cucina artica
L'autore a Longyearbyen, con una barretta di carne di renna. Tutte le foto di Nick Casini.
Cibo

Ho mangiato la tipica cucina artica nella città più a nord del mondo

Foca, renna e tutto il resto. Precisamente a Longyearbyen, Isole Svalbard. Sì, proprio quelle di 'Quo Vado' di Checco Zalone.
Filippo Casini
Arezzo, IT

Il principale supermercato del polo nord si chiama “Coop” e, anche se si tratta solo di un caso di omonimia, mi si scalda il cuore. Ma dura poco: all’ingresso campeggia un cartello che vieta di entrare con pistole o fucili.

Ho capito di essere arrivato nel luogo abitato più a nord del mondo quando, dopo essere atterrato, ho aperto Google Maps e visto che il circolo polare artico stava più a sud di me.

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Le Isole Svalbard, mille chilometri a nord di Tromsø che a sua volta è circa 1100 km a nord di Oslo e così via fino ad Arezzo, da dove sono partito, sono un arcipelago desertico di neve e ghiaccio abitato più da orsi polari (circa tremila) che persone (circa 2.500). 

Se chiedete all’estero vi diranno che sono famose, oltre che per gli orsi, per il Seed vault, il deposito in cui sono custoditi tutti i semi del pianeta nel caso ci estinguessimo tutti, ma in Italia la fama del luogo deriva soprattutto dal film Quo Vado di Checco Zalone, che ci finisce controvoglia per una sorta di punizione.

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Longyearbyen, Isole Svalbard, il centro abitato più a nord del mondo.

Sette minuti di autobus e dall’aeroporto arrivo a Longyearbyen, principale centro abitato dove il nome di ogni attività o luogo inizia con “the northernmost”: abbiamo il supermercato più a nord del mondo, il parrucchiere più a nord del mondo, l’università, il museo, il food truck, e così via. È una piccola ossessione che non risparmia nessuno lassù. Mi auto-dichiaro “il toscano più a nord del mondo” e immediatamente mi sento integrato. 

Poi inizio a fare familiarizzare con i tre aspetti che non possono sfuggire nemmeno al più distratto dei visitatori: il freddo, il buio e gli orsi polari. Il freddo è un tema piuttosto autoevidente: quando sono arrivato, a fine ottobre, si stava con una certa costanza sui -11 gradi. Sembra tanto, cioè poco, ma per gli standard del posto è appena fresco se si considera che è il luogo al mondo che si sta surriscaldando più velocemente (4 gradi dal 1973 ad oggi, cinque volte di più della media globale). Poi c’è la questione del buio perenne da novembre a febbraio. In questo periodo, il sole non sorge sopra l’orizzonte e questo significa che è notte durante tutta la giornata. I più spavaldi vi diranno che è un periodo magico, ma tutte le persone con cui ho parlato mi hanno detto di odiare i mesi di notte che rendono soltanto tutto più difficile. Quando ero io là, a fine ottobre, le ore di luce erano tipo quattro al giorno. Non molto comodo. 

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Infine, l’ossessione numero uno delle isole Svalbard: gli orsi polari. Vivono in assoluta libertà mangiandosi foche e pesci indisturbati. Per questa ragione è, cito alla lettera, severamente sconsigliato, spostarsi senza fucile. È raro ma non inaspettato, infatti, che qualche abitante ci rimetta la pelle avvicinandoli. Quando sono invece gli orsi ad appropinquarsi al centro abitato vengono sedati e trasportati in elicottero in qualche isola un centinaio di chilometri a nord. 

È assolutamente vietato cacciarli infatti, o persino disturbarli con un drone, e se ne uccidi uno devi dimostrare che la tua vita era in pericolo (non ho capito bene come però). L’unico corto circuito rispetto a questa venerazione l’ho percepito quando mi sono imbattuto in un negozio che vende pelli di orso polare e tappeti a 14mila euro con testa annessa, ma importate da altri luoghi dove non è illegale cacciarli. Continua a sembrarmi un po’ ipocrita ma il commesso del negozio non coglie.

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Il cartello, appena fuori dal certo abitato, che avverte del pericolo di incontrare orsi polari. Da questo punto in poi è consigliato muoversi con un fucile.

Era il momento di andare alla ricerca della tipica cucina artica, che scoprirò, parlando con gli autoctoni e gli chef, essere più una questione di ingredienti unici che di ricette standard. Quando un luogo è abitato da 2500 persone di 50 nazionalità diverse che vanno e vengono ogni due o tre anni non è facilissimo creare una lunga tradizione culinaria. 

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Ho quindi deciso di andare a scovare questi ingredienti in tre contesti diversi: al supermercato, nel tipico ristorante locale e in quello più lussuoso e pettinato di tutte le Svalbard. 


IL SUPERMERCATO PIÙ A NORD DEL MONDO

Il principale supermercato del polo nord si chiama “Coop” e, anche se si tratta solo di un caso di omonimia, mi si scalda il cuore. Ma dura davvero poco: all’ingresso campeggia un bel cartello che vieta di entrare con pistole o fucili.

In ogni caso, il supermercato è più fornito di quanto credessi: chi avrebbe mai immaginato, per esempio, che il reparto di frutta e verdura sarebbe stato più ricco di quello sotto casa mia? Ma ad attirare la mia attenzione sono i prodotti che, in maniera molto più sensata, non troverei mai lì: bastoncini di carne di renna e balena affumicata. 

Ogni cittadino residente ha diritto ad abbattere una renna all’anno per consumo privato mentre alcuni cacciatori (i trapper) hanno il limite a 25.

Il bastoncino di renna, sottovuoto e pratico, attira subito la mia attenzione e ne prendo un paio. La confezione recita: 78% carne di renna, speck di maiale, sale, pepe e qualche altro intruglio per farlo resiste fino al 30 maggio 2022.

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L’autore mangia un bastoncino di carne di renna del prezzo di 26 corone norvegesi (circa 2,50 euro).

Mi ritrovo, poi, davanti al bancone del pesce. A sormontarlo in bellavista c’è il disegno di una balena, con la scritta “Tio Moncho’s.” Tio Moncho è sudamericano, si è trasferito diversi anni fa al polo nord, ed è l’unico pescatore di balena di tutte le Svalbard. Il suo nome sarebbe rivenuto fuori i giorni successivi con qualche sorpresa, ma non potevo ancora saperlo.  

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La spesa dell'autore: bastoncini di renna, zuppe di renna liofilizzata e balena affumicata.

Per la renna non riesco ad aspettare: appena fuori dal supermercato sfilo il bastoncino dal suo determinatissimo involucro di plastica e addento. Sul sapore non fatevi troppe illusioni: ad occhi chiusi avrei fatto fatica a distinguerlo da una qualsiasi salsiccina affumicata, però il brivido di star mangiando un pezzo di renna proprio a due passi da Babbo Natale ha aggiunto quel retrogusto di vendetta. 

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L’autore mangia due fette di balena affumicata comprata al supermercato al prezzo di 123 corone svedesi (circa 12 euro).

Tornato in hotel, la balena affumicata è tutta un’altra storia: il sapore è piuttosto strano, sa di pesce ma a tratti ha un retrogusto di bistecca. Tenera, appena gommosa direbbero i più pignoli, e piuttosto salata. Non saprei dire a cosa altro assomiglia ma il mix con il formaggio norvegese, consigliatomi dalla salumiera del supermercato, è piuttosto riuscito. 

POLAR RIGGEN, IL RISTORANTE LOCALE

Dopo l’esordio un po’ fai da te è l’ora di andare a parlare con qualcuno che gestisce un ristorante di cucina locale. Facile si potrebbe pensare, e invece mica tanto, dato che la maggior parte dei ristoranti qua sono pizzerie, hamburgherie o di cucina asiatica (c’è un’importante comunità filippina alla Svalbard).

I miei interlocutori, all’unanimità, mi consigliano di andare al Mary Anne’s Polar Rig che è pure il ristorante legato all’hotel in cui alloggio. Iris, figlia di Mary Anne, gestisce il posto dopo la morte della madre. 

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Il Mary Anne’s Polar Rig.

Partiamo da un presupposto: alle Svalbard praticamente non cresce vegetazione, ad accezione di piccolissime piantine e funghi nei mesi di agosto e settembre. Quindi se si vuole assaggiare la tipica cucina artica non si può in nessuna maniera essere vegetariani, vegani non parliamone nemmeno.

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L’autore fa quattro chiacchere sulla cucina artica con Iris, proprietaria del Mary Anne’s Polar Rig.

Foca, balena, renna e pernice bianca, l’unico uccello che popola l’arcipelago tutto l’anno: sono loro i protagonisti di ogni piatto e Iris ci tiene subito a specificare che sono di origine locale, delle Svalbard proprio, e “mangiare questi animali è la cosa più naturale qua.”  

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Antipasto misto: (da sinistra) carne di balena, carne di foca e carne di renna accompagnati da salsina cetriolo e melograno e marmellata di mirtilli.

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Le chiedo chi si occupa della caccia e lei in risposta mi ride in faccia, spiegandomi che per renne e foche non si può davvero parlare di caccia, dato che sono animali che se ne stanno ad aspettare. “È decisamente più difficile cogliere un fungo, che sono piccolissimi e mezzi immersi nel permafrost, piuttosto che cacciare una renna.” Seconda risata. 

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Una renna delle Svalbard pascola serenamente appena fuori dal centro abitato. Le renne locali sono caratterizzate da delle gambe particolarmente corte..

La renna mi viene servita con delle verdurine chiaramente in cattività stracotte, ma è decisamente più appetitosa del bastoncino che mi ero mangiato prima. 

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Carne di renna servita con patate, carote e cavoletti.

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L'etica della caccia alle foche

L’orgoglio della cucina di Iris e del suo chef però è la foca, anzi la foca delle Svalbard, che ci tengono a precisare è “ben diversa da quella di qualsiasi altro posto.” Qua, infatti, le foche mangiano molluschi, mentre in Groenlandia e nel resto della Norvegia si nutrono di pesce. Questo rende il loro sapore simile alla balena ma un po’ più amaro e deciso. 

Sempre con una buona dose d’entusiasmo Iris aggiunge che lo chef, quando è arrivato a Longyearbyen e ha provato per la prima volta la foca locale, le ha chiesto se era sicura non fosse mucca. E via, terza risata.

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Carne di foca su salsa dolce, accompagnata da purea di patate, carote e cavoletti.

Il merluzzo nordico, invece, mi viene servito con meno entusiasmo, come fosse un figliastro poco degno di nota. Sempre accompagnato da qualche verdurina stanca era decisamente saporito e, provvidenzialmente, anche piuttosto leggero da digerire, cosa che non si può dire del tris di carni orgoglio della cucina artica.  

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Merluzzo artico arrosto con contorno d’insalata, patate e carote.

HUSET, IL TEMPIO DELLA CUCINA DELLE SVALBARD

Quella dell’arcipelago è una cucina limitata ma—e qui tutto l’orgoglio di chef gli esce dagli occhi—è anche l’occasione per essere creativi, pensare fuori dagli schemi.

Infine, decido di fare tappa al ristorante più rinomato di tutte le Svalbard, l’unico con una pagina Instagram per intenderci. Lo chef mi accoglie in grande stile presentandomi qualche piatto in anteprima dal nuovo menu.  

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Frederik, chef del ristorante Huset di Longyearbyen, presenta la sua idea di cucina artica all’autore.

Ho pensato fosse un grande onore assaggiare il nuovo menù in anteprima, chissà ogni quanti anni cambiano. Invece Frederik, lo chef, mi riporta subito sulla terra e mi dice che il loro menù cambia ogni tre mesi, stagionalmente. 

Il primo piatto è un tortino di cuore di renna affumicato su mousse di funghi locali, quelli più difficili da “cacciare” delle renne di cui mi aveva parlato Iris. 

Mi dice che è lui stesso ad andare a raccoglierli insieme all’altra pianta che cresce sulle montagne, il salice polare, che dopo essere colto a settembre viene conservato per tutto l’anno, fino all’estate dopo. 

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Tartina di cuore di renna su mousse di funghi delle Svalbard.

Il problema delle verdure è una questione non da poco: quelle essenziali vengono ordinate dalla terra ferma (“mainland” come dicono là), ma può volerci anche un mese a farle arrivare quindi c’è sia un problema di conservazione che il bisogno di cucinarle subito appena arrivano.

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Ho cercato un paio di volte di buttare là il concetto di “cucina artica” allo chef ma non ne ha voluto sapere: per lui non esiste un ricettario artico alle Svalbard. Quella dell’arcipelago è una cucina limitata ma—e qui tutto l’orgoglio di chef gli esce dagli occhi—è anche l’occasione per essere creativi, pensare fuori dagli schemi.

Quello che mangi alle Svalbard, poi, lo puoi trovare solo qua. Non esiste esportazione dei prodotti locali. La caccia, infatti, è molto regolata: ogni cittadino residente ha diritto ad abbattere una renna all’anno per consumo privato mentre alcuni cacciatori (i trapper) hanno il limite a 25. Praticamente tutto quello che si caccia alle Svalbard viene mangiato alle Svalbard. 

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Cuochi al lavoro nella cucina del ristorante Huset a Longyearbyen, Isole Svalbard

Dalla cucina, composta da Frederick, svedese, un russo, una slovacca e un italiano, esce il secondo assaggio: carpaccio di renna avvolto in un roll-up di renna con alghe essiccate e caviale di salmone. Ad accompagnare, pane e burro con zampa di renna grattugiata sopra. Sì, ho chiesto due volte per essere sicuro: una parte della gamba anteriore della renna viene grattugiata sopra al burro. 

Nel nuovo menù noto che ci sono anche la tartare di foca e la pernice bianca—ma non vedo la balena. 

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Carpaccio di renna avvolto in un roll-up di renna con alghe essiccate e caviale di salmone.

Tasto dolente la balena per Frederick: mi dice che non la vuole mettere nel menu perché l’unico che la pesca in loco—vi ricordate Tio Moncho’s di cui abbiamo parlato?—la pesca usando la dinamite e a lui questa cosa non va giù. Quindi nel menu del ristorante non c’è nulla ottenuto dalla balena. Così realizzo in quel momento di aver mangiato il giorno prima una balena uccisa con la dinamite. 

Si è fatta una certa e Frederick deve andare in cucina perché arrivano i primi clienti per cena, del resto sono quasi le 18:00, proprio l’ora di cena, e fuori è notte fonda da un paio d’ore. 

Prima di congedarmi ho tempo per le ultime domande un po’ banali, per toglierci di dosso il sapore della dinamite: tre aggettivi con cui descriveresti la cucina delle Svalbard?

“Challenging, limiting and liberating.”

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