Pol G Assalti Frontali
Immagine estratta dal video di "Piazza Indipendenza" degli Assalti Frontali su YouTube

Musica

Abbiamo parlato con Pol G degli Assalti Frontali di Golden Age e trap

Pochi giorni prima dell'arresto, Italian Folgorati ha incontrato lo storico esponente dell'hip hop nostrano per una discussione in totale libertà.

Ma che diamine succede nel mondo dell’hip hop italiano? Se proviamo a individuare un po' di snodi fondamentali degli ultimi mesi ci accorgiamo di un po' di stranezze: J-Ax si è messo a fare punk in maniera esplicita—benché la svolta fosse già palese negli ultimi dischi degli Articolo, ma vabbè—, Achille Lauro si lancia in un revival della dance anni Novanta e Fedez butta dentro persino la progressive scomodando Robert Miles.

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Siamo impazziti, dove sono finite le mitiche basi strumentali hip hop e la loro costruzione artigianale?  Quella maestria fatta di ricerca, di taglia e cuci e capacità di rendere originale quanto già sentito, o di trasformare in hit musiche sconosciute. Preso da un raptus alzo quindi il telefono a nome Italian Folgorati e chiamo l’unica persona che può chiarirmi la situazione: un esperto e un mito, ovvero Pol G (Paolo Bevilacqua), una delle due voci degli Assalti Frontali, nonché colonna portante dei Brutopop.

Gli Assalti Frontali sono la base su cui in pratica è stato costruito tutto il rap italiano a venire e non dovrebbero aver bisogno di presentazioni, in quanto tra le prime in Italia ad aver sdoganato il genere negli anni 90: sono il prodotto di un'esperienza di lotta, musica e militanza nata con le radio libere, e in particolare con Radio Onda Rossa, e proseguita poi con Onda Rossa Posse fino segnare tutta la scena. Brutopop, invece, è un'esperienza molto più bizzarra, ma altrettanto radicale e interessante: un cigno nero della musica italiana, che è stata in grado di muoversi dal post-punk per spalancare gli orizzonti e diventare vero e proprio post-rock, tra parentesi strumentali, influssi morriconiani, beat simil-trip hop, forme pop mutanti e chissà cos'altro ancora.

Quel che è certo è che Pol G mi abita a tre centimetri da casa e che i due gruppi si son sempre scambiati anima e componenti, in una continuità totale che vede proprio Pol G tra i membri fondamentali di sempre. Lo incontro sempre in un noto bar di Torpignattara, che in realtà è un pizzicarolo o ristorante.

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L’unica persona che può illuminarci sulla situazione del rap di oggi è Pol G: un esperto e un mito, una delle due voci degli Assalti Frontali, nonché colonna portante dei Brutopop.

Purtroppo ci vediamo sempre di fretta e per due mesi non abbiamo fatto altro che guardarci e basta, senza un saluto, in maniera alquanto surreale. Proprio per questo, all'ennesima occasione ci sediamo rilassati e, con calma biblica, iniziamo una conversazione riguardante le tendenze  attuali della scena rap e quel che ci aspetta in futuro, su queste e altre coordinate.

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L'intervista è stata realizzata pochi giorni prima dell'arresto di Paolo Bevilacqua. Abbiamo scelto di pubblicarla comunque, in considerazione del focus sulla musica di Pol G.

Noisey: Partiamo da J-Ax che si mette a fare il punk…
Pol G: Eh! (Ride, NdA)

È strano, però. Lui ha cominciato con Franco Godi che lo produceva sotto il nome di Mr. Jingle. E Godi era una persona nota per colonne sonore tipo Vip - mio fratello superuomo, oltre a essere autore di libraries. A dirla tutta, inizialmente non era neanche legato all’hip hop, nonostante diventerà poi un produttore di successo in quel campo. In effetti l’hip hop italiano a un certo punto ha preso una strada strana, tra libraries e crossover, fino ad arrivare alle basi della trap e del rap moderno. Ma, se non sbaglio, in Italia all’inizio si usavano solo basi americane.
In realtà nella prima fase si usavano le cosiddette version. La stessa Onda Rossa Posse usava come basi le strumentali degli altri. Si trattava di una tradizione che arrivava direttamente dal reggae e dal ragamuffin, dalla Giamaica, dove sullo stesso riddim o beat (per dirlo in gergo hip hop) si cimentavano tutti. In sostanza, quando c’era un bel beat tutti ci rappavano sopra, ma ancora adesso è così, in fondo. Pensa solo a Anna e alla sua "Bando": ha utilizzato un beat techno dance con BPM piuttosto alti, che oggi come oggi si usa parecchio, e fuori dall'Italia hanno seguito le orme e utilizzato la stessa base.

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Di sicuro possiamo dire che la prima fase consisteva nello "prendere in prestito". Si compravano i vinili e il lato B, cioè la parte strumentale, veniva usato per rapparci sopra. Si tratta proprio dei primordi, quando praticamente non c'era modo di usare un campionamento. Era comunque un modo per omaggiare un patrimonio culturale. Un'attitudine che poi si concretizzerà nel saccheggio dei dischi funk, i break di James Brown, il jazz e via dicendo, da parte della comunità afroamericana: la celebrazione della propria cultura, che parte idealmente dai dischi dei propri genitori.

“La sfida dell'hip hop è anche la voglia di mescolare le carte e di spiazzare continuamente.”

In Italia si è fatto lo stesso.
Per un bel po’ di tempo sì, ma già a metà degli anni Novanta è iniziata per molti, e anche per me come digger, la fissa di comprare la cosiddetta Library Music, una tradizione molto florida negli anni Sessanta in Italia. Penso ad esempio ai Marc 4, ma solo perché li preferisco. Si trovava un sacco di musica di questo tipo a Porta Portese e da questi dischi potevi creare davvero dei bellissimi loop. Al tempo stesso, bisogna affrontare un altro discorso, un elemento tipico dell'hip hop: la capacità di trasformare in oro la merda… Ovvero, scegliere brani magari discutibili, ma tagliando via una porzione della fonte sonora che poi sarà trasformata in una figata, un beat da paura. Questa sfida dell'hip hop è anche la voglia di mescolare le carte e di spiazzare continuamente, un elemento molto stimolante per chi fa le basi. Si tratta di trovare quei quattro secondi che funzionano e di isolarli dal resto.

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C’era una legge per regolare i diritti d’autore?
No. Praticamente, l'equivalente della SIAE in America nei primi anni dell'hip hop non aveva ancora affrontato il problema del campionatore. I primi a subire un danno economico, e quindi a dover pagare delle royalties pesanti, furono i Beastie Boys. Da lì in poi si cominciò a dover accreditare tutto e a pagare le royalties per ogni sample.

Quindi fu una rivoluzione bella e buona.
C’è però da aggiungere che molti autori e musicisti, soprattutto quelli arrivati economicamente, rinunciavano spesso alle royalties, perché riconoscevano il valore dell’hip hop, oppure ne apprezzavano l’omaggio indiretto. Magari quelli più scannati ti battevano un po’ di soldi perche stavano ridotti male, e in quel caso era motivata la necessità economica di ricavare dei soldi da un disco che magari aveva venduto bene.

E in Italia?
A metà anni Novanta si è iniziato a fare la stessa cosa. Ma non per nazionalismo, quanto proprio per quel discorso di spiazzamento. La possibilità di utilizzare un sample di, boh, Gianni Bella e trasformarlo in un pezzo hip hop. Alla fine è una sfida e molti hanno voluto accettarla. Poi negli USA hanno iniziato a campionare dalle libraries inglesi ed europee, probabilmente perché in molti volevano cambiare il mood, non tanto perché il patrimonio black fosse esaurito, visto che è immenso.

Molti anni fa fu famoso il caso di Amedeo Minghi, campionato da Timbaland. Timbaland ovviamente non aveva idea di chi fosse Minghi, prese semplicemente un sample da un disco di Library music. E lo stesso fece 50 Cent con i Pooh. Diciamo che spesso il digger, lo scavatore appassionato che compra i dischi, compra tutto un pacco alla cieca, poi va a casa e si mette a fare le basi. C'è una bellissima serie su Youtube che lo racconta, si chiama Rhythm Roulette.

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“Spesso il digger, lo scavatore appassionato che compra i dischi, compra tutto un pacco alla cieca, poi va a casa e si mette a fare le basi.”

Voi quando avete cominciato a ripescare dalla musica italiana?
Conflitto, firmato Assalti Frontali/Brutopop, è del 1995, prodotto da Don Zientara del giro Dischord di Washington. Però poi abbiamo fatto La teoria del frigo vuoto coi Brutopop , in cui l’impianto strumentale era proprio quello: i campioni giravano con la musica. Non l'hanno fatto in molti, è un metodo rischioso, perché un conto è mettere un campione nel sequencer o nella cosiddetta griglia del computer, e un conto è suonarlo e mandarlo in diretta con gli strumentisti senza click… a dirla tutta era proprio questa tensione, il margine d'errore e la possibilità di dare degli accenti personali, a spingerci verso questa scelta.

Tant'è vero che anni dopo, ma lungi da me dire che lo abbiamo anticipato, J Dilla creò questo sound che poi è stato ripreso anche da musicisti che rifanno quel tipo di beat, cosiddetto "fuori griglia". In pratica, lui metteva tutto sui pad del campionatore e lo suonava in diretta, crudo e secco così com'era. Quindi dava il cosiddetto "chop", quei ritardi che la griglia non ti può dare. In sostanza, umanizzava il campionatore. Provavamo anche noi a farlo inconsapevolmente in quel periodo, suonando i campioni direttamente dal vivo ma anche in studio.

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Da chi prendevate i campioni?
Come Brutopop abbiamo preso un sacco dalla Library music. La teoria del frigo vuoto ad esempio ha un campione dal maestro Pregadio.

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Il mitico braccio destro di Corrado alla Corrida!
Avevo trovato a Porta Portese ‘sto disco in cui venivano descritte delle situazioni, perché questi dischi venivano fatti per eventuali documentari. In sostanza venivano comprati e messi nella libreria della Rai con  titoli del tipo “Inseguimento” , “Stress e paranoia”, “Miseria e fame”, etc. Quel disco in particolare aveva tutti temi pesanti. Però campionavamo anche altre cose che non c’entravano nulla con l’hip hop. Per esempio, eravamo tutti fan dei Sonic Youth e del progetto parallelo Ciccone Youth, tanto che nel primo disco degli Assalti abbiamo preso diversi campioni. Inoltre, i Sonic Youth avevano fatto anche un pezzo con Chuck D e uno con i Cypress Hill, "I love Mary Jane" che era contenuto nella colonna sonora di Judgment Night: un disco di crossover tra noise, metal, industrial e rap, la cui prima ondata c’era stata negli Ottanta con gli Antrax e via dicendo, ovviamente.

Come ti poni con il fatto che Messa di Vespiri degli Articolo 31 venga visto come uno dei primi a prendere campioni dai dischi italiani?
Non è così. L’hip hop è fatto di citazionismo. Lo stesso Neffa, anche senza campionare, faceva spesso degli accenni di canzoni italiane. C’era già una volontà precisa rispetto alla citazione e non per nazionalismo ma per ricreare quel tipo di citazionismo americano che era un po' anche un detournamento di senso come lo pensavano i situazionisti. Anche se probabilmente solo quelli più illuminati come  Basquiat e Rammelzee sapevano cosa fosse il situazionismo, per gli altri si trattava di una mossa inconsapevole. Forse ne eravamo più consapevoli noi in quanto europei di cos’era, venendo anche da una generazione di non nativi hip hop, che anzi da giovanissimi veniva dal punk e dal post-punk.

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“L’hip hop è fatto di citazionismo. Lo stesso Neffa, anche senza campionare, faceva spesso degli accenni di canzoni italiane.”

A questo proposito, la differenza tra il punk del vostro periodo e i periodi successivi è netta.
Si tratta proprio di quello che ha fatto J-Ax, con lo stile dei NoFx e dei Bad Religion, molto più melodico e anche molto più pop. Un pubblico diverso. A me poi personalmente non è mai piaciuto il cosiddetto punk melodico e a dirla tutta l’approccio punk paradossalmente l’ho trovato in altri tipi di musica

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Ecco, in Italia abbiamo avuto esempi di punk orecchiabile, più che melodico, come i Decibel. Sono mai stati presi dei pezzi da quel periodo più new wave? 
Poca roba. Noi abbiamo fatto dei tentativi che però non sono usciti. Ad esempio, campionammo i Gaznevada. Ci piacevano molto e ci piaceva tutta quella scena di fine Settanta / inizio Ottanta. New York  e la No-Wave erano fatte di gente che veniva dal punk ma apprezzava anche la disco e la musica ritmica. Il disco forse più importante che segna quel momento storico è Remain in light dei Talking Heads, in cui ci sono dei cazzo di musicisti bravissimi che però fanno un accordo o due per tutto il disco. Ogni pezzo ha massimo due accordi e le variazioni sono più che altro interne. Un disco rivoluzionario. Pensa anche a quello che fa Adrian Belew rispetto agli assolo: è formidabile, non c’entra più niente il guitar hero e diventa qualcosa di completamente diverso, quasi più legato al sound design. Ad ogni modo, quella scena new wave / post punk è stata campionata poco, non credere.

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Torniamo alla trap: le basi adesso sono scollegate dal discorso delle libraries o della ricerca.
Più che scollegate, l'unico elemento di continuità col passato è dato dalle macchine, come ad esempio la Roland 808 e il suo clap. Uno strumento che è proprio collegato agli inizi dell'hip hop e a un impianto più elettronico e con meno sample, qualcosa che in qualche misura racconta un legame tra gli albori dell’hip hop, tipo Afrika Bambataa, e la trap. Chiaramente oggi tutto è usato in maniera diversa, con meno BPM, e rinforzato da metriche nuove. L'elemento che invece non ha niente a che vedere con la Golden Age è che la trap è proprio come il mercato di adesso: globale. Quindi ripete la formula vincente (come l'autotune, per esempio), mentre l’hip hop classico cercava l'originalità e la personalità. Un atteggiamento sicuramente meno cinico rispetto al presente.

Ma in Italia non c’è una via nostrana da perseguire? 
Prendi Achille Lauro: certo, non è più trap ma quello che sta facendo lui lo stanno facendo in molti. Il fatto di citare e creare delle formule vincenti che vengono ripetute: questo è il punto. Quindi adesso abbiamo il rap sui beat a 120/130 BPM che cita proprio la merda della musica dance italiana, tipo gli Eiffel 65. E se vai ad ascoltare il disco nuovo di Lauro, è meglio dei pezzi originali. Anche se senza dubbio l'effetto "amarcord" trasfigura tutto. In ogni caso, questo atteggiamento di trasformare la merda in oro e forzare la mano è una caratteristica del rap da sempre. Non che sia mancato chi, come A Tribe Called Quest, i De La Soul o i Beastie Boys, campionava solo roba figa, intendiamoci. Però c'era anche chi già detournava, come Don Joe dei Club Dogo che ha rilavorato la sigla di Beautiful per un loro pezzo.

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“L’atteggiamento di trasformare la merda in oro e forzare la mano è una caratteristica del rap da sempre.”

Mi pare fosse Quel bikini. Be', poi la sigla di Beutiful era scritta da Roberto Colombo, praticamente il guru del synth pop italiano tutto.
Esatto! Non proprio monnezza totale quindi. Comunque, tornando al discorso Achille Lauro, quando penso alla mia adolescenza o alla prima giovinezza, mi sono reso conto che i pezzi che odiavo di più, quelli che proprio sentivo al baretto dove c'era il flipper, sono quelli che poi oggi paradossalmente mi danno un flashback più potente, al contrario di quello che ai tempi consideravo figo. Ad esempio Gazebo, che odiavo. Oppure, In the air tonight di Phil Collins, che all'ascolto mi fa salire molti ricordi. In ogni caso, gli anni Ottanta hanno avuto un revival infinito… sostituito oggi dal revival anni Novanta. Eccolo qua, è arrivato.

In pratica la trap italiana si sta spostando verso il recupero dell’infanzia dei vari artisti. Anche quelli nati nei Novanta, che cercano le proprie radici. Tu come la vedi?
In questa epoca di comunicazione globale non c’è più la matrice madre. Un americano può essere influenzato da roba italiana e viceversa. I suoni appartengono a tutti e le influenze sono molto diverse. All'inizio chi faceva hip hop sapeva che la cultura di riferimento era molto lontana da lui e spesso si sentiva goffo. Ora invece la fruizione della musica è molto diversa. Ad esempio, l'ascolto dell'album intero è stato sostituito dall'ascolto insistito del singolo brano, che permette di andare in profondità e conoscere tutti i segreti di una canzone. Tanto è vero che su Tik Tok, che ho studiato un po', ci sono ragazzi veramente in gamba che si studiano i pezzi e le coreografie per giorni interi. Lavorando poi io con dei ragazzini, alla fine mi rendo conto che sono molto quadrati e sanno cosa fare.

Che lavori hai fatto con loro?
Con gli Assalti abbiamo fatto molti workshop nelle scuole e anche nei centri pomeridiani. Li facciamo approcciare alla scrittura di una base o di un testo. E devo dire che il livello tecnicamente è salito. Rappano meglio e sono  più bravi. Ma sono più bravi perché sono proprio dentro il meccanismo e si studiano il pezzo all’infinito. Poi la trap è cosi eh, di stile ne ha uno solo: una formula che va reiterata. Tra l'altro penso che questa strada sia già un po’ finita, o potrebbe essere un ritorno agli anni Novanta. L'ho notato anche su Tik Tok, dove in tanti ballano pezzi di Notorious B. I. G..

E quindi non è il momento che gli Assalti tornino con il revival anni Duemila per anticipare tutti?
Certo, e infatti ora sta uscendo una raccolta, una specie di greatest hits degli Assalti Frontali! Con un paio di pezzi inediti, tra l'altro. Dovrebbe uscire prima di Natale. Vedremo cosa succederà per i concerti… gruppi come noi che campavano facendo concerti stanno passando un momento molto duro. E vale per tutta quella categoria di musicisti indipendenti che se non suonano dal vivo fanno fatica ad arrivare a fine mese. Mentre nel mondo della trap, a suo modo molto più "pop", si sta subendo meno l'effetto del Covid. Anche meno della Pausini, sai?

“Sta uscendo una raccolta, una specie di greatest hits degli Assalti Frontali! Con un paio di pezzi inediti, tra l'altro.”

Dici?
Sì. La Pausini fa un disco, però poi la sostanza economica la guadagna con i mega concerti. I trapper invece non fanno tanti live, spesso soltanto semplici showcase per fare due selfie con gli artisti. Anche il modo di suonare dal vivo è cambiato, c'è un altro modo di concepire il live. E comunque resistono meglio perché si tratta di musica in streaming. Sono un po' degli influencer, più che dei musicisti, e hanno un indotto legato allo streetwear o alle case di alta moda. Si fanno due foto con la cinta di Gucci e il giorno dopo ne vendono un botto. Alla lunga forse crollerà, ma bisogna anche vedere cosa succederà con il Covid. Io m'immagino che  ci sarà una grande voglia di socialità come nel secondo dopoguerra in Italia,  si creerà una cesura. Insomma, c’è da chiedersi se una generazione verrà segnata da questa socialità digitale, che è poi solitudine reale. Temo che molti rimarranno nella comfort zone dello streaming e della cameretta.

Ma per tirarli fuori ci saranno gli Assalti Frontali?
Certo, ovviamente: ci penseremo noi (ride, NdA).

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