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Questo articolo nasce da una collaborazione tra VICE News Italia e De Correspondent. Il presente articolo è un estratto dall’ebook ‘Utopia for Realists‘ di Rutger Bregman, in uscita il 18 aprile 2016.*
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Londra, maggio 2009. Ci sono 13 uomini senza fissa dimora, tutti veterani della strada: alcuni dormono sui marciapiedi freddi della City, il cuore della finanza europea, da quasi 40 anni. Tra le spese di polizia, del tribunale e dei servizi sociali, mantenerli costa alle casse statali circa 500.000 euro. Ogni anno.
Il peso economico per il Comune e le organizzazioni di solidarietà è troppo grande perché le cose restino tali. È per questo che Broadway – un’organizzazione benefica con sede a Londra – prende una decisione radicale: d’ora in poi, i 13 vagabondi riceveranno un trattamento speciale. Diranno addio ai buoni spesa, alle mense per i poveri e ai rifugi per senzatetto. In cambio, sarà loro garantito un salvataggio tanto drastico, quanto istantaneo.
D’ora in poi, questi senzatetto riceveranno soldi gratis.
Per essere precisi, i 13 avranno a disposizione 3.800 euro all’anno per le spese, senza dover fare assolutamente nulla in cambio. Possono spendere i soldi come preferiscono. Non ci sono precondizioni, nessun controllo particolare.
Gli viene rivolta solo una domanda, per di più semplice: di cosa hai bisogno?
Corsi di giardinaggio
“Non avevo grandi aspettative,” ricorda uno degli assistenti sociali coinvolti nell’esperimento.
Ma i desiderata dei senzatetto sono risultati estremamente modesti. C’è chi ha chiesto un telefono, chi un dizionario, chi un apparecchio acustico — ognuno aveva le proprie necessità, quasi tutte erano assolutamente frugali. Così, dopo un anno, ognuno di loro aveva speso in media solo 1.000 euro.
Prendiamo Simon, che per vent’anni è stato un eroinomane. I soldi gli hanno cambiato la vita. Si è disintossicato e ha iniziato a seguire un corso di giardinaggio. “Per qualche motivo, per la prima volta in vita mia, tutto sembra funzionare,” racconta. “Sto iniziando a prendermi cura di me, mi lavo e mi faccio la barba. Ora sto pensando di tornare a casa. Ho due bambini.”
A un anno e mezzo dall’inizio dell’esperimento, sette di loro avevano un tetto sopra la testa, e altri due stavano per trasferircisi. Tutti e 13 hanno fatto dei passi importanti verso la sicurezza economica e la crescita personale. Si sono iscritti a corsi, hanno imparato a cucinare, affrontato percorsi di disintossicazione, fatto visita alle famiglie. Hanno iniziato a pianificare il loro futuro.
“[Gestire i soldi] conferisce potere e responsabilità alle persone,” dice uno degli assistenti sociali coinvolti nel progetto. “Permette una vasta scelta. Credo che possa cambiare le cose.” Dopo decenni di sforzi di vario genere completamente inutili, nove vagabondi seriali erano stati tolti dalla strada. Il costo? Circa 50.000 sterline (62.000 euro) l’anno, inclusi i salari degli assistenti sociali. In altre parole, non solo il progetto ha aiutato nove persone, ma ha anche ridotto significativamente i costi. Addirittura l’Economist è arrivato alla conclusione che “il modo più efficiente di spendere soldi per i senzatetto è di darli a loro.”
I dati
I poveri non sanno gestire i soldi. Questa sembra essere l’opinione prevalente, quasi un’ovvietà. Dopotutto, se sapessero come gestire i soldi, come potrebbero essere ancora poveri?
Siamo convinti che li spendano in fast food e Coca Cola, invece che in frutta fresca e libri. Quindi, per “aiutarli,” abbiamo ideato una miriade di programmi d’assistenza innovativi, che però prevedono montagne di burocrazia, complessi sistemi di registrazione e un esercito di ispettori, e che ruotano tutti intorno al medesimo principio biblico: “Se un uomo non vuol lavorare, allora neppure mangi” (2 Tessalonicesi 3:10). Il messaggio è chiaro: I soldi gratis rendono la persone pigre.
Tuttavia, stando ai dati, non è così.
Diverse ricerche hanno infatti già messo in relazione la distribuzione gratuita di denaro con un calo di reati, mortalità infantile, malnutrizione, gravidanze in adolescenza e assenteismo, e con il miglioramento di performance scolastiche, crescita economica e uguaglianza di genere. “Il motivo principale per cui i poveri sono poveri è che non hanno abbastanza soldi,” ha spiegato l’economista Charles Kenny su Bloomberg Businessweek, “e non dovrebbe sorprendere che dar loro soldi è efficace nel ridurre il problema.”
Nel loro libro Just Give Money to the Poor del 2010, i ricercatori dell’Università di Manchester forniscono numerosi esempi di come la distribuzione di contanti tra i meno abbienti abbia funzionato. In Namibia, il tasso di denutrizione è crollato (dal 42 al 10 per cento), così come il tasso di assenteismo (dal 40 a praticamente lo zero per cento) e la criminalità (del 42 per cento).
In Malawi, la frequenza scolastica di donne e bambine è aumentata del 40 per cento, indipendentemente dal fatto che i soldi donati fossero soggetti a condizioni o meno. In generale, sono proprio i bambini a beneficiare maggiormente dei soldi: soffrono meno la fame e le malattie, crescono meglio, migliorano a scuola e ci sono meno probabilità che siano costretti a lavorare durante l’infanzia.
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Dall’India al Brasile, dal Messico al Sudafrica, i programmi di distribuzione di contanti si sono diffusi in tutto il Sud del mondo. Nel 2010, coinvolgevano già più di 110 milioni di famiglie in 45 paesi.
La cosa fantastica dei soldi è che le persone possono usarli per comprare le cose che davvero gli servono, invece di acquistare quello che i cosiddetti “esperti” gli consigliano. Ci sono due particolari categorie di prodotti per cui le persone povere non spendono i soldi che ricevono: l’alcool e il tabacco. Un importante studio della Banca Mondiale ha infatti dimostrato che, nel 95 per cento dei casi analizzati in Africa, America Latina e Asia, il consumo di alcool e tabacco non ha subito impennate. Spesso, anzi, è calato.
“Il motivo principale per cui i poveri sono poveri è che non hanno abbastanza soldi.”
In Liberia è stato condotto un esperimento per capire cosa succede se decidi di regalare qualche centinaio di dollari a poveri della peggior specie. Sono andati a recuperare gli alcolizzati, i drogati, e i piccoli criminali delle baraccopoli. Tre anni dopo, indovinate per cosa avevano speso i propri soldi: cibo, vestiti, medicine e l’avviamento di piccole imprese. “Se nemmeno queste persone hanno buttato via i soldi gratis,” si è chiesto uno dei ricercatori, “chi altro lo farebbe?”
Utopia
Soldi gratis: è una nozione che era già stata proposta da alcuni dei più grandi pensatori della storia. Tommaso Moro ne parla come un sogno in Utopia, pubblicato nel 1516. Innumerevoli economisti e filosofi – tra cui alcuni premi Nobel – hanno approfondito la sua teoria.
I sostenitori di questa idea sono schierati sia a destra che a sinistra, persino tra i fondatori del pensiero neoliberale, Friedrich Hayek e Milton Friedman. E l’Articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) promette che, un giorno, le nostre società introdurranno un reddito di base. Garantito, e universale.
E questo non solo per alcuni anni, o solo nei paesi in via di sviluppo, o solo per i poveri, ma proprio per tutti. Non sarebbe un favore, ma un diritto. Potremmo chiamarla “la via capitalistica verso il comunismo.”
Una paga mensile, abbastanza consistente per poter vivere senza muovere un dito. L’unica condizione necessaria è quella di “avere un cuore che batte.” Senza trovarsi con il fiato degli ispettori sul collo, che controllano che tu spenda saggiamente, nessuno che mette in dubbio quanto veramente i soldi siano meritati. Niente più programmi di assistenza o sgravi fiscali; al massimo, un po’ di soldi in più per gli anziani, i disoccupati e quelli che sono impossibilitati a lavorare.
Il reddito minimo: un’idea per cui i tempi potrebbero essere davvero maturi.
Mincome, Canada
In una soffitta adibita a magazzino a Winnipeg, in Canada, sono stipate 2.000 scatole impolverate. All’interno c’è una montagna di dati – grafici, tabelle, rapporti, interviste – su uno dei più affascinanti esperimenti sociali del dopoguerra.
Si tratta del Mincome, reddito minimo.
Evelyn Forget, professoressa all’Università di Manitoba, ha scoperto per prima questi registri nel 2004. Per cinque lunghi anni ha provato a convincere gli archivi nazionali del Canada a permetterle di accedere al magazzino. Nel 2009, finalmente, ci è riuscita. Quando è entrata nella soffitta per la prima volta, Forget non poteva credere ai propri occhi. Un tesoro di informazioni sull’applicazione reale del sogno di Tommaso Moro, concepito cinque secoli prima.
Nel marzo 1973, il governo provinciale di Manitoba ha stanziato una somma pari a circa 73 milioni di euro per il progetto. L’esperimento è stato svolto a Dauphin, una cittadina di 13.000 abitanti situata a nord ovest di Winnipeg. A Dauphin tutti ricevevano un reddito minimo, così nessuno avrebbe vissuto al di sotto della soglia di povertà. In pratica, il 30 per cento degli abitanti della cittadina – 1.000 famiglie in tutto – riceveva un assegno via posta ogni settimana. Una famiglia di quattro persone riceveva quindi circa 17.000 euro l’anno, senza se e senza ma.
Per quattro anni tutto è andato bene; poi sono arrivate le elezioni a rovinare tutto. È salito al potere un governo conservatore, che non è riuscito a trovare alcun buon motivo per continuare un esperimento così dispendioso, che pesava per tre quarti sulle casse governative. Quando è diventato chiaro che la nuova amministrazione non avrebbe finanziato nemmeno un’analisi dei risultati dell’esperimento, i ricercatori hanno deciso di lasciar perdere, e impacchettato tutti i documenti nelle 2.000 scatole.
Quando la professoressa Forget ha scoperto l’esperimento di Mincome per la prima volta, nessuno sapeva cosa fosse stato realmente dimostrato, sempre che fosse stato dimostrato qualcosa. Per tre anni, ha analizzato tutti i dati parametrandoli a diversi tipi di canoni statistici.
Qualsiasi calcolo effettuasse, il risultato era sempre lo stesso: il reddito minimo garantito era stato un enorme successo.
Da esperimento a legge
“Politicamente, si temeva che con l’introduzione di un reddito minimo annuale, le persone avrebbero smesso di lavorare e le famiglie si sarebbero allargate,” ha detto Forget.
In realtà era accaduto proprio il contrario. I giovani avevano posticipato il proprio matrimonio, i tassi di nascita erano scesi in maniera precipitosa. La partecipazione scolastica, in compenso, era migliorata nettamente: il “gruppo di Mincome” studiava di più e più velocemente. Alla fine, il totale delle ore lavorate era sceso soltanto dell’un per cento tra gli uomini, del tre per cento per le donne sposate, e del cinque per cento per le donne single. Gli uomini che mantenevano la famiglia lavoravano più o meno come prima; le neo-mamme usavano l’aiuto monetario per gestire con più serenità la maternità; gli studenti studiavano più a lungo.
La cosa più importante scoperta da Forget, però, riguarda la quantità di ricoveri in ospedale — che, nel periodo analizzato, erano diminuiti dell’8,5 per cento. Alcuni anni dopo l’esperimento, era diminuita anche la violenza domestica, così come i problemi di salute mentale. Il reddito minimo garantito aveva reso tutta la cittadinanza più sana.
Forget è riuscita persino a tracciare l’impatto del reddito minimo sulle generazioni successive, sia in termini di guadagni che di salute psicofisica.
Dauphin – “la città senza povertà” – è uno dei cinque esperimenti di reddito garantito svolti in America. L’unico in Canada, visto che gli altri quattro sono tutti stati condotti negli Stati Uniti. Poche persone oggi sono a conoscenza del fatto che gli Stati Uniti erano a un passo dallo stabilire una rete di sicurezza sociale estesa almeno quanto quella della maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale. Quando il presidente Lyndon B. Johnson dichiarò “Guerra alla Povertà” nel 1964, sia i Democratici che i Repubblicani avevano appoggiato congiuntamente le riforme fondamentali del welfare.
Prima dell’implementazione, comunque, c’era bisogno di alcuni test. Decine di milioni di dollari vennero destinati al reddito minimo per più di 8.500 americani in New Jersey, Pennsylvania, Iowa, North Carolina, Seattle e Denver — i primi esperimenti sociali a ampio raggio che distinsero tra gruppi sperimentali e gruppi di controllo.
I ricercatori volevano trovare la risposta a tre domande: (1) Le persone avrebbero lavorato molto meno, con un reddito minimo garantito? (2) Il programma sarebbe stato troppo costoso? (3) Si sarebbe dimostrato politicamente inattuabile?
Le risposte furono no, no e sì.
In generale il calo delle ore lavorative è risultato molto limitato. “[La] diminuzione delle ore di lavoro pagato era compensata da altra attività utili, come la ricerca di occupazioni migliori o lo svolgimento di lavori domestici,” riporta la relazione finale dell’esperimento di Seattle. Per esempio, una madre che aveva abbandonato gli studi ha impiegato il tempo libero per ottenere una laurea in psicologia, per poi farsi assumere come ricercatrice.
Un’altra donna ha iniziato a frequentare lezioni di teatro. Suo marito si è messo a comporre musica. “Adesso siamo artisti autosufficienti che si guadagnano da vivere,” ha raccontato la donna ai ricercatori. Quasi tutti i giovani che hanno preso parte all’esperimento impiegavano le ore libere dal lavoro per migliorare il proprio grado di istruzione. Tra gli abitanti del New Jersey il tasso di laureati è aumentato del 30 per cento.
“All’inizio, tutte le svolte più profonde della civiltà odorano un po’ di utopia.”
Nell’agosto 1968 il presidente Nixon presentò un decreto per introdurre un reddito di base minimo, definendolo “il più importante elemento di legislazione sociale della storia del paese.” Un sondaggio condotto dalla Casa Bianca rilevò che il 90 per cento degli intervistati era incline a sostenere il progetto. Anche gli organi religiosi, come il Consiglio Nazionale delle Chiese, erano favorevoli — così come i sindacati e il settore industriale. Si diffuse un certo entusiasmo nell’opinione pubblica: i commentatori dell’epoca citarono una celebre frase di Victor Hugo: “Niente è più forte di un’idea il cui momento è ormai giunto.”
A quel punto, sembrava che fosse finalmente arrivata l’ora del reddito universale.
“Il piano welfare approvato dal Congresso […] una battaglia vinta nella crociata per le riforme,” titolava il New York Times del 16 aprile 1970. Con 243 voti favorevoli e 155 contrari, il Piano di Assistenza alla Famiglia di Nixon fu approvato con una netta maggioranza.
La maggior parte degli opinionisti si aspettava l’approvazione della riforma anche in Senato, dove i rappresentanti erano ancora più progressisti di quelli della Camera. Ma fu a quel punto, all’interno della Commissione alle Finanze del Senato, che sorsero i primi dubbi.
“Questa proposta di legge rappresenta la norma sul welfare più estesa, costosa e progressista mai vista,” disse allora un senatore repubblicano. Chi si opponeva alla proposta con più veemenza però erano i democratici, i quali credevano che il Piano non fosse abbastanza incisivo e spingevano per un salario minimo ancora più alto. Alla fine, dopo mesi di tira e molla tra il Senato e la Casa Bianca, la proposta di legge è stata cassata.
L’anno successivo Nixon presentò al Congresso una proposta leggermente rivisitata. Ancora una volta il decreto fu approvato dalla Camera, questa volta all’interno di un pacchetto di riforme più ampio. Nel suo Discorso sullo Stato dell’Unione del 1971, Nixon descrisse l’obiettivo del suo progetto come quello di “mettere delle fondamenta sotto il reddito di ogni famiglia d’America con bambini,” precisando come fosse l’elemento più importante della sua agenda politica.
Ma ancora una volta la proposta fu affossata dal Senato.
Il progetto per un reddito minimo venne poi definitivamente archiviato nel 1978, in seguito alla pubblicazione dei risultati finali dell’esperimento di Seattle. Una scoperta, in particolare, attirò l’attenzione di tutti: il numero dei divorzi era cresciuto di oltre il 50 per cento. Ben presto le polemiche seguite a questo dato misero in ombra tutti gli altri risultati, che riguardavano scuola e salute. Evidentemente, un reddito minimo rendeva le donne troppo indipendenti.
Dieci anni più tardi una nuova analisi dei dati rivelò tuttavia la presenza di un errore statistico; in realtà, il tasso di divorzi non era cambiato affatto.
Futile, pericoloso e perverso
La storia prende, a volte, delle pieghe inaspettate. “Si può fare! Combattere la Povertà in America entro il 1976,” scriveva il vincitore del Premio Nobel James Tobin nel 1967. All’epoca, quasi l’80 per cento degli americani sosteneva l’idea di un reddito minimo garantito. Alcuni anni dopo Ronald Regan avrebbe detto sarcasticamente: “Negli anni Sessanta abbiamo dichiarato guerra alla povertà, e la povertà ha vinto.”
Tuttavia, certi ideali non muoiono mai.
Negli ultimi anni si è tornati a parlare del reddito minimo. In Svizzera si terrà un referendum per valutare l’introduzione di un reddito di cittadinanza. Alcune sperimentazioni su vasta scala sono state annunciate in Finlandia e in Canada, e sono in fase di sviluppo in quasi 20 città dei Paesi Bassi.
Anche nella Silicon Valley non si fa altro che parlare di reddito di base. Forse è veramente arrivato il momento di dire basta alle false credenze che eravamo quasi riusciti a scacciare 40 anni fa: la menzogna che una vita senza povertà è un privilegio per cui si deve lavorare sodo, invece che un diritto di tutti.
Ricordiamocelo: all’inizio, tutte le svolte più profonde della civiltà odorano un po’ di utopia. Ma non appena l’utopia diventa realtà, l’idea iniziale sembra un colpo di genio.
Tutte le utopie nascono piccole, come sperimentazioni che cambiando il mondo poco alla volta. È successo solo pochi anni fa per le strade di Londra, quando quei 13 senzatetto si sono ritrovati in tasca 3.000 sterline, senza che gli venisse chiesto nulla in cambio.
Come ha detto un volontario, “è abbastanza difficile cambiare in un giorno il modo in cui è sempre affrontato un problema. Questi test ci danno l’opportunità di parlarne in modo diverso, pensare in modo diverso e descrivere il problema in modo diverso.”
Ed è così che nasce il progresso.
* De Correspondent è una piattaforma giornalistica online olandese focalizzata che propone articoli di analisi, inchiesta e opinione, fondata nel 2013 attraverso il crowdfunding di maggior successo nella storia del giornalismo. È possibile acquistare ‘Utopia for Realists’ di Rutger Bregman su Amazon a questo link.
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Foto in apertura di Sascha Kohlmann via Flickr in Creative Commons.