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cinema

Ho riguardato 'IT' vent'anni dopo

Per anni non sono riuscito a guardare un canale di scolo senza pensare che dentro ci abitasse un clown assassino.​ In attesa del remake di 'IT', ho riguardato la miniserie originale.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Non sono mai stato particolarmente attratto dai remake o dai reboot: non tanto perché sia uno di quei puristi secondo cui si rischia sempre di rovinare le bellezza cristallina di qualcosa di sempiterno se lo si replica, ma semplicemente perché non ho mai trovato molto interessante le rinterpretazioni di qualcosa che ho già visto. Eppure devo dire che quando qualche ora fa è stato pubblicato il trailer della nuova versione cinematografica di IT—che a quanto pare uscirà a settembre—mi sono unito alla massa di tutti coloro che hanno accolto la notizia con estremo entusiasmo.

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La miniserie televisiva in due puntate, ritrasmessa ciclicamente su Mediaset a partire dal 1993 per almeno un decennio, ha rappresentato uno dei primi tre o quattro prodotti horror iconici degli anni Novanta. Il romanzo da cui era tratta, uscito nel 1986, contribuì a rendere famoso Stephen King in tutto il mondo, cementando un vero e proprio culto attorno allo scrittore.

Ricordo distintamente che quando mio fratello maggiore riuscì a procurarsi il romanzo—poco dopo la prima messa in chiaro della serie, che ci era stato impedito di guardare—nostra madre glielo requisì, e si assicurò con impegno certosino che non ci trovassimo davanti alla tv ogni volta che IT veniva ritrasmesso. A quei tempi io e mio fratello eravamo ossessionati dai film horror, e ci dannammo in tutti i modi per riuscire a vedere quello che i nostri amici descrivevamo come la cosa più inquietante a cui avessero mai assistito. Mancammo almeno quattro repliche, e quando finalmente riuscimmo a guardarlo, durante un weekend in cui eravamo dai nonni, erano già passati due anni.

Forse fu tutta quell'attesa spasmodica, o il fatto che avevo solo nove anni, non lo so, ma come nella più classica delle narrazioni generazionali su IT, quel film mi procurò diversi traumi. Se siete nati a cavallo anni Ottanta e Novanta sapete benissimo di cosa sto parlando: probabilmente per anni non siete riusciti a guardare il gorgo di un canale di scolo fognario senza pensare che dentro ci abitasse un clown assassino.

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Adesso che tutti sono tornati a parlarne nuovamente, quindi, ho pensato di rivedere la vecchia versione, dopo più o meno 20 anni dall'ultima volta che l'ho fatto, per capire cosa ci avrei trovato e quali fossero in effetti quei canoni che hanno contribuito a rendere IT così incisivo.

Per chi non lo avesse mai visto, o letto il libro, IT è una saga che si svolge in due lassi temporali distanti fra loro: racconta la storia di un gruppo di ragazzini di una cittadina del Maine che durante un'estate del 1960 tentano di sconfiggere un mostro mutaforma—che può assumere le sembianze delle paure più recondite degli esseri umani, ma che generalmente si presenta come un pagliaccio inquietante—che ogni 30 anni (27 nel libro) si risveglia per nutrirsi di bambini. Alla fine del primo ciclo, i ragazzi giurano solennemente che se mai un giorno IT dovesse ripresentarsi, loro si riuniranno per ucciderlo: e quando effettivamente questo avviene, ognuno di loro è costretto a lasciare la propria vita da adulto per onorare la promessa e rivivere insieme i traumi dell'infanzia. Una descrizione che calza a pennello con ciò che mi stavo accingendo a fare.

La premessa necessaria per cercare di articolare un'analisi sulla miniserie di IT, è quella di specificare fin dall'inizio che rivederlo nel 2017 e superati i 13 anni è per alcuni versi piuttosto deludente. I dialoghi sono spesso comici, più che inquietanti, e rivedere oggi molte delle scene che mi avevano terrorizzato a livello spinale da bambino non mi ha provocato nient'altro che indifferenza. Palloncini pieni di sangue che escono dal lavandino, scheletri fangosi che nuotano nelle lagune, teste parlanti nel frigorifero, licantropi vestiti con giacchetti sportivi, il fantasma del bambino con il braccio mozzato: le scene più famose hanno perso tutta la forza che ricordavo.

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Più che sulla trama, a tratti mi sono concentrato più sull'orribile vestiario anni Novanta indossato da protagonisti, o sulle loro capigliature vaporose. Ma nonostante questo, devo dire che ci sono almeno due o tre scene piuttosto incisive, che non mi ricordavo, e che un po' mi hanno fatto cagare addosso come era avvenuto la prima volta. Sono tutte legate al principale motivo per cui IT assume spessore come film horror: ovvero quello di soffermarsi sul concetto secondo cui le paure che ci hanno ossessionato da bambini si calcificano nella memoria, ripresentandosi in maniera iconica nell'età adulta. Non ci sono assassini seriali impossibili da uccidere, o creature che vengono dall'inferno: ogni mostro è generato da un'ossessione precisa e inconscia, ed è fittizio.

Nel film (ma anche nel libro) queste ossessioni sono piuttosto stereotipate—il bambino schiacciato dalla mania di controllo della madre, o la ragazzina che per anni ha subito violenze dal padre—ma la sfumatura con cui vengono presentate mantiene ancora oggi un certo livello di inquietudine. Non c'è un eccessivo richiamo alla violenza manifesta: tutto si concentra su quello che potrebbe accadere. Tanto che quando effettivamente muore qualcuno in modo cruento, il primo pensiero che ti viene è "dai, alla fine pensavo che potesse andargli peggio."

La paura è suscitata da situazioni che con un minimo di razionalità non hanno niente di veramente minaccioso: prendiamo la scena in cui Beverly—l'unica femmina del gruppo—torna nella casa in cui subiva violenze.

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Ad accoglierla c'è una vecchia con la voce roca, che la invita a bere una tazza di tè. Alla fine si scopre che la vecchia altro non è una forma assunta da IT, probabilmente la più innocua, che si tramuta in una versione zombie del padre con la permanente. Tanto che a posteriori ti viene da pensare "È una vecchia! Tirale una sedia in testa, e rubale la pensione." Ma il modo in cui succhia il tè dalla tazzina, quello in cui mostra i denti marci, o il tono sempre più roco che assume la sua voce mi hanno fatto impressione. Per il modo in cui venivano raccontate le storie horror dell'epoca, questo rimase piuttosto ancorato alla memoria collettiva, ed è uno degli aspetti che hanno contribuito a rendere IT così iconico.

L'altra grande matrice stilistica che ha fatto sì che questa storia diventasse un cult, è la mitizzazione dell'infanzia: chi ha un minimo di consuetudine con la opere di King sa che questo aspetto riveste un ruolo fondamentale in diversi suoi lavori.

Il bambino selvaggio de L'Ombra dello Scorpione, il gruppo di amici di Stand By Me: King ha sempre avuto una sensibilità piuttosto spiccata e quasi dickensiana nella caratterizzazione dei bambini e delle loro ossessioni. In IT, in particolare, questo si lega alla tematica dell'unione, e dell'emarginazione: ogni membro del gruppo è un reietto—il balbuziente, il brutto, il nero, il malaticcio, la povera figlia del bidello, l'orfano grasso, lo scout saccente—tanto che si autonominano "la banda degli sfigati." Sono perseguitati da un gruppetto di bulli con i capelli a culo d'anatra che vanno in giro con il coltello a serramanico, e allo stesso tempo vengono vessati senza sosta dalle varie famiglie. Ma quello che distingue IT da Stand By Me, è l'infantilizzazione dell'età adulta: anche a distanza di 30 anni, ogni membro del gruppo mantiene inalterate le proprie pulsioni, e quando si ritrovano per uccidere IT, queste si manifestano di nuovo. È un escamotage narrativo piuttosto abborracciato e superficiale in realtà: ma questa prospettiva narrativa funzionò moltissimo all'epoca.

Il terzo punto che ha contribuito a creare il mito di IT, è tutta quella serie di aspetti e dettagli scenici che l'hanno fissato nella memoria di tutti: la filastrocca cantata dalla bambina sul triciclo all'inizio del film, il fratellino ucciso vestito con la cerata gialla, e soprattutto l'immagine del pagliaccio Pennywise, interpretato da Tim Curry—lo stesso attore che faceva il portiere d'albergo in Mamma, ho riperso l'aereo: mi sono smarrito a New York—e che ha il dono di saper fare il sorriso più mellifluo che abbia mai visto in vita mia. Al di là della storia, della retorica sull'infanzia e sull'oblio della morte, IT racchiude tutta una serie di particolari narrativi che consentono di distinguerlo dagli altri horror, e che sono legati fra loro dall'atmosfera di indifferenza, bigottismo, e normalità adatta a un piccolo centro abitato del Maine negli anni Sessanta.

Prima di allora, la commistione fra la retorica sull'infanzia, il pericolo evocato ma mai manifesto, e la particolarità dell'ambientazione e dei personaggi non si era mai vista in un prodotto pensato per il grande pubblico.

Quello che più mi incuriosisce del remake, alla fine, è come saranno attualizzati questi tre punti: se Strangers Things ha dimostrato che l'accoppiata inquietudine/bambini funziona perfettamente ancora oggi, è anche vero che alcuni aspetti di IT sono difficili da replicare con il tono autocosciente che ha assunto il cinema contemporaneo. Per come la vedo io, probabilmente la parte più complicata sarà quella di saper restituire quell'aura di distanza che IT aveva rispetto agli altri prodotti horror.