Attualità

Cosa succederebbe se eliminassimo l'uso dei soldi contanti?

Abbiamo chiesto a due esperti se eliminare i contanti del tutto è possibile, se ha senso farlo e soprattutto quali conseguenze porterebbe.
Alessandro Pilo
Budapest, HU
eliminare contante cosa succede
Illustrazione: Asia Trianda e Lorenzo Matteucci

Negli ultimi tempi si è parlato molto in Italia di una delle prime iniziative del governo Meloni, un progetto di legge per innalzare il limite del contante— che, dopo l'annuncio iniziale di 10.000 euro, verrà probabilmente fissato a 5.000 euro (nel 2011 il governo guidato da Mario Monti abbassò il limite da 2.500 a 1.000 euro, nel 2016 il governo Renzi lo portò a 3.000 euro, il secondo governo Conte nel 2020 lo riportò a 2.000,  mentre a gennaio 2022 sarebbe dovuto tornare a 1.000 euro, ma per via di Lega e Forza Italia quest’ultima modifica venne posticipata a inizio 2023).

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Si tratta di una misura simbolica che non offre nessun particolare vantaggio per le persone comuni, ma che  potrebbe avere effetti negativi sulla lotta all’evasione—anche la Banca d’Italia ha riconosciuto una relazione diretta tra un maggiore uso di soldi contanti e l’economia sommersa.

Tra il 2020 e il 2021, l’Italia ha registrato un aumento dei pagamenti senza contanti del 23 percento—complice il timore di infettarsi attraverso il contatto con le banconote durante la pandemia, ma complice anche l’iniziativa cashback, che ha incoraggiato l’uso della carta anche per importi ridotti, grazie alla possibilità di ottenere un rimborso sugli acquisti per chi realizzava un certo numero di transazioni. Tuttavia siamo ancora decisamente in ritardo rispetto al trend globale di una società cashless: nell’Unione Europea il nostro paese è al 24esimo posto (su 27) per numero di transazioni pro capite annue con carta, spiegano per mail a VICE Ivano Asaro e Valeria Portale, direttori dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano.

Ma se un domani nel nostro paese si decidesse di spingere al massimo le transazioni digitali, o addirittura di bandire il contante in uno scenario futuristico, cosa succederebbe e cosa bisognerebbe fare per riuscirci?  Asaro e Portale mi fermano subito. “L’idea di una società completamente senza contante—o, peggio, che obbliga i consumatori a rinunciarvi—non è auspicabile,” dicono. “Nessuno vuole andare in quella direzione visto che le conseguenze sociali sarebbero considerevoli.” Non a caso in Svezia, paese ormai quasi totalmente cashless, il governo ha deciso di correre ai ripari (ma ci arriviamo dopo).

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I due ricercatori del Politecnico mi spiegano che in una società prevalentemente senza contanti i vantaggi sarebbero numerosi: il concetto stesso di smart city non può prescindere da una diffusione maggiore dei pagamenti digitali—servizi come il car sharing o i monopattini elettrici in sharing non potrebbero esistere altrimenti—mentre una digitalizzazione della Pubblica Amministrazione renderebbe più semplice ed efficiente anche il pagamento di vari servizi pubblici.

Il vantaggio più ovvio per la collettività sarebbe una riduzione dell’evasione fiscale: secondo stime dell’Osservatorio di qualche anno fa il 33 percento dell’incassato in contanti non viene dichiarato, percentuale che scende al 12 percento quando si incassa invece in elettronico. “Ovviamente esistono frodi o truffe anche in una società cashless, ma è dimostrato che i pagamenti digitali, per via della loro tracciabilità, ostacolano l’evasione e il riciclo di denaro e rendono la vita un po’ più difficile anche al crimine organizzato,” aggiunge Asaro.

Tenendo conto che l’Italia ha una delle popolazioni più anziane al mondo, cosa che non agevola di certo l’apertura e la fiducia nelle innovazioni tecnologiche, per trasformare il nostro paese in una società cashless servirebbe una massiccia campagna di educazione digitale e un’opera di convincimento non da poco. Gli ostacoli infrastrutturali non sarebbero secondari: tutti abbiamo presente la scena di un cameriere che cammina col POS in mano all’aperto, alla disperata ricerca della rete. La situazione potrebbe però migliorare nei prossimi anni, considerato che i fondi del PNRR assegnati dall’Italia alla transizione digitale ammontano a circa 63,5 miliardi di euro.

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In un’ipotetica società senza contanti ovviamente andrebbero ripensate una miriade di piccole abitudini basate sul suo utilizzo—dalla paghetta lasciata dalla nonna al nipote, al gratta e vinci pagato con il resto—, mentre per dividere il conto in pizzeria si userebbero app apposite, o nuove configurazioni di app e servizi che già esistono, come Paypal e Satispay. In alcuni casi il cambiamento è già in corso: ormai è possibile fare donazioni cashless ai banchetti delle associazioni benefiche e persino in chiesa.

Il vero rischio sarebbe invece quello di lasciare indietro alcune categorie più vulnerabili, visto che l’uso del contante avviene più frequentemente tra gli anziani, le minoranze etniche e chi appartiene a un gruppo socio-economico svantaggiato. In Italia vivono poi circa 50.000 persone senza fissa dimora, di cui almeno un 30 percento è dipendente dalle collette dei passanti, mentre per molti migranti può essere complicato accedere a un conto bancario o a una carta.

Asaro mi fa anche notare che, secondo un sondaggio realizzato dall’Osservatorio in collaborazione con la società multinazionale di ricerche di mercato Ipsos, circa il 7 percento degli italiani si affida esclusivamente al contante e non ha nessuno strumento di pagamento elettronico, sfatando la convinzione generale che chiunque usi il contante possieda comunque una carta. In altre parole, molte persone potrebbero avere difficoltà ad acquistare beni o servizi vitali per via della mancanza degli strumenti tecnologici necessari. 

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Asaro e Portale mi citano a questo proposito il caso della Svezia, dove in modo autonomo e per scelta dei cittadini l’utilizzo del contante si è ridotto a meno del 2 percento delle transazioni totali, un trend che ha portato molte attività commerciali ad accettare solo pagamenti digitali, varie banche a interrompere i servizi in contanti o eliminare i bancomat per i prelievi. Per questo motivo il governo del paese scandinavo ha dovuto mettere in atto alcune iniziative per non discriminare quelle categorie che non possono o non vogliono ricorrere alle transazioni elettroniche, per esempio imponendo alle banche di mantenere attivi degli sportelli per i servizi in contante.

Per certi versi, la Svezia era pronta a fare il salto verso una società che si libera della liquidità, ma ha deciso che un cambio così repentino e senza attrezzarsi per le eventuali conseguenze è una scelta ancora troppo rischiosa. Ci si trova dunque nella situazione per cui più di 4.000 svedesi hanno già un microchip per i pagamenti digitali impiantato nella mano, ma l’Agenzia per la Protezione Civile Svedese suggerisce di conservare a casa dei contanti in caso di un collasso del sistema di pagamenti.

Ma lo scenario distopico di una rete dei pagamenti che collassa quanto è realistico? Una società cashless sarebbe abbastanza resistente al rischio di cyber attacchi o leak di dati sensibili? Asaro prova a rassicurarmi dicendomi che i rischi per una società cashless non sono maggiori o diversi di quelli attuali, “aumentando i volumi delle transazioni digitali è fisiologico vedere, in termini assoluti, anche un aumento degli attacchi ai dati personali, ma ci si aspetta anche una sicurezza sempre maggiore nell’ambito della cyber security e una maggiore solidità delle infrastrutture digitali”. 

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Un altro rischio legato a una società cashless è che i dati delle nostre transazioni potrebbero essere usati per sorvegliarci. Sembra una visione distopica e paranoica del futuro, ma di fatto è un rischio già attuale: durante le proteste del  2019 a Hong Kong molti dimostranti che si recavano alle proteste acquistavano in contanti i propri biglietti della metro, dato che il sistema di pagamento contactless avrebbe reso localizzabili e tracciabili i loro spostamenti. “Questa può essere una conseguenza non da poco: in uno scenario simile tutti i sistemi decentralizzati di pagamento basati sulle criptovalute potrebbero essere uno strumento utilissimo. Ma qui il vero problema non sta nella forma di pagamento, ma nel governo autoritario che reprime la democrazia,” riflette Asaro.

Un’altra cosa da tenere a mente è che il contante viene emesso e controllato dallo stato, mentre le transazioni cashless vengono gestite esclusivamente da operatori privati. Una differenza a cui spesso non pensiamo ma che è ben chiara ai governi. Portale mi fa notare che molti paesi e continenti stanno già discutendo della creazione di forme di pagamento digitale emesse e controllate dallo stato, e nel 2025 vedrà la luce in Europa il cosiddetto Euro digitale, una moneta elettronica emessa dalla BCE e dalle banche centrali nazionali dei paesi dell’area dell’euro.

Forse questo scenario è quello che più si avvicina a un’utopica società cashless, in cui la rete dei pagamenti digitali è pubblica, viene gestita dallo stato e non da aziende private che applicano delle commissioni sulle nostre transazioni, come invece avviene ora. Non sarà secondario poi l’emergere di altri attori come criptovalute o stablecoin, che stanno già rendendo il mondo cashless più pluralistico.

Ma da qui a 50 anni cosa dobbiamo aspettarci? Si continuerà a stampare moneta perlomeno come forma di backup in caso di emergenze, oppure le banconote diventeranno un po’ come un vinile, un oggetto anacronistico ma affascinante e con la sua piccola ma agguerrita nicchia di mercato? Secondo Asaro e Portale è una previsione difficile, ma non vedono imminente l’avvento di una società totalmente digitalizzata che si affida solo alle transazioni elettroniche: “il trend è quello di un sempre maggiore utilizzo dei pagamenti digitali e difficilmente si tornerà indietro. Ma anche nelle società più pronte a questa transizione una parte della popolazione non vuole andare in quella direzione. Finché verrà rispettata la libertà di scelta, ci sarà sempre in circolazione qualche banconota.”