Ho temuto per la mia vita? Certamente. Ho pensato ai miei cari? Insomma: in realtà ero concentrata su me stessa, e penso fosse quella cosa chiamata istinto di sopravvivenza. Il mio fotografo Kevin Spicy è stato di qualche aiuto? No. Ho imparato qualcosa da questa esperienza? Sì, “che quando a Napoli giocava Maradona a fare il posteggiatore abusivo si prendeva come oggi in due settimane di lavoro” e “Trump è ‘nu strunz”.Terminata la corsa un po’ in stile Pechino Express ho attaccato, invece, a correre a piedi, per raggiungere il primo dei miei intervistati, Frah Quintale. A colpirmi è stato l’autore di Regardez-Moi, album che proprio allo scoccare della mezzanotte di quel giorno avrebbe compiuto due anni, perché aveva grossomodo la mia stessa faccia ma non era appena schizzato ai 120 superando a destra in strade allagate da un mese di diluvio."Con quei patatoni di Carl e Frah si fa per giocare, pensavo, mentre un Italo in clamoroso ritardo mi avvicinava alla città con il più alto tasso di tensione calcistica del momento."
Allontano un attimo Frah dalla cappa della gara per dirgli che Auroro Borealo, mio amico oltre che suo collega e fan, mi ha detto di lui che è arrivato al successo solo e soltanto perché la musica è la cosa che ama; perché ha l’esigenza di farla, divertendosi. Gli chiedo se è vero o se in realtà voleva solo fare i soldi. Frah ride e mi mostra un orologio Casio, dicendo che rappresenta perfettamente quanto gliene frega di quella parte lì della faccenda. “Sapevo che la musica era la mia cosa, ma che ci sarebbe voluto lavoro e impegno per farla diventare il mio lavoro. E sì, sono arrivati anche degli agi, ma non sono il calciatore con la villa, manco da lontano”."Mi sono svegliato alle quattro e non sono riuscito più a dormire fino alle sei. La sfida la sento, è qualcosa che mi innesca cose diverse rispetto a un normale live” - Frah Quintale
Allo scoccare dell’ottavo minuto di intervista, un Frah mormorante frasi su quanto sarebbe stato bello “andare in baita” invece che a fare la millemilesima prova mi è stato sottratto, mentre il team Red Bull m’ha fatto segno di seguirli in una corsa marziale verso la parte opposta del PalaPartenope—corsa che ha evidenziato non solo la mia scarsissima forma fisica ma pure la tendenza a rallentare i gruppi a causa dei continui inciampi in cose a caso.Sempre inciampando, ovviamente, sono arrivata nel camerino di Carl Brave, bianco come il Korova Milk Bar, dove sono stata invitata a cazzeggiare poco e partire con le domande. In quel vortice di frenesia, però, Carlo era l’incarnazione dello sciallo: "Sto in forma, mi sono svegliato a mezzogiorno, ho appena preso il caffè e aspetto di fare le ultime prove, soprattutto quelle con i guest”."Il rap è sempre stato molto legato ai giovani, e se ci sono ragazzi che stanno male ma ascoltano solo gente che dice quanto sta da dio e quanti soldi fa, non so se possano ricevere un aiuto." - Frah Quintale
Che cosa porta via, invece, dalla vita normale l’essere sempre in giro? “Nel successo ci sono un miliardo di lati insidiosi. La gente cambia la percezione che ha di te, e sembra una cazzata ed invece è una cosa grossa. Fa male quando lo vedi in persone che conosci da tempo, che ti si approcciano realmente in modo mutato in base ai riscontri che hai ottenuto”. Ma non può, gli chiedo, anche succedere che un musicista per primo cambi, dopo la fama? “Certo, però io mi sento sempre Carlo, Carlone. Poi magari non me ne accorgo e quelli che mi stanno attorno pensano sia diventato pazzo. Poi faccio un sondaggio, che mi interessa”.Con alle spalle il management che mi accerchia sempre più chiedo a Carlo quali, per lui, sono i valori che gli hanno permesso di dire di essere rimasto lo stesso: “Sono rimasto io perché sono sempre stato così: ossessivo nelle cose che faccio, senza tanti fronzoli. Non sono attaccato agli oggetti, mi piace vivere la musica e di musica e sono felice di poter non fare altri lavori, oggi, ma solo il musicista”."Ai primi concerti avevo un panico terrificante e così mi facevo il boccione di vodka prima e pure sul palco. Oggi sono arrivato allo spritzettino, appena prima di salire” - Carl Brave
Nel primo round ci si è affacciati a X Factor con la cover, un pezzo piuttosto noto dal titolo “Nel blu dipinto di blu”. Carl l’ha fatta un po’ reggae e un po’ ska, Frah l’ha resa un brano soul. Io, da giornalista imparziale, non posso in alcun modo pronunciarmi, quindi dirò solo che lo ska mi piaceva molto ottomila anni fa. A fine esibizione le tremila persone del PalaPartenope erano invitate a fare casino per misurare il vincitore con l’applausometro, ingegnoso strumento di tortura per gli over 30.Il secondo round non l’ho tanto capito—so solo che si chiamava Takeover, e in pratica i due sfidanti dovevano iniziare una canzone che veniva terminata poi dall’avversario, ma secondo me non avevano capito bene manco loro. E comunque in quel mentre ero distratta dalla visione di un signore cinquantenne grondante sudore ma in perenne stato cinetico che tirava come un folle da una sigaretta elettronica di quelle che puzzano di culo, preoccupata per la sua sorte.“Carlo, questa nemmeno con l’autotune la riesci a fare!” “Frah, la senti? Questa è musica suonata con gli strumenti, la riconosci?"