C’è stato un periodo nel quale segretamente mi divoravo qualsiasi reality gastronomico: cinque puntate alla volta di 4 Ristoranti, la doppia puntata di Masterchef la sera stessa che usciva e, naturalmente, il dilagante disagio di Cucine da Incubo.“Il menu di Cannavacciuolo è durato solo per quella puntata. Non che i suoi piatti non fossero buoni, ma non ha considerato che Roma ha delle ricette standard per i turisti”
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Nonostante la formula di questi programmi sia praticamente sempre la stessa da anni, non riuscivo a smettere di guardarli. Con una perversione tutta speciale per il programma di Antonino Cannavacciuolo, Cucine da Incubo, appunto. Dall’alto delle sue due stelle Michelin a Villa Crespi e a suon di pacche sulla schiena, lo chef compieva miracoli in locali disastrati, gestiti da persone che sembrava assurdo avessero anche solo pensato di aprire un ristorante.Non potevo fare a meno di pormi alcune domande: queste persone erano davvero così sprovvedute? Il loro cibo era seriamente così terrificante? Ma soprattutto, l’intervento dello chef Cannavacciuolo era stato quel miracolo divino che li aveva salvati dal baratro e dalla perdizione?Prima di rispondere a queste domande, un’infarinatura generale.
Cucine da Incubo è un format abbastanza antico (la prima stagione è del 2004) che viene dal Regno Unito. Il super chef Gordon Ramsay si intrufolava nelle cucine più orripilanti del Paese e, benedicendole con la sua esperienza, ridava loro nuova vita. In Italia Cucine da Incubo esiste dal 2013. Il lancio del programma è andato così bene da fare 270.000 spettatori in un canale privato (Fox Life). Insomma, niente male.Da allora non una sola virgola è cambiata: lo chef bistellato entra in ristoranti e locali in difficoltà, assaggia il menu dicendo quasi sempre che la roba fa indicibilmente schifo e comincia a lavorare con loro e su di loro per farne un posto decente dove la gente abbia voglia di entrare a mangiare. Analizza il loro servizio—che è invariabilmente una scarsità—li fa sedere tutti insieme a parlare come un mistico delle padelle, gli fa un menu ad hoc semplice e, spettacolo degli spettacoli, restaura il locale dalla sera alla mattina. Il servizio successivo è sempre un trionfo e tutti vissero felici e contenti.
Come funziona Cucine da Incubo
Cucine da Incubo è un format abbastanza antico (la prima stagione è del 2004) che viene dal Regno Unito. Il super chef Gordon Ramsay si intrufolava nelle cucine più orripilanti del Paese e, benedicendole con la sua esperienza, ridava loro nuova vita. In Italia Cucine da Incubo esiste dal 2013. Il lancio del programma è andato così bene da fare 270.000 spettatori in un canale privato (Fox Life). Insomma, niente male.Da allora non una sola virgola è cambiata: lo chef bistellato entra in ristoranti e locali in difficoltà, assaggia il menu dicendo quasi sempre che la roba fa indicibilmente schifo e comincia a lavorare con loro e su di loro per farne un posto decente dove la gente abbia voglia di entrare a mangiare. Analizza il loro servizio—che è invariabilmente una scarsità—li fa sedere tutti insieme a parlare come un mistico delle padelle, gli fa un menu ad hoc semplice e, spettacolo degli spettacoli, restaura il locale dalla sera alla mattina. Il servizio successivo è sempre un trionfo e tutti vissero felici e contenti.
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Per rispondere alle domande di cui sopra ho quindi contattato alcuni ristoranti che hanno partecipato al programma. Sono anche andato a visitarne uno a Roma, dove vivo, per toccare con mano l’esperienza mistica. Intanto, per rassicurarvi, posso dire che in linea di massima quello che vedete è abbastanza vero.
Le Lanterne, Roma
Iniziamo da Le Lanterne, ristorante in centro a Roma che ha partecipato alla prima edizione del programma ed è gestito dalla molto accogliente Emilia Karaš. Nella puntata del 2013 si vedeva un classico locale per turisti abbastanza brutto, desolato e con un menu da innumerevoli piatti. Con mia sorpresa mi sono trovato davanti un ristorante abbastanza pieno (ed è in una strana posizione, ci devi arrivare, non ci passi davanti se non per caso. Quindi presumo che viva ancora in parte di quell’esperienza televisiva) e con una sala un po’ troppo shabby, ma del tutto uguale a quella del programma nonostante i quasi dieci anni passati.
Ho ordinato dei paccheri all’amatriciana, come fece chef Cannavacciuolo, e una cotoletta di pollo, perché mi andava, accompagnata da cicoria. I paccheri sono arrivati dopo 20 minuti, ma non erano precotti come quelli nel programma. Sopra c’erano pezzi di guanciale piccoli che si sbriciolavano e nel complesso erano molto salati e piccanti. Dei piatti fatti da Cannavacciuolo nemmeno l’ombra. “Il menu dello chef è durato solo per quella puntata,” mi racconta Emilia Karaš. “Non che i piatti che ci ha proposto non fossero buoni, ma lo chef non ha considerato che Roma ha degli standard per i turisti: non puoi servire un piatto di cozze, devi comunque avere in carta le ricette tradizionali.” Quello dei menu un po’ senza personalità, se non quella dello chef, sembra essere un problema abbastanza comune.
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Ho chiesto poi a Emilia come fossero stati selezionati: loro hanno fatto una richiesta di partecipazione, ma ci sono altri ristoranti della prima edizione, come la Trattoria al Capolinea a Milano, che sono stati contattati dalla produzione. “In pratica hai una settimana per girare: il locale è invaso di persone che ti dicono cosa fare e cosa dire, selezionano delle comparse per strada per le cene che si vedono e alla fine danno una rinfrescata al locale,” continua Emilia Karaš. “La ristrutturazione la pagano loro, ma è solo superficiale: danno una rinfrescata alle pareti, la arredano in maniera diversa ed è fatta, in un giorno hai un locale nuovo.”Se vi state chiedendo quanti ristoranti si sono salvati e se la formula Cannavacciuolo funziona sul serio, al momento hanno chiuso 18 ristoranti e otto hanno cambiato gestione su un totale di 67 ristoranti in tutte le otto stagioni. Per fare un raffronto, in UK i ristoranti chiusi sono stati otto e altri tre sono stati venduti, ma in sole cinque stagioni. Quindi la formula del programma, possiamo dirlo, funziona abbastanza bene.”A noi è servita molto come esperienza, soprattutto a risolvere i problemi maggiori che avevamo, cioè quelli di comunicazione.”
La Tana degli Elfi, Roma
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Le 2 Fontane, Taranto
“Di vero c’è il 50%. All’epoca un po’ ce l’eravamo presa per le richieste che ci avevano fatto”