Nacque nel 1986 e aprì una voragine, in cui si sarebbero tuffate intere generazioni di contestatori, da Greenpeace ai No Global, dai più svariati movimenti anticapitalisti fino alle ragazze e ai ragazzi di Fridays for Future. L'immagine era ed è potente, quella di una compagnia che si ripulisce la faccia dandosi una pennellata di verde. Il greenwashing, a volerlo definire con precisione, è la pratica che vede impegnate molte aziende, piccole, medie, enormi (leggi: multinazionali) nel vendersi come molto più green di quanto in realtà possano mai essere, usando le leve del marketing e della comunicazione per dire qualcosa che non trova pieno riscontro nei fatti.In tutto ciò il cibo gioca un ruolo da protagonista. Se è pur vero che il sospetto di greewashing è stato sguinzagliato addosso a imprese di ogni tipo, dalle compagnie del settore dell'energia all'industria della moda, è innegabile che proprio il mondo gastronomico, da McDonald's scendendo giù fino al più piccolo produttore di formaggi di capra a latte crudo, sia finito molto spesso nel centro del mirino. Il motivo è semplice: la produzione di cibo ha un impatto ambientale rilevante, e in un'epoca come quella attuale, in cui la sostenibilità è diventata un vero e proprio mantra, una sorta di alfabeto condiviso che ormai tutti devono saper maneggiare, ci vuole poco a giocarsi male le proprie carte, e non a caso in questi ultimi tempi la gara a chi riesce ad apparire più verde ha fatto vittime illustri.Il greenwashing, a volerlo definire con precisione, è la pratica che vede impegnate molte aziende, piccole, medie, enormi (leggi: multinazionali) nel vendersi come molto più green di quanto in realtà possano mai essere.
Straberry è un'azienda dell'hinterland milanese molto attenta a promuovere il proprio approccio sostenibile e biologico alla coltivazione: atterrando sul suo sito si possono trovare in bella mostra frasi come «Operiamo nell’assoluto rispetto dell’ambiente, utilizzando l’energia solare dei pannelli fotovoltaici posti sopra le serre», o «Nel 2013 e 2014, StraBerry è stata premiata da Coldiretti con il riconoscimento Oscar Green, come azienda agricola innovativa e attenta alla sostenibilità ambientale», o ancora «Nel 2015 abbiamo ottenuto il riconoscimento produttore di qualità ambientale del Parco Agricolo Sud Milano, per l'impegno a favore dell'ambiente, del territorio e del paesaggio».A uno sfoggio di virtuosismo ambientale pare che non si accompagnasse un approccio altrettanto virtuoso nei confronti dei lavoratori, visto che a fine agosto l'azienda è diventata oggetto di un'inchiesta su sfruttamento del lavoro e minacce ai danni di un centinaio di braccianti.
Senonché a questo sfoggio di virtuosismo ambientale pare che non si accompagnasse un approccio altrettanto virtuoso nei confronti dei lavoratori, visto che a fine agosto l'azienda è diventata oggetto di un'inchiesta su sfruttamento del lavoro e minacce ai danni di un centinaio di braccianti, perlopiù di origine straniera, ed è stata posta sotto sequestro.
E infine c'è il caso di AgriLatina, una delle più grandi realtà ortofrutticole biodinamiche d'Italia, dove a fine agosto un incidente sul lavoro occorso a un bracciante indiano ha dato il la alla denuncia de Il Manifesto, che ha raccolto le dichiarazioni del fratello secondo cui «È stato soccorso dai capi italiani che lo dovevano portare in ospedale e invece lo hanno abbandonato come un animale morto in un campo di patate a circa sette chilometri dal luogo dell’incidente». Va precisato che l'azienda negli ultimi giorni ha smentito categoricamente tale ricostruzione, invitando il quotidiano a una rettifica, e la mobilitazione dei braccianti indiani è rientrata dopo aver ottenuto garanzie di maggiore sicurezza e di indagine sull'accaduto.È sbarcato sul mercato un nuovo versante su cui i brand del cibo (e non) giocano e giocheranno a ripulirsi. Basta dare un'occhiata al settore del pomodoro in cui sempre più di frequente ai richiami alla sostenibilità ecologica si aggiungono quelli alla filiera 100% italiana e alla giustizia sociale
Insomma, è sbarcato sul mercato un nuovo versante su cui i brand del cibo (e non) giocano e giocheranno a ripulirsi. Basta dare un'occhiata al settore del pomodoro e della sua lavorazione, quello più colpito dalle accuse di basarsi sullo sfruttamento dei lavoratori nelle campagne pugliesi e del sud Italia in generale, anche grazie a una serie di inchieste giornalistiche e televisive. Un mercato dominato dai marchi Mutti, Doria e Petti, e in cui sempre più di frequente ai richiami alla sostenibilità ecologica si aggiungono quelli alla filiera 100% italiana (laddove così è) e alla giustizia sociale, con il rispetto delle condizioni di lavoro dei braccianti e l'equa retribuzione degli agricoltori.Dietro la facciata della virtuosità ecologica si può infatti nascondere una mancanza di virtuosità sociale sempre meno accettabile per l'opinione pubblica