasmodica voglia di visitare tutti quei posti (perfino il Delta del Po, fosse anche solo per le anguille) e soprattutto assaggiare tutti quei piatti. Di quante altre produzioni a tema gastronomico sullo schermo potete dire lo stesso? Poche, molto poche.

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