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Siamo stati sul set di Romulus II – La guerra per Roma

La serie Sky Original di Matteo Rovere, disponibile dal 21 ottobre, vuole rielaborare la genesi del mito di Romolo e Remo.
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Tutte le foto di Paolo Ciriello per gentile concessione di Sky.

Questo articolo è stato prodotto per il lancio di Romulus II, dal 21 ottobre in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW.

Ho appena varcato la soglia della leggenda che ha prodotto l'Impero romano: intorno a me si stagliano le mura difensive e l'arena, la casa "patronale" e quelle comuni piene di fregi, un altare votivo colmo di ossa e teschi e mille altri particolari scenografici e minuzie che s'imprimono nella memoria con la forza della miglior inquadratura possibile.

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Il set che sono stato invitato a visitare è quello di Romulus II – La guerra per Roma, una serie Sky Original ideata da Matteo Rovere e prodotta da Sky Studios, Cattleya, Groenlandia in collaborazione con ITV Studios, che vuole rielaborare a suo modo la genesi del mito di Romolo e Remo. Ci troviamo in un'ex cava di travertino sul fondo di una vallata nel territorio di Guidonia Montecelio, vicino Roma, dove le gelatine, le luci e i cavi strisciano tra cespugli radi, piccole alture e un mare magnum di fango e preistoria italica.

Mi sento a metà tra un parco di divertimenti e il sogno allucinato di uno storico. Mentre risaliamo la strada che ci porterà al centro dell'accampamento, colmo di strutture curate fino alla verosimiglianza filologica, una delle guide sintetizza con brio la prima impressione, "Questa qui è Roma."

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Nel 2019, Il primo re ha cercato di anticipare lo spirito di questa orgogliosa conclusione ed è riuscito a scardinare le regole del cinema italiano con una buona dose di violenza e minimalismo stilistico. Matteo Rovere, alla sua ambiziosa seconda prova di regia, ha diretto un film tetro e sanguinolento che racconta le vicende di Romolo e Remo e la fondazione mitica di Roma con gli strumenti dei film "di genere" e un approccio affine ad Apocalypto, Centurion e Valhalla Rising (scatenando, nel frattempo, un dibattito riguardante il presunto sottotesto politico dell'operazione).

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Il processo dà i suoi frutti e nel 2020 si incarna in un nuovo progetto, quella serie intitolata Romulus che è ormai alla seconda stagione, e che prevedibilmente produrrà nuove discussioni relative all'immaginario e al suo contenuto storico e politico. Tanto più che, a ogni nuova puntata, la narrazione tenderà ad avvicinarsi sempre più alla genesi di quella leggenda a cui facciamo risalire la fondazione di Roma, e giocoforza potrebbe diventare il fulcro di un nuovo dibattito.

Tra i motivi di questo interesse critico, che sfocia spesso nell'accanimento, troviamo certamente il fatto che ancora oggi, quando parliamo di cinema, cultura e pop, fatichiamo a tralasciare e superare la "dimensione politica" in favore del piacere dell'intrattenimento e della narrazione pura e semplice.

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Proprio per queste ragioni, Il primo re e Romulus sono oltremodo importanti, e me ne rendo conto quando veniamo invitati ad assistere alle riprese di una scena che finirà nella seconda stagione, così come quando parliamo con alcuni dei protagonisti, Andrea Arcangeli e Francesco Di Napoli, mentre si sottopongono al trucco, ai costumi e alla parrucche di scena. Per ogni persona che partecipa alla serie, al centro del discorso c'è soltanto la storia narrata e la forza esplicitata dai rapporti tra i personaggi, i loro sentimenti e relazioni. Nient'altro; né il bisogno di rinfocolare l'identità nazionale, né la voglia di perdersi in diatribe politico-ideologiche.

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A solenne riprova, Rovere tiene molto a sottolineare quanto il lavoro su questa serie sia incentrato su, e parta da, un approccio "comunitario". Un modello produttivo che insiste sul lavoro di squadra sin dalla fase iniziale dei lavori e dai primissimi momenti della writers' room, per passare poi ovviamente ai tanti e variegati compiti gestiti dai vari membri della troupe, e finire con la divisione dei lavori e delle mansioni che avviene anche nelle singole parti e sezioni di ogni episodio—si tratti dei dialoghi, delle scene d'azione o di altri momenti di scrittura e regia.

Si tratta di un modo di porsi rispetto all'industria che porta a considerare di primaria importanza aspetti che altrove vengono tralasciati. Non è un caso che la produzione abbia scelto di avvalersi dell'aiuto di ZEN 2030, un'organizzazione che punta ad "accompagnare l’intero settore del Cinema Italiano sulla via delle zero emissioni nette per poi diventare Carbon Negative," fornendo in pratica alle produzioni un percorso di sostenibilità quasi totale nonché certificata, che prevede il recupero e il riutilizzo dei materiali usati sul set e nei costumi, l'attenzione alla filiera locale per quanto riguarda il catering, lo sfruttamento delle rinnovabili e molto altro ancora.

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Per Rovere, tra l'altro, è a maggior ragione essenziale lavorare anche con imprese, volti, cervelli e voci nuovi e giovani, tanto da farne quasi un lungimirante manifesto professionale, che punta a far crescere diverse generazioni tenendo bene a mente la prospettiva del cinema italiano del dopodomani. In fondo, l'industria si auto-alimenta e trae nuova linfa dai vecchi successi, e in qualche maniera le singole vittorie finiscono per riflettersi anche sull'insieme delle altre produzioni.

Si tratta di un approccio doppiamente piacevole e significativo, considerando che la visione che lega e unifica questo discorso implica un orizzonte olistico del sistema-cinema nostrano, così come una visione a 360° del sistema mondo. Quello stesso modo di porsi che ha permesso alla Roma antica di configurarsi come uno splendido esempio di proto-inclusività e multiculturalismo e di ergersi a complicato modello del tentativo democratico. E chissà che anche Romulus II non finisca per svettare come sfavillante modello futuro per la serialità italiana.