carl brave
Carl Brave, fotografia promozionale di Manuel Coen
Musica

Capire i testi di Carl Brave

Dopo un'attenta analisi possiamo dire che Carl Brave vuole fare l'amore con te (eh-eh), possibilmente a Trastevere (oh-oh), con il cuore che gli batte sotto quel camicione aperto.
Cecilia Esposito
Bologna, IT

Se cerchi “Carl Brave + canzoni” su Google, i primi suggerimenti che appaiono sono (in ordine): amore, Roma e amicizia. Ciò non sorprende visto che Carl Brave ha fatto della romanità quello che Cloris Brosca ha fatto della Luna Nera: la sua carta vincente. Nei suoi testi la Città Eterna diventa uno sfondo suggestivo su cui ricamare intrecci narrativi che hanno come argomento principale l'Amore con la A maiuscola, quello degno di essere ricordato nel tempo con una scritta sul muro davanti all'ingresso della scuola. Qua e là sbucano gli amici di Carl, compagni di scorribande e sbornie consumate tra i vicoli, i fratelli di una vita che rendono il suo l'immaginario ancora più caciarone.

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Insomma, come la celebre canzone di Valeria Rossi, Carl Brave ha trasformato tre parole in uno schema narrativo efficace che lo ha incoronato con successo in quel calderone di sonorità pop-indie molto di moda che chiamiamo Itpop. Il suo primo album solista Notti Brave, con tutto il suo languore moderno da caption di Instagram in prosa romanesca, ne è la conferma. Da non sottovalutare anche il fattore “fascino” che gioca sempre un ruolo importante per far colpo sul pubblico, vedi il collega Tommaso Paradiso. Alto, altissimo, la camicia broccata sempre sbottonata e gli immancabili occhiali scuri in qualunque momento della giornata e dell'anno—come lui solo l'omonimo Lagerfeld, pace all'anima sua—hanno messo tutti d'accordo nel considerare il Carlone Nazionale come il figo scanzonato che parla di pischelle e Chardonnay. Ma la verità è che voi non avete capito Carl Brave e adesso vi spiego perché.

Carl Brave è diventato un personaggio della musica nazional popolare da quel 5 maggio 2017, data di uscita di Polaroid con Franco126, pietra miliare nella Storia della Musica Indie Italiana che ha segnato un punto di accelerazione in quella che possiamo chiamare la Seconda Rivoluzione Indie Italiana—la prima risale all'uscita de Il Sorprendente Album d'Esordio de I Cani. Carletto e Franchino ci hanno fatto volare con i loro stornelli con l'auto-tune, raccontando amori finiti a tarallucci e vino, scorribande al gusto di birra annacquata e tutte quelle paturnie esistenziali moderne in cui un sacco di gente si è immedesimata. In un attimo ci siamo sentiti tutti Nanni Moretti in vespa: abbiamo iniziato ad abusare della parola “pellaria” e ad apostrofare i nostri amici con svariati “daje”, “aoh” e “zi'”, sentendoci parte di una romanità che non abbiamo mai vissuto.

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Poi, però, è avvenuto un fatto che non sconvolgeva così tanto la musica italiana dai tempi della rottura degli 883: la Scissione. Proprio come loro stessi cantavano in “Sempre in Due”, che adesso suona come un'ironica profezia, Carl e Franco sono andati “ognuno per le sue”. Da quel momento dopo Scissione (d.S.), Carl Brave poteva solo bissare il copione che ha reso celebre Polaroid e sperare che andasse bene. Ed è andata bene, molto: la formula Roma-Amore-Amicizia ha funzionato e allora perché accentuare tutto? Gli occhiali da sole? Mettiamoglieli più grandi! La camicia sbottonata? Pure d'inverno! “Eh-eh”? Ma aggiungiamo qualche “ooh-ooh”! E proprio quando il grande successo era ormai raggiunto, Carl Brave ha potuto abbassare la guardia e lasciarsi andare al suo vero Io d'artista.

L'immagine del cantautore romanaccio un po' romantico un po' cafone, belloccio, ma che piace anche alle mamme, che canta di amori sfortunati e bottiglie di vino è solo la maschera di un'anima ben più tormentata. Il motivo per cui Carl Brave vi piace tanto ha radici nel vostro subconscio, è qualcosa che nemmeno voi potete carpire, ma tra un “eh-eh” e l'altro vi arriva dritti al cuore. La verità, è che dietro quegli occhiali da sole Carl Brave cela un animo decadente.

carl brave

Fotografia promozionale di Alessandro Treves

Rispolveriamo i libri mentali che non apriamo dalla quinta liceo. Nell'Ottocento l'illuminismo si mette a esaltare la scienza e la ragione, e così facendo con il passare del tempo asciuga l'entusiasmo degli intellettuali dell'epoca. Questi si mettono quindi a bighellonare nelle città, esaltando nelle loro opere emozioni e intimità varie, fino a vaneggiare con visioni oniriche e irrazionali (sì, si drogavano). Annoiati dalla società, che li aveva delusi e inaspriti, si lasciarono andare a immaginari cupi e a manie di egocentrismo, quasi in risposta alla nascente società di massa. Non contenti, diedero anche vita a nuovi linguaggi, lasciando perdere le regole metriche tradizionali, e utilizzarono analogie, figure retoriche e simbolismo. Ed ecco, in un paragrafetto, il Decadentismo.

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Chiusa parentesi di cui la mia professoressa di Lettere del liceo andrebbe molto fiera, il punto è che leggendo i testi di Carl Brave mi sono accorta che la sua scrittura altro non è che puro Decadentismo per i nostri tempi.

"Professorè” è chiaramente una polemica contro un sistema scolastico che non riesce a connettersi con i reali bisogni degli studenti, ma che, anzi, tende a sminuirli e a mortificarli: “Aeh professorè / Vorrei vederti a te / Mi so' fatto il culo ehh / E poi m'hai messo tre”. Come i suoi colleghi decadenti, così Carl prende in prestito il tema amoroso, cantato con languore e nostalgia, per esprimere il malessere interiore che viveva negli anni della scuola. A causarlo era l'eccessiva rigidità della vita scolastica, che avviliva e reprimeva gli istinti naturali dell'Uomo Carlo. Infatti, il Soggetto principale dei testi del nostro cantautore in realtà non è la pischella di turno o l'Amore, ma bensì Se Stesso.

Carl Brave, come il poeta decadente, non è il vate che accompagna i suoi ascoltatori alla scoperta dei propri sentimenti romantici, né tanto meno una Guida per affrontare la vita contemporanea. È un cantastorie bohémien che dipinge immagini quotidiane filtrate dalla propria visione intima e dal proprio Ego d'artista umile—aggettivo non casuale, ma fondamentale per introdurre un ulteriore lato intimistico di Carl, quello più nostalgico e attento ai semplici gesti quotidiani, che possiamo definire di stampo crepuscolare.

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Una delle novità del Crepuscolarismo era la schiettezza con cui i suoi intellettuali si definivano gli “inetti” della poesia, dichiarando tranquillamente di non essere in grado di poetare, proprio come lui detto in un’intervista: "Io non sono niente: non sono pop, non sono indie, non sono rap…”, trasformando in un pregio quello che potrebbe essere un difetto. E come i poeti Tito Marrone e Sergio Corazzini—inauguratori di questa corrente letteraria, anche loro romani—pure Carlo si dedica alle “piccole cose”, cantando i gesti della routine quotidiana, con semplicità e una velata malinconia per il passato e gli anni dell’adolescenza.

Se già “Professorè”, con il suo richiamo agli anni della scuola e alla genuinità di un amore giovanile, lascia intravedere l’animo crepuscolare di Carl, la prima strofa di “Pub Crawl” lo conferma: in pochi versi riesce a dipingere una Roma scomoda che riflette il suo malessere ("Roma è più bella quando sto da solo"), trasmettendo tutto il tedio e il disagio che il paesaggio circostante gli provoca attraverso immagini di gesti semplici ("Sventaglio una bustina di zucchero"). Ma non vuole combattere la noia o renderla speciale, anzi. Rassegnato, asseconda il suo stato esistenziale, affogando i suoi pensieri nell’alcol in attesa che il crepuscolo porti a termine un’altra giornata uggiosa.

Il brano-manifesto del Decadentismo braviano è “Pianto Noisy”, traccia sottovalutata che mette a nudo il malessere interiore e il lato più torbido dell'artista e uomo. "È la mia canzone preferita mia di sempre, fa parte di un periodo di vita mia più crudo, più di strada rispetto ad ora che sto più tranquillo. […] Volevo dare al disco una botta di sporcizia che secondo me al disco serviva” ha detto lui in un'intervista. E così lascia trasparire per un solo, breve attimo la sua vera anima in tumulto, agitata dall'amarezza della vita, alla quale reagisce con l'autolesionismo e abbrutendosi:“Lei ha due dita in gola e sbratta piano solo bile al cesso / Io co' un mal di testa, porco *** umbriaco lesso”.

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Verso la sua fine, il testo di "Pianto Noisy" devia sui piaceri carnali: "la tua pelle di seta", "denti tuoi sui polsi". Nei suoi testi Carl predica infatti un edonismo moderno all'insegna della bellezza terrena, della spensieratezza giovanile e di esperienze quotidiane che possano innalzare l'uomo a Vate lussurioso: "T'ho cioccata con la tua BFF", "M'hai trovato quelle foto mezze porno con (come si chiama?)", "Facciamo una sveltina fly dentro una Renault", "Vorrei fare il morto a galla tra le tue lenzuola", "E quelle calze nere sono un po' d'arresto / E non mi regolo perché già sono al sesto / M'hanno invitato via, so' un po' troppo molesto".

In un primo momento, quindi, Carl Brave sembrerebbe incarnare l'eterno donnaiolo che corre ancora dietro le ragazzine a trent'anni, si sbornia con gli amici e va a dormire all'alba—aka lo stereotipo della rock star con la Sindrome da Peter Pan che ormai ci fa sbadigliare. Tuttavia, se applichiamo la chiave di lettura del decadentismo, ci accorgiamo che Carl Brave altro non è che un Gabriele D'Annunzio formato Instagram. Non è un caso se Carl di cognome fa Coraggio, uno dei valori più esaltati dal Vate dell’Estetismo italiano.

“La passione in tutto. Desidero le più lievi cose perdutamente, come le più grandi. Non ho mai tregua”, diceva D’Annunzio, ma è un pensiero che possiamo ritrovare anche nei testi di Carl Brave. Anche lui ha sete di vita, e così così rende la sua esistenza un'opera d'arte degna di essere vissuta a pieno. Carl non si dà pace e corre da una donna che “gioca a fare l’ultima romantica” a una che fa “foto un po’ bora, un po’ poser”, canta in "Parco Gondar". Insieme a una di loro scappa dalla sua amata Roma a Parigi—ma una volta è assalito da un pensiero: "volemo Londra", dice in "Merci". In questo modo la sua anima da esteta di Trastevere si cristallizza: da un lato c'è l'amore passionale che lo spinge anche all'infedeltà ("Vita"), dall'altro il suo linguaggio volgare e quasi caricaturale, dall'altro ancora l'estremizzazione quasi cinematografica della sua vita sentimentale (vedi "Merci").

Tuttavia, proprio come per il Decadentismo, l'innovazione in Carl Brave sta nel linguaggio. Come già Polaroid aveva anticipato, il romanesco sembra essere il suo tratto distintivo: se inizialmente si trattava solo di un atteggiamento linguistico che cavalcava il monopolio della scena romana nell’indie, col tempo questo aspetto è stato sempre più marcato. “Cioccare”, “tanare”, “a cavacecio”, “precio” e “fontanone” sono solo alcune delle espressioni gergali a cui Carl ci ha abituati. Non si tratta più di semplici termini romaneschi per colorare i testi, ma di chiavi di lettura per capire e decifrare la semantica della narrazione carlbraviana, attraverso le quali poter cogliere, e apprezzare a pieno, tutte le sfumature del suo immaginario testuale. Ma la vera innovazione di Carl risiede nell’aver dato nuovo senso significativo agli intercalari.

Ormai iconico è il suo “eh eh”, nato sicuramente per riempire vuoti metrici ma col tempo diventato un tratto fonetico distintivo, quasi al limiti dall’essere un tormentone da show comico. Da “eh eh” siamo passati velocemente agli “ehi ehi ehi” e al “ooh”, con occasionali “ahia” e “uh-uuh” (vedi “Camel Blu”). In un primo momento considerate come strategie fonetiche per bissare l’effetto dell’originario “eh eh”, sono poi diventate quasi una caricatura del personaggio-Carl Brave. La realtà, però, è che questi intercalari hanno un significato: rappresentano la rassegnazione di Carl di fronte all’inevitabile svolgersi della vita, a cui può solo reagire con un sospiro. Cosa dire quando la pischella che ami sbocca l’anima davanti ai tuoi occhi? Come reagire quando “i pizzardoni che mi fanno un’altra multa”? E cosa dire quando la sua “famiglia che mi fa senti’ un alieno”? Nulla, puoi solo rassegnarti alla piccolezza della condizione umana, fare spallucce e dire “eh”.

Non solo: il “eh eh” di Carl Brave sa un po' di Futurismo, quella corrente letteraria che ha fatto dei neologismi e delle onomatopee le proprie armi contro la monotonia della letteratura italiana del tempo. E come Marinetti giocava con parole in libertà, fonemi ed espressioni nuove, così Carl Brave mescola in un calderone linguistico francesismi, espressioni romanesche e svariati intercalari. Con lo stesso stupore e genuinità di un fanciullino. O con la stessa caciara di un romanaccio di Trastevere, a voi la scelta. Cecilia è su Instagram. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.